Giovedì, 18 aprile 2024 - ore 04.38

Il punto di Abou (nome palestinese di Rosario Amico) Roxas. I semiti palestinesi

Il nostro Rosario Amico Roxas sceglie di firmare il titolo del presente articolo con il proprio nome palestinese

| Scritto da Redazione
Il punto di Abou (nome palestinese di Rosario Amico) Roxas. I semiti palestinesi

L’Italia che conta, quella che rappresenta la nazione a livello mondiale, quella che guarda altre il presente e aspira al futuro; l’Italia del Presidente della Repubblica, l’Itale del Sommo Pontefice, riconosce il mondo Palestinese come meritevole di avere uno Stato per pacificare quell’area che rischia di diventare l’esca per una nuova guerra.

Abbiamo mai cercato di indossare i panni di un palestinese, di guardare il mondo con i suoi occhi, di sentire il pulsare del nostro cuore con i suoi sentimenti? Abbiamo mai cercato di comprendere prima di giudicare, di conoscere prima di condannare? Certo sono più comode le vesti degli opulenti sionisti israeliani; è più rassicurante la loro forza politica ed economica; ci suggestiona molto di più la loro arroganza. Siamo tutti disponibili e pronti a “soccorrere” il vincitore o il potente di turno, a saltare sul carro del più forte per ottenerne briciole di prebende; nessuno osa contrastare il più forte e dare voce a chi è costretto a subire, senza neanche il diritto di far valere le sue ragioni, anche se sono evidenti sotto gli occhi di tutti; si arriva anche a mentire pur di non scontentare chi fa valere più la forza che la ragione.

Il più forte comanda su tutto e su tutti, impone la sua legge e condanna o assolve a suo piacimento, scatena guerre o concede la pace, ma sempre e solo nell’ottica del proprio tornaconto. Le guerre non sono una “Ordalia”, un “Giudizio di Dio”, le vince il più forte, non chi ha ragione. Il popolo ebraico ha subito un atroce olocausto, ma da un popolo occidentale, che si riteneva superiore; ha patito la tragedia delle persecuzioni e ha cercato e trovato finalmente una Patria, promessa loro dal Dio di Abramo, lo stesso Dio dei Palestinesi. Il popolo ebraico, divenuto Stato sionista di Israele, ha, arbitrariamente, presentato il conto dei loro patimenti e delle loro persecuzioni, agli incolpevoli Palestinesi, con azioni analoghe a quelle che hanno subito.

La mia vecchia e collaudata ritrosia a ubbidire all’ordine: tutti avanti, e lasciate il cervello all’ammasso!, mi ha convinto a indossare i panni del perdente, per dare voce a chi non può averne. Per capire.

Uso le parole che ho sempre usato, che per me rappresentano le parole della mia verità, in un famelico amore verso quanti non hanno nemmeno la possibilità di amare, verso quanti stanno subendo una condanna che non potranno mai espiare, una condanna inappellabile perché scritta con il sangue e propagata da untori interessati, da pennivendoli prezzolati, da mistificatori della Storia, da sostenitori abusivi che “Abele si è suicidato!”. Privati di ogni aggancio concreto con la realtà presente, che ogni giorno muta il panorama della loro vita, senza prospettive possibili verso il futuro, i Palestinesi, profughi da sempre, non hanno altro ancoraggio che nel passato, dove gli incubi affollano la memoria e i fantasmi di ricordi antichi acquistano la sola concretezza concessa, la sola speranza; costretti a veleggiare velocemente indietro nella storia, verso un futuro incerto.

La protesta che sfocia nella violenza è il grido di chi si sente escluso da tutto ciò che l’opulento mondo occidentale propaganda come sviluppo. Limitare l’analisi alla violenza islamica, identificando dentro tale fenomeno tutto un popolo e una religione, conduce inevitabilmente alla strategia dell’abbattimento, paragonabile a un nuovo olocausto, generando una perversa spirale involutiva priva di ogni soluzione. Imporre una verità unilaterale, trascurando altre e, a volte, più gravi responsabilità, non serve alla causa della Pace, anzi, inasprisce gli animi e allontana ogni ipotesi di incontro. In questo contesto germoglia il seme dell’odio, della vendetta, terreno assai fertile per coltivare e stimolare antichi rancori o attualissimi interessi. Torno a insistere che l’Europa può seguire un itinerario alternativo, accettando e denunziando le cause che sono all’origine di questi effetti devastanti.

Perché non riconoscere che la formazione dei volontari della morte è avvenuta l’indomani della strage di Sabra e Shatila, con i suoi morti carbonizzati dai lanciafiamme e dalle bombe al napalm fornite dal governo israeliano alle truppe mercenarie di Addad? Perché non riconoscere che l’escalation terroristica in Russia da parte dei patrioti ceceni trova la sua origine nel bombardamento di Grozni che provocò, secondo dati della stessa Russia, almeno 40.000 morti?

Il terrorismo è un gesto indifendibile, nessuno può tentare una qualsiasi difesa d’ufficio; lo spargimento di sangue di vittime innocenti non può trovare nessun alibi; bisogna solamente identificare tutti i terrorismi, senza effettuare selezioni di comodo, distinguendo quello buono da quello cattivo. Tutti i terrorismi appartengono alla categoria negativa dell’umanità e non basta la potenza delle armi o la forza del denaro per pretendere attenuanti generiche se non, addirittura, l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato.

