Domenica, 19 maggio 2024 - ore 18.30

(CR) Pianeta Migranti. La nostra transizione ecologica grava sui paesi africani

La decarbonizzazione genera estrattivismo verde, saccheggio ambientale e migrazioni ‘a casa loro’

| Scritto da Redazione
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(CR) Pianeta Migranti. La nostra transizione ecologica grava sui paesi africani

La decarbonizzazione genera estrattivismo verde, saccheggio ambientale e migrazioni ‘a casa loro’  

 Negli ultimi mesi gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno fatto grossi investimenti per ampliare il corridoio ferroviario che collega il porto di Lobito in Angola sulla costa dell’oceano Atlantico, con il la parte meridionale della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e la parte nord-occidentale della Repubblica dello Zambia. E’ la ferrovia dei minerali che poi, dal porto di Lobito, raggiungono i mercati globali. La ferrovia dei minerali - Nigrizia 

Lo scopo è proprio facilitare l’esportazione di risorse minerarie di cui questa zona d’Africa è ricca: il petrolio in Angola, il rame in Zambia (al secondo posto al mondo dopo il Cile); il coltan in Congo (RDC) e soprattutto il litio detto anche “oro bianco”, fondamentale per produrre le batterie delle automobili elettriche e cruciale per la conversione ecologica.

L’ansia dell’Occidente di accaparrarsi queste risorse per poter decarbonizzare l’economia riporta in auge le dinamiche dell’estrattivismo del passato che ha attribuito all’Africa, all’America Latina e all’Asia il ruolo di “dispensa” per il Nord geopolitico. Così oggi, le politiche per la sostenibilità del mondo occidentale finiscono per scaricare i costi ambientali e sociali della sua innovazione sul Sud globale, aumentando ulteriormente il suo divario economico col Nord sviluppato.

I Paesi del Sud, che già sopportano gli effetti peggiori del cambiamento climatico, innescato e alimentato proprio dall’Occidente con secoli di crescita economica sfrenata, oggi devono subire anche gli “effetti collaterali” legati alla sua transizione ecologica. Non solo non beneficiano direttamente dei vantaggi che essa comporta, ma non riescono nemmeno a trarre profitto economico dallo sfruttamento dei propri giacimenti. Per di più, le imprese estrattive impiegano senza scrupoli manodopera locale, anche minorile, come avviene per esempio nelle miniere di cobalto e coltan della Repubblica Democratica del Congo dove si sfruttano i lavoratori, si violano abitualmente i diritti umani e dove si sviluppano guerriglie e conflitti proprio per il controllo delle miniere.

Gli abitanti locali già in condizioni di povertà, oltre a essere deprivati dei benefici delle loro risorse, si trovano a vivere in un ambiente saccheggiato e inquinato proprio dai processi estrattivi e, per sopravvivere, devono migrare. Sono i migranti della decarbonizzazione occidentale, i ‘migranti economici’ che poi l’Europa rifiuta.

Tutto ciò richiama la cosidetta ‘maledizione delle risorse’ che ha schiavizzato le popolazione africane nel passato sotto la spinta di una politica di stampo coloniale che purtroppo emerge anche oggi.

L’esperienza delle precedenti “corse all’oro” dovrebbe spingere ad evitare gli errori del passato e a mettere in atto opzioni meno dannose come il concentrare le attività minerarie in zone a basso rischio, decarbonizzare i processi di estrazione e lavorazione, sviluppare metodi per controllare e ridurre l’inquinamento e tutelare la biodiversità, le comunità indigene e i lavoratori. Anche il potenziamento del riciclo dei minerali potrebbe contribuire in modo sostanziale ad alleggerire il carico ambientale e sociale. Ma siamo ancora lontani dalla consapevolezza che la nostra transizione ecologica non può essere sostenibile e giusta se non è costruita “insieme” al Sud del mondo e se non poggia su un livello di pari dignità e diritti tra territori e popoli.

 

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