Martedì, 07 maggio 2024 - ore 19.28

Nel 2011 assassinati 76 sindacalisti nel mondo

| Scritto da Redazione
Nel 2011 assassinati 76 sindacalisti nel mondo

L'indagine condotta dai sindacati internazionali in 143 paesi, una mappa delle peggiori violenze, repressioni e minacce. Colombia e Guatemala i luoghi più pericolosi. In aumento la repressione degli scioperi DI S.CAPPUCCIO, C.GNETTI, L.TARTAGLIA
di Silvana Cappuccio, Carlo Gnetti, Leopoldo Tartagli
Nel corso della 101ma Conferenza dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), la Confederazione Internazionale dei Sindacati (Csi-Ituc) ha presentato l'ultimo rapporto annuale sulle violazioni dei diritti sindacali nel mondo. Gli autori della ricerca hanno disegnato la mappa delle peggiori violenze, repressioni e minacce che migliaia di donne e uomini sindacalisti affrontano quotidianamente.
Anche in situazioni di grande ostilità, attraverso il loro impegno e coraggiose lotte condotte in prima persona, i sindacati perseguono gli obiettivi del Lavoro Dignitoso (Decent Work) per tutti e la costruzione di un mondo migliore, difendendo la dignità, il diritto al rispetto delle donne e degli uomini al lavoro e le libertà sindacali. Un sogno che per troppi si trasforma in un incubo, spesso se non sempre in un clima politico di negazione delle libertà civili e di impunità di cui si avvalgono i responsabili dei crimini perpetrati.

Il rapporto contiene una dettagliata analisi che contempla purtroppo tutte le aree e quasi tutti i paesi, anche alcuni che storicamente vantano tra le migliori legislazioni sul lavoro ed in cui oggi la crisi e le misure di austerità vengono richiamate dai Governi e dalle imprese a pretesto per smantellare e sopprimere i diritti acquisiti nel tempo grazie alle battaglie del movimento sindacale.
Il 2011 è stato un anno difficile e spesso pericoloso per i lavoratori in tutto il mondo. Coloro che si sono impegnati nella lotta per i diritti sindacali hanno dovuto subire licenziamenti, arresti, detenzione, e alcuni di loro sono andati incontro alla morte. Questo in sintesi è il quadro che emerge dall’indagine annuale, che prende in esame 143 paesi.
Ancora una volta la Colombia si conferma il paese più pericoloso del mondo per i sindacalisti. Delle 76 persone assassinate per le loro attività sindacali, senza contare i lavoratori uccisi durante la Primavera araba, 29 hanno perso la vita in Colombia. Anche in Guatemala i sindacalisti hanno pagato un duro prezzo, con 10 uccisioni rimaste impunite. Altri 8 sindacalisti sono stati assassinati in Asia.
Le tendenze a livello globale messe in luce dall’indagine includono il mancato rispetto della legislazione del lavoro da parte dei governi, il mancato finanziamento degli organi adibiti ai controlli e alle ispezioni sul lavoro e delle misure di protezione del lavoro, la mancanza di diritti e gli abusi subiti dai lavoratori migranti in tutto il mondo, in particolare negli Stati del Golfo, nonché lo sfruttamento della forza lavoro femminile nelle zone franche sparse in tutto il pianeta. Tra i più vulnerabili vi sono i 100 milioni di lavoratori domestici.

Il 2011 è stato l’anno della Primavera Araba e delle rivoluzioni che hanno interessato il Nordafrica, il Medio Oriente e gli Stati del Golfo. In queste regioni la repressione dei diritti sindacali è stata particolarmente dura. Le organizzazioni sindacali hanno svolto un ruolo leader nelle rivoluzioni, in particolare in Tunisia, Egitto e Bahrain, ma hanno anche pagato un prezzo pesante. Centinaia di attivisti sono stati uccisi negli scontri e migliaia sono stati arrestati. Oggi la strada della democrazia è diventata più sicura, come dimostrano la forte affluenza alle elezioni egiziane a novembre e le continue proteste in Siria e in Bahrain. Sta nascendo un movimento sindacale indipendente, anche se in alcuni paesi – tra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Sudan – non c’è ancora libertà di associazione.
La crisi economica mondiale continua a essere pagata dai lavoratori, dato che i governi insistono a privilegiare misure di austerità rispetto a quelle che potrebbero favorire la crescita e l’occupazione. Le conseguenze sono state devastanti, in particolare per i giovani. Nel 2011 la disoccupazione ha colpito 205 milioni di persone. In Spagna il 40 per cento dei giovani è fuori dal mercato del lavoro, mentre in Grecia il tasso di disoccupazione tocca il 21 per cento. Le misure adottate per ottimizzare i profitti e la flessibilità a spese della forza lavoro hanno fallito i loro intenti. Il loro effetto è stato quello di incrementare le forme di lavoro precario, rendendo estremamente difficile per le organizzazioni dei lavoratori la difesa dei diritti dei lavoratori, ad esempio in Sudafrica, Bangladesh, Cambogia e Pakistan.
“La situazione di centinaia di migliaia di lavoratori è molto difficile – ha detto la segretaria generale della Csi-Ituc Sharan Burrow –. Molti hanno un’occupazione precaria e sono esclusi dai fondamentali diritti alla contrattazione collettiva e alla libertà di associazione. Le loro vite sono sconvolte poiché sono costretti a lavorare un numero infinito di ore in condizioni pericolose e malsane, in cambio di salari che non possono soddisfare i loro bisogni e quelli delle loro famiglie. Tutto ciò contribuisce ad alimentare la recessione mondiale”. (vedi in allegato la traduzione dell'introduzione di Sharan Burrow al rapporto)
L’indagine della Csi-Ituc getta luce anche sulla repressione degli scioperi in molti paesi, tra cui la Georgia, il Kenya, il Sudafrica e il Botswana. In quest’ultimo paese 2.800 lavoratori sono stati licenziati dopo uno sciopero nel settore pubblico. I diritti sindacali sono sotto tiro non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche in quelli industrializzati. Il governo conservatore del Canada, ad esempio, ha attaccato duramente e in più occasioni la libertà di associazione sindacale e il diritto alla contrattazione collettiva. Secondo l’indagine, resta difficile organizzare i lavoratori nelle zone franche a causa delle restrizioni legali presenti in molte di esse e della proibizione di costituire sindacati.

Un altro gruppo vulnerabile è costituito dai lavoratori migranti, in particolare negli Stati del Golfo. In Kuwait, nel Qatar e negli Emirati Arabi Uniti tali lavoratori costituiscono la maggioranza della forza lavoro, ma i loro diritti sono poco e per nulla riconosciuti. Tra i lavoratori migranti vanno conteggiati i circa 100 milioni di lavoratori domestici, la grande maggioranza dei quali sono donne, che hanno scarsa conoscenza dei loro diritti e nessun mezzo per promuoverli. Per questi motivi la CSI-ITUC ha salutato con soddisfazione l’adozione, lo scorso anno, della Convenzione n. 189 dell’OIL sul lavoro domestico, che riconosce a questi lavoratori il diritto di associarsi e di godere di condizioni di lavoro dignitose.

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