Lunedì, 06 maggio 2024 - ore 14.24

Racconto.L’ingegnere e la Nerella di Gian Carlo Storti

L'ora di meccanica con l'ingegnere era il nostro svago settimanale. Marco raccoglieva tutti i volantini distribuiti e li consegnava all'ingeniere. Lo spasso era assicurato. Con accuratezza li rileggeva ad alta voce commentandoli e riscrivendoli. Il suo accento veneto, i capelli a spazzola, la testa a forma di pera, il naso di pappagallo facevano il resto.

| Scritto da Redazione
Racconto.L’ingegnere e la Nerella di Gian Carlo Storti

La sua specialità consisteva nel rompere le frasi, nel capovolgerle, nel ridicolizzare con battute sarcastiche il contenuto del volantino. A volte ci raccontava della sua gioventù "spesa al servizio della Patria vestito da balilla".

Era un antifascista: accettavamo il suo sarcasmo per questo. Era specializzato nella progettazione di ponti. A suo dire aveva individuato una nuova struttura che costando meno garantiva gli stessi risultati. Illustrava il suo metodo di calcolo alla lavagna con gessetti colorati che portava sempre nella borsa assieme alla colazione: un panino con la mortadella.

Eravamo sempre attenti e silenziosi anche perché così' evitava di spiegare ed interrogarci in meccanica: una specialità che odiava e che insegnava per arrivare alla pensione. A volte, in assenza di volantini, sviluppavamo il classico tema del calcio. Era esperto in tutto. Le sue tattiche a colori riempivano le tre lavagne dell'aula attenuando così di molto il giudizio sulla scuola di classe. Odiava il preside, ingegnere pure lui, eccellente, come si sentiva dire, insegnante di meccanica. Una mattina, il preside, irruppe in classe mentre l'ingegnere con grande entusiasmo e partecipazione illustrava dove e come l'Inter aveva perso tre a zero con il Real Madrid qualche settimana prima. Aveva ormai riempito la terza lavagna. Le linee colorate, bianche, rosse, azzurre, gialle e verdi erano molto belle da vedersi. Quella mattina apparivano come una pittura astratta su fondo nero. Scattammo in piedi salutando in coro il preside. L'ingegnere impassibile stese la mano accompagnandola da un mezzo inchino e da un leggero rumor di tacchi. -Buon giorno-disse-come mai questa inaspettata ma sempre gradita visita? -Per caso: passavo dal corridoio e sentendo un inconsueto silenzio.......sono entrato. Spero di non disturbare la sua lezione ?-Anzi Egr. Sig. Preside, se ha un minuto le vorrei mostrare i nuovi schemi di calcolo delle fasi di un motore a scoppio a quattro tempi. L'ingegnere prese sottobraccio il preside e lo accompagnò alle lavagne. Fu la prima e l'ultima lezione di meccanica che sentimmo. Ci inebriò di parole, di numeri, di valori...Il preside apprezzò: si rivolse a noi, ancora in piedi, ricordandoci che stavano studiando con una persona molto colta, preparata, che sapeva il da farsi in ogni occasione. Non poteva esprimere parole più giuste: l'aver saputo che il numero dieci Corso (di colore azzurro) altro non era che la decima prova a cui era stata sottoposta una fase del motore a scoppio era stato veramente sensazionale. Trattenemmo a stento le nostre risate: il preside si complimentò anche con la nostra aria gioiosa, segno che questa scuola di classe (stava guardando ed indicando me con il ditone minaccioso!!), come alcuni maldestramente affermano, sa suscitare entusiasmo e partecipazione.

Finalmente se ne andò. L'ingegnere lo accompagnò fuori dalla classe. Ritornò dopo qualche secondo: si mise in cattedra sistemandosi la cravatta; appoggiò le mani, incrociandole, sui registri e disse "adesso ridete pure!!"La risata fu fragorosa e con molti singhiozzi. Alcuni avevano perfino le lacrime agli occhi. L'ingegnere impassibile disse: "e si che passa per un esperto di meccanica". Sorrise appena, ci salutò con un cenno della mano ed usci dall'aula. Lo squillo della campanella annunciò la fine della giornata.