Il livello di disperazione cui sono arrivate intere popolazioni assoggettate allo sfruttamento, all’occupazione abusiva, alla mancanza dell’indispensabile, supera il confine stesso tra la vita e la morte, così sono morti dentro e più nulla può più ucciderli, tranne i marosi che travolgono le carrette del mare che trasportano quello che resta degli esseri umani disgregati nel corpo e nell’anima, annientati da una storia sempre avversa: la storia dei vinti.

I palestinesi vogliono esistere così come esiste Israele, ma senza diventare quello che è diventato Israele: vassallo dell’arroganza occidentale; popolo che ha rinnegato la propria storia che li vuole inseriti nel mondo arabo in quanto semiti. Il paradosso è che uno stato palestinese può o potrà esistere se e in quanto continuerà a esistere lo Stato di Israele; se crollasse lo Stato di Israele non potrebbe esistere uno Stato palestinese, perché i palestinesi non troverebbero più alcun appoggio nel resto del mondo arabo, o almeno in quello che più conta sotto il profilo economico, alleato o complice dell’espansionismo americano. Non potrebbero attendersi aiuti dall’Arabia Saudita, dal Kuwait, dagli Emirati Arabi Uniti, dalla Giordania, ormai stretti nella morsa economica del capitalismo americano. Si ritroverebbero isolati, come lo sono stati per tanti di secoli. Questo sarebbe il compito storico e politico di Israele: innanziutto ridiventare uno Stato Ebraico, quindi aiutare i fratelli palestinesi a realizzare il loro sogno, il loro diritto, la loro patria.

Analizzare la violenza per comprendere le ragioni che l’ hanno generata e alimentata, porterebbe a un dialogo di confronto tra chi è soggiogato dalla propria angoscia e chi tale angoscia ha provocato. L’angoscia stritola ogni forma di progettualità, ma nessuno esamina tale angoscia, preferendo puntare l’indice sulla violenza e sulla strategia per abbatterla. Non si cerca nemmeno di analizzare quell’angoscia che genera tale violenza: la paura di essere dimenticati e cancellati dalla storia della conoscenza, malgrado quest’ultima sia una delle promesse della nuova civiltà, che si trasforma in un banchetto riservato solo ai potenti.

La guerra è una immane e bestiale tragedia per l’intera Umanità, per questo è giusto che sia gestita dai Generali; ma la Pace è una cosa troppo seria per essere affidata agli stessi Generali che hanno fatto la guerra. I Palestinesi, il popolo palestinese aspira ad avere la sua Patria, dove poter vivere in aperto dialogo con i fratelli semiti appartenenti al popolo ebraico; non desiderano vincere una guerra senza fine, vogliono solamente non-perdere il diritto che spetta a tutti i popoli, senza distinzioni di razze o, peggio, senza distinzioni basate sulla maggior potenza di fuoco, il diritto a una patria, in nome del quale i sionisti hanno invaso la Palestina.

Le cariatidi del servilismo, dell’omertà remunerata, della complicità in un nuovo e programmato sterminio di un popolo hanno scritto la parola fine: non deve mai esistere uno Stato palestinese, mai una Patria, solo mal tollerate presenze di profughi senza presente, senza futuro, accomunati dalla memoria di un passato che si ripete e si rinnova. L’emarginata costrizione dei Palestinesi, di ieri, di oggi, di domani non serve a spiegare, a far comprendere, specie quando non si vuole capire; essa è destinata a trasformarsi in una torre inespugnabile, dentro la quale proteggere una cultura e una Storia millenaria, che nessuno potrà mai cancellare, neanche con un nuovo olocausto.

Queste sono solo le povere parole di uno sperduto viandante in una foresta infestata da lupi famelici: se non si può essere la farina per impastare il pane, si deve cercare, almeno, di esserne il lievito per dare vita alla Verità e riempire le pagine bianche della Storia, divenute tali perché si è tentato di cancellare gli eventi nefasti per costruire tutto un itinerario adeguato alle esigenze di quel popolo dei vincitori, che non accetta neanche il giudizio della Storia. Povera e martoriata Storia, che, per farsi, per divenire, necessita di essere scritta con il sangue.

Non c’è pace per i deboli e i vinti. Ho provato a indossare i panni del Palestinese, a pensare con la sua testa, a sentire con il suo cuore. Ho capito; ho capito che non viene lasciato spazio per parlare, che per farsi sentire bisogna urlare, urlare e ancora urlare, fino a esplodere. Ho vissuto insieme ai Palestinesi, li ho incontrati spesso a Tunisi, quando una loro colonia era ospitata in un campo profughi di Hammam Liff, a pochi chilometri a sud della capitale; lì furono bombardati dagli aerei israeliani, anche in violazione dello spazio aereo della Tunisia, una nazione che si è sempre prestata a svolgere opera di mediazione equilibrata alla ricerca di quella che inevitabilmente dovrà evolvere in una convivenza pacifica o in una reciproca autodistruzione. Fu una frequenza molto significativa, perché mi hanno insegnato a capire prima di esprimere giudizi; fu allora che mi dettero il nome Abou Roxas (padre dei Roxas).

Ho visto il terrore nei loro occhi mutarsi in un fiero atteggiamento ben lontano da quello di chi mendica un diritto. Resta, inalterato, il sogno della Patria, mentre il ricordo dei patimenti subiti diventa ossessivo e offusca l’ipotesi di un’alba migliore, l’alba del giorno della civile e possibile convivenza. Il rastrello della memoria rinnova i ricordi, anche se si vogliono seppellire sotto cumuli di gramigna; i ricordi acquistano sempre nuova linfa e rinnovano l’itinerario di una mai sopita sete di Giustizia.

Rosario Amico Roxas

1580 visite
Petizioni online
Sondaggi online

Articoli della stessa categoria