Venerdì, 26 aprile 2024 - ore 21.06

Cgil Effetti collaterali Si scrive smart working, si legge sfruttamento

Il ricorso al “lavoro da casa” ha prodotto una specie di cambio negativo di paradigma rispetto al lavoro più tradizionale, perché non è stato accompagnato dal controllo sulle variabili che definiscono la correttezza dell’uso della manodopera

| Scritto da Redazione
Cgil Effetti collaterali Si scrive smart working, si legge sfruttamento

Cgil Effetti collaterali Si scrive smart working, si legge sfruttamento

Il ricorso al “lavoro da casa” ha prodotto una specie di cambio negativo di paradigma rispetto al lavoro più tradizionale, perché non è stato accompagnato dal controllo sulle variabili che definiscono la correttezza dell’uso della manodopera

Si fa presto a dire smart working. Si fa prima a dire sfruttamento da casa della manodopera, soprattutto femminile. In queste settimane tantissime aziende hanno attivato lo smart working per far fronte all’emergenza sanitaria e moltissimi lavoratori stanno regolarmente svolgendo il proprio lavoro stando “comodamente” a casa, grazie allo sviluppo delle infrastrutture digitali. In una situazione di emergenza questa scelta sta di fatto rappresentando un’ancora di salvezza per molti settori riuscendo anche a garantire servizi ai clienti/utenti nonché al territorio. Da quando è stata imposta la quarantena, coorti di lavoratrici dei servizi (insegnanti, bancarie, impiegate in amministrazioni pubbliche e private) hanno dovuto trasferire il proprio lavoro a casa, sommando al già pesante lavoro di cura per la famiglia e per i figli il lavoro retribuito, quello contrattualizzato.

Il ricorso al cosiddetto smart working ha prodotto una specie di cambio negativo di paradigma rispetto al lavoro più tradizionale, perché non è stato accompagnato dal controllo sulle variabili che definiscono la correttezza dell’uso della manodopera. Quante ore sono state lavorate in queste settimane di quarantena? Quanta flessibilità negativa è stata reintrodotta nel sistema? Chi l’ha controllata? A quale costo e con quale prospettiva? Ad un costo altissimo per il lavoratore e ancora di più per le lavoratrici, che hanno di fatto smarrito la linea di confine tra sfera privata e sfera pubblica, intensificando i tempi e i ritmi di lavoro, subendo una brusca invasione di campo sul tempo libero a fronte invece delle imprese che hanno ridotto notevolmente i costi legati alla presenza di personale in azienda, eludendo del tutto anche il tema della salute e della sicurezza sul lavoro. Inizia ad essere ridondante l'associazione che alcune imprese fanno tra smart working e benessere sociale. Sono stati sospesi i controlli, perché controllare a casa, in Italia, è impossibile e perché ogni impresa, ogni ufficio, si è organizzato per proprio conto senza un indirizzo nazionale preciso.

A peggiorare questa condizione di superlavoro, il ricorso alle ferie forzate e a una cassa integrazione dentro le quali si è nascosto il lavoro, quello nero, o strane forme di formazione a distanza per lavoratori imposte dalle aziende più grandi: banche, finanziarie, assicurazioni, case farmaceutiche, piattaforme logistiche che hanno ottimizzato (a loro dire) i tempi sottoponendo la manodopera in smart working a corsi di formazione finalizzati all’ottimizzazione dei risultati. Sono conseguentemente aumentate le richieste di prestazioni, perché si è presunto che lavorando a casa si è più rilassati e più disponibili a sottoporsi alla volontà datoriale. La ricaduta sulla manodopera femminile è più pesante anche in termini psicologici: perché la donna difficilmente vede la casa come un luogo di relax, mentre andare a lavorare fuori casa è una forma di libertà acquisita. Il lavoro domestico e quello extradomestico si stanno letteralmente fondendo, e una donna può passare senza soluzione di continuità da una tastiera al pannolino o ai fornelli.

Questo è un oggettivo tradimento dei contratti che non può e non deve diventare regola. Chi pensa di poterla imporre, magari per decreto e senza dibattito parlamentare (com’è purtroppo prassi di queste settimane), dovrebbe preoccuparsi di introdurre un alleggerimento domiciliare del lavoro di cura delle donne (come in Francia) e un forte aumento salariale determinato da due fattori: il risparmio delle imprese che non ricevono più i lavoratori in sede; il disagio prodotto ai lavoratori a casa. Vogliamo dire con estrema chiarezza che lo smart working è soprattutto una rinuncia per il lavoratore e lo è ancora di più per le donne lavoratrici. Rinuncia alla partecipazione, alla socialità professionale il cui valore non è quantificabile in termini di costo e di rinuncia della propria identità professionale. Il sindacato e la società hanno certamente voglia di approcciarsi a forme nuove di organizzazione del lavoro a partire anche dalla necessità di ripensare lo strumento della cassa integrazione che andrebbe modulata ad ore, con verifiche e aggiornamenti settimanali o mensili, ma a monte deve prodursi una discussione seria che si fondi su pochi ma essenziali elementi.

Lo smart working deve attivarsi su base volontaria, deve prevedere un salario più alto e servizi di assistenza domiciliare (come le baby sitter per chi ha figli), benefit concordati a livello aziendale e territoriale con le parti sociali e quelle istituzionali: tutto questo deve essere materia di contrattazione. Solo in questo modo sarà possibile parlare ancora di lavoro. Andare a lavorare è un pezzo importante della nostra vita, della nostra identità e della libertà di essere nella società. Vale per tutti, anche per gli insegnanti che si trovano a dover affrontare una reimpostazione didattica con strumenti disomogenei e tradendo parte dello statuto costituzionale del sistema dell’Istruzione. Allora attenzione a pontificare sullo smart working all’italiana: si è già trasformato in uno strumento per massimizzare l’intensità del lavoro (lo sfruttamento), minimizzare i costi fissi (della rete, delle utenze negli uffici, della vigilanza, eccetera): per far gravare tutto o quasi sui lavoratori e sulle lavoratrici.

Gigia Bucci è il segretario generale Cgil Bari

Leonardo Palmisano è un sociologo e presidente Radici Future Soc. Coop.

Fonte rassegna sindacale

 

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