I nuovi schemi di calcolo delle fasi di un motore a scoppio diventarono uno strumento di notevole socializzazione. La gita con la quarta chimici (sezione femminile) fu un vero spasso. Ricordare ora quelle diciassette ragazzine in minigonna, timide e provocanti, disponibili e che emanavano un caldo profumo e preoccupate dei nostri possibili e rudi approcci è stupendo!

L'immagine d'insieme è rilassante: sento ancora il loro profumo, i risolini, i pizzicotti e le carezze. Partimmo di buon'ora in pullman per visitare un complesso chimico. Ovviamente l'ingegnere ci accompagnava essendo l'insegnate delle due classi. Era il maggio del '69. Noi meccanici, della 5° C, a destra; i chimici a sinistra divisi dal corridoio nel quale passeggiava allegro l'ingenere. Era divertito. Faceva battute del tipo: chi passa la linea sarà punito con dieci frustate sul petto, se uomo, e con dieci carezze, sempre sul petto, se femmina. Chissà perché si fregava spasmodicamente le mani. Aveva già previsto tutto: ci lasciò fare. Nerella mi era sempre piaciuta. Non era del movimento studentesco non partecipava, era sempre molto in disparte. Quella mattina vestiva un completino di lanina rossa molto corto. Le gambe ad x stonavano appena. I seni erano appena abbozzati. Non era molto alta e quindi si notava il sedere a "mandolino". Di viso era carina: pettinata a caschetto, i capelli neri e lucidi, le labbra appena disegnate dal rossetto violetto, poco fondo-tinta, il nasino all'insù. Gli occhi erano grandi e castani: peccato stonavano appena. Mentre l'ingegnere parlava in continuazione descrivendo la fecondità della campagna circostante chiesi alle Nere una sigaretta e un Tex. Andò bene. Sorrise e parlò anche lei della campagna e dei pericoli dell'inquinamento. Chissà forse oggi è una verde! Ascoltai con l'interessamento di chi pensa a tutt'altro: risposi però con convinzione. I suoi occhi mi scrutarono cercando la presa in giro. Fui bravissimo: la convinsi che ero molto interessato ai suoi discorsi, Si rasserenò: perse la sua timidezza ed aprì la fase della provocazione. Leggere Tex mi rilassava: un mezzo sangue, come viene definito dai suoi avversari, che chissà perché aveva il carisma del giustiziere. La velocità nell'uso della pistola é fantastica. Sempre meglio di un intervento di Franco "il rosso" sui destini del socialismo.

Nerella da avvio alle provocazioni. l tempo stringe: si è sulla via del ritorno. La visita al complesso chimico, ufficialmente interessante ed oggetto, al ritorno, di pesantissime relazioni, tutte copiate, è stata noiosa. L'ingegnere, ormai complice convinto degli abboccamenti fra noi, illustrava allegramente le strutture tecnologicamente avanzate dell'azienda ormai nel disinteresse generale. Gli accoppiamenti erano ormai definiti. Lo spuntino al sacco era stato decisivo. Fondamentali i baratti delle cibarie. Per rasserenare sempre i più la Nere mi ero gustato una pessima razione di torta di mandorle preparata, a quanto ricordo, da lei stessa. Nel cambio la Nerella era stata favorita: un delizioso panino con paté d'oca preparato dalla Gina che si vantava di conoscere la cucina francese imparata nel viaggio di nozze con mio padre, Aldo, a Digione, ospiti di uno zio antifascista riparato in Francia nel '39.L'altro piatto conosciuto e gustato era l'omelette. Una pioggerella maliziosa favorì gli avvicinamenti corporei. Morivamo tutti dal freddo: mai visti tanti denti battere contemporaneamente. L'ingegnere sorrideva, bevendo grappa, dalla bidella di turno. Una donna sulla cinquantina, rossa di capelli con due seni incredibilmente tondi e ancora rialzati (il corsetto si mormorava). Al caffè, consumato al bar aziendale di fronte ad operai sicuramente non felici della loro condizione ma nemmeno rassegnati, cosi si diceva allora, la Nerella mi passo il braccio alla vita pizzicandomi un fianco. Ottimo pensai. Ci siamo: peccato che il pizzicotto fosse in più. Sorrisi ampiamente ricambiando con un forte abbraccio frontale ed un bacetto sulla testa nera e lucente. Sorrise e sospirando disse: quanto sei alto! Perfetto pensai! Due ore di libertà per visitare il centro storico di Mantova. Stupendo! La Nere era sempre più unita a me: "sai ho freddo" diceva. Incredibile come certe immagini sacre acquistino un significato erotico. In Duomo, di fronte alla natività della vergine eravamo eccitatissimi. Uno strano profumo mi inebriava. Salimmo sul pullman. l'ingegnere, ormai alticcio di grappa, era prigioniero della bidella con il corsetto. Si sistemarono in prima fila. Nessuno si oppose al superamento della linea. Era fatta. Il viaggio di ritorno era nostro! Sguardi complici si incrociarono! Fumammo rilassati una Marlboro!

