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CremonaFiere Bontà Detenuti-chef cucinano i prodotti bio coltivati da migranti e disabili psichici

A Cremona nasce un nuovo progetto di filiera solidale che sarà presentato nella cornice del Salone il BonTà (11-14 novembre) Gli artefici sono Cooperativa Nazareth e Casa Circondariale di Cremona

| Scritto da Redazione
CremonaFiere Bontà Detenuti-chef cucinano i prodotti bio  coltivati da migranti e disabili psichici

Nell'azienda agricola della Cooperativa Nazareth a Persico Dosimo, alle porte di Cremona, migranti e disabili psichici coltivano ortaggi biologici che vengono, quindi, trasformati in gustose conserve e salse dai detenuti-chef della casa circondariale cittadina di Cà del Ferro. E' un progetto di filiera sociale a 'km 0' quello che verrà presentato domenica 13 novembre alle 14.30 a CremonaFiere nell'ambito della 13esima edizione de il BonTà, Salone delle eccellenze enogastronomiche artigianali e delle attrezzature professionali.

UN PROGETTO VIRTUOSO. CremonaFiere è lieta e orgogliosa di ospitare la presentazione di un progetto così virtuoso all'interno de il BonTà, manifestazione che, dall'11 al 14 novembre, promuove e valorizza i sapori e i saperi della buona tavola italiana. La rassegna propone una selezione di oltre 2mila prodotti di qualità che interpretano al meglio la tradizione e l'avanguardia del Made in Italy in ambito agroalimentare con la presenza di oltre 150 espositori provenienti da 19 regioni italiane e da alcuni Paesi esteri. In contemporanea con il BonTà, CremonaFiere accoglie Free From, debuttante iniziativa dedicata ai consumatori allergici e intolleranti.

DALLA TERRA ALLA TAVOLA. Il format 'dalla terra alla tavola' fonde il percorso di accompagnamento all’autonomia di minori stranieri e persone con fragilità ribattezzato 'Rigenera' con l'attività di formazione e riabilitazione sociale e lavorativa denominata 'I Buoni di Cà del Ferro', che si svolge all'interno del laboratorio di trasformazione agroalimentare ricavato di recente nella casa circondariale di Cremona. I detenuti, in una sequenza di corsi della durata complessiva di 120 ore, ottengono attestati su HACCP, antincendio, primo soccorso e sicurezza sul lavoro e, quindi, affrontano esercitazioni pratiche per apprendere come trattare gli ingredienti e come cucinarli sotto la guida di uno chef professionista.

GUARDARE DENTRO LE PERSONE. “L'obiettivo è non solo offrire un nuovo approccio al lavoro e alla socializzazione, ma anche creare concrete opportunità lavorative – spiega Giusy Brignoli, tra i responsabili della Cooperativa Nazareth –. I prodotti, sia freschi sia trasformati, sono biologici certificati; inoltre, le persone che lavorano, anche se toccate da uno 'svantaggio' di tipo sociale o fisico, vengono valorizzate nel loro saper fare liberando creatività ed energie”. Precisa, a proposito, la direttrice di Cà del Ferro Maria Gabriella Lusi: “Come operatori penitenziari siamo convinti che il nostro lavoro possa essere efficace se riusciamo a guardare 'dentro' la persona detenuta e, ad un tempo, a tutto ciò che la circonda. La società è nei nostri primari interessi perché attraverso processi rieducativi miriamo a restituire alla libertà persone non più portate a delinquere... magari perché hanno acquisito una competenza professionale in carcere da spendere dopo la pena, come nel nostro caso; magari perché, con la partecipazione del detenuto, il carcere ha saputo creare con il territorio il ponte di un efficace reinserimento”.

“SOGNO UN FUTURO IN QUESTO SETTORE CON LA MIA FAMIGLIA”. Gli intenti del progetto si riassumono felicemente nelle parole di R.R., uno dei detenuti partecipanti: "Sono convinto che, quando uscirò da qui, sarò già 'tre passi in avanti' rispetto ad altri. Sogno di poter realizzare un progetto in questo settore con la mia famiglia”. Non solo: “Ho capito il valore e l’importanza del lavorare in team, imparando a valorizzare ed apprezzare le doti e le qualità dei miei compagni di lavoro, per crescere insieme, producendo cibo di qualità. Dal punto di vista umano questa opportunità mi serve molto per dimostrare a me stesso che non sono la persona descritta nelle sentenze di tribunale, ma che ho un valore, che posso fare cose buone… che ce la posso fare!”.

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