Marco, che andava sempre in bianco, iniziò a cantare suonando la chitarra. Non è facile prendere posizione su due sedili stretti di un torpedone. La Nere era sistemata nel sedile vicino al finestrino: io nell’altro con le gambe quasi distese nel corridoio. Le comunicai che mi slacciavo la cintura, ovviamente perché ero scomodo e non per altro. Lei, complice, sorrise. La accostai passandole il braccio attorno al collo: la mia mano sinistra le accarezzava il seno destro. Il capezzolo, piccolo piccolo, si indurì subito: era molto appuntito. Ricambiò stringendomi l'addome e sfiorandomi la cintura slacciata. Anche senza il tramonto, pioveva, era molto "poetico". Ci baciammo. Nel bacio vinse lei. La sua lingua era fresca e penetrante. In queste posizioni le mani hanno un ruolo fondamentale. Roteavano come impazzite: sentivo la sua calda coscia coperta dal collant. Il primo tentativo di infilarle la mano fra le cosce falli: si ritirò ed accese l'ennesima sigaretta. Mi alzai. Parlai con Marco e con l'ingegnere che ormai partito si era lasciato andare a veri e propri schiamazzi. Quasi urlando storpiava tutti i cognomi: allungò il mio con un altissimo "glioni". Due mani infreddolite mi coprirono gli occhi: dita corte e magre, unghie lunghe: era la Nere. Mi girai, la alzai baciandola sulle labbra: il rossetto era scomparso ed il contrasto della penombra risaltava il suo viso bianco dagli occhi lucidi e grandi. Con una sberletta sul mandolino la riportai agli scomodi sedili. Il bacio fu appassionato. Le mani ripresero a roteare. Sentii la sua che mi slacciava la cintura accarezzandomi l'addome ed il petto senza peli. Ormai ero fra le sue cosce: ruppi non so come il collant, spostai la mutandina ed infilai l'indice. Bloccò la sua avanzata stringendo le cosce. La sua mano era ferma sul mio ombelico. Lentamente, molto lentamente mossi ritmicamente le l'indice: piano piano si allargò facendomi penetrare. Simmetricamente mi spostò lo slip e raggiunse quello che oggi chiamano l'inutile appendice. Il contrasto tra i calori era piacevole. Ritmicamente, con dolcezza, ci masturbammo. Venni prima io. Lei quasi spaventata da quella fuoriuscita ritrasse per un attimo la mano. Si rilassò ed attese. Aumentai il ritmo. Sentii il suo ventre muoversi accompagnandosi al mio dito. Tremava. Poi si bloccò quasi di   colpo: si bagnò. Marco guardava: non disse nulla. Sorridendo si allontanò. Il viaggio proseguì fumando: i nostri occhi erano soddisfatti. In fondo si sentiva russare. Era l’ingenere e che si era addormentato poggiando sul seno della bidella che tutta felice mostrava a tutti questa scenetta.

Con Nerella ci vedemmo per qualche tempo. Spesso la bidella entrava in classe quando c’era l’ingenere per delle inutili commissioni.

L’ingeniere sorrideva con gli occhi.

Tratto da ‘Brevi, verosimili  e false storielle’   di Gian Carlo Storti (Cremona)

1737 visite

Articoli correlati

Petizioni online
Sondaggi online