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Dall’Italia sempre più sussidi alle fonti fossili

Nell’ultimo anno 41,8 mld di euro

| Scritto da Redazione
Dall’Italia sempre più sussidi alle fonti fossili

di Luca Aterini

 

Nonostante la transizione ecologica sia ormai una strada condivisa a parole da (quasi) tutti, gli elementi di freno stanno crescendo nelle vesti di sussidi – o meglio sovvenzioni – ai combustibili fossili.

Secondo Ocse e Iea, considerando 51 Paesi al mondo (quelli appartenenti a G20, Ocse e altre 33 economie) il sostegno complessivo degli Stati ai combustibili fossili è cresciuto a 697,2 mld di euro nel 2021, dai 362,4 stimati nel 2020.

A livello globale, il Fondo monetario internazionale (Fmi) arriva a stimare sovvenzioni ai combustibili fossili per 5.900 miliardi di euro nel 2020: per un 8% si tratta di sussidi espliciti (sottotassazione) e per il 92% una mancata considerazione dei costi sociali e ambientali.

In questa prospettiva, per il Fmi l’Italia nel 2020 ha sovvenzionato i combustibili fossili con 41 mld di euro, ovvero il 2,1% del Pil o 676 dollari procapite. Ma non è facile contabilizzare con precisione l’ammontare delle sovvenzioni, quando si parla di fonti fossili: il ministero dell’Ambiente ad esempio parla di 13 mld di euro l’anno (contando anche gli altri sussidi ambientalmente dannosi si arriva a 21,6), mostrando anche in dettaglio quanto sarebbe proficuo toglierli per destinare quelle risorse ad altre partite.

Nella prima giornata della XV edizione del Forum QualEnergia, organizzato a Roma da Legambiente  insieme a Kyoto club e La nuova ecologia, l’associazione ambientalista ha invece presentato una stima che si avvicina più a quella del Fmi: in Italia nel 2021 «sono stati 41,8 i miliardi di euro “investiti” in attività, opere e progetti connessi direttamente e indirettamente alle fonti fossili. Ben 7,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente», con una crescita del 21%.

Per arrivare a questa cifra Legambiente ha messo in fila 76 voci diverse di sussidi diretti e indiretti, comprese le agevolazioni fiscali, utilizzando come fonti il Catalogo ministeriale dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad) e favorevoli (Saf), il bilancio dello Stato, oltre a dati Terna, Arera, Gse, Ocse e ministero dello Sviluppo economico.

Secondo il Cigno verde, dei 76 sussidi almeno 32 – pari a 14,8 mld di euro annui – è possibile intervenire entro il 2025, eliminando le risorse. Qualche esempio di sussidio da togliere? Il differente trattamento fiscale fra benzina e gasolio (2,6 mld di euro annui), il rilascio di quote Ets assegnate a titolo gratuito (2,5 mld) oltre a prestiti e garanzie pubbliche nel settore energia (1,5 mld).

«Il nostro Paese – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – continua ad andare nella direzione sbagliata, scegliendo come soluzione l’utilizzo sempre maggiore delle fonti fossili da altri paesi grazie ai gasdotti e ai rigassificatori e puntando sulle nuove estrazioni di gas dai fondali marini. Da questo punto di vista il governo Meloni sta dimostrando una continuità con l’esecutivo Draghi che non condividiamo. Serve discontinuità e coraggio».

Anche sotto il profilo degli aiuti contro la crisi energetica in corso. Oltre ai sussidi, nel report Legambiente dedica infatti un focus anche gli 8 Decreti legge approvati tra gennaio a settembre 2022, contenenti 45 interventi finalizzati a ridurre l’impatto del caro energia per imprese e famiglie: «Interventi emergenziali e non strutturali, socialmente importanti, ma ambientalmente dannose in quanto a supporto delle fonti fossili nei settori energia e trasporti e che continuano a legare il nostro Paese alla dipendenza dal gas. Parliamo di almeno 38,9 miliardi di euro per il solo 2022».

È bene evidenziare che, senza questi interventi, imprese e famiglie avrebbero pagato bollette (ancora) più alte, mettendo in luce un problema ben noto nell’ambito della fiscalità ecologica: introdurre tasse verdi (o togliere sussidi fossili) comporta spesso un intervento regressivo, ovvero che grava più sui redditi bassi di quelli alti. Per questo è indispensabile accompagnare simili misure con interventi correttivi o destinazioni del gettito adeguate (ad esempio a favore di interventi contro la povertà), in modo da renderli equi e socialmente accettabili. Un approccio che purtroppo non sembra essere nelle corde del Governo Meloni, che sta anzi colpendo i poveri riducendo il Reddito di cittadinanza.

C’è comunque un’altra strada: «Se i 40 miliardi di euro circa fossero stati investiti in impianti solari fotovoltaici – argomentano da Legambiente – avrebbero permesso di realizzare almeno 194 mila impianti da 50 kW da destinare ad utenze domestiche e piccole imprese, per una potenza complessiva di 9,7 GW potenza in grado di generare 14,6 TWh/anno di energia elettrica per i prossimi almeno 20 anni, pari ai consumi di circa 5,8 milioni di famiglie. Quasi il doppio del numero di famiglie che in Italia oggi si trovano in una condizione di povertà energetica».

In questo modo lo Stato avrebbe salvaguardato sia il clima sia le tasche dei cittadini, riducendo al contempo la dipendenza per l’import di energia dall’estero. Lo stesso approccio vale per i sussidi alle fonti fossili: dal 2011 al 2021, l’Italia li ha foraggiati per un totale di 213,9 miliardi di euro. Risorse che, stima Legambiente, hanno tolto spazio allo sviluppo delle rinnovabili per almeno «13 GW/anno, in grado di produrre 19 TWh/anno di energia elettrica, ovvero circa il 6% del fabbisogno elettrico nazionale. Numeri che, in 11 anni, avrebbero già traghettato l’Italia all’obiettivo del 100% elettrico da fonti rinnovabili, permettendo al Paese un risparmio di consumo di gas di 4 miliardi di metri cubi all’anno, arrivando a 44 miliardi di metri cubi complessivi dopo 11 anni, pari al 59,4% dei consumi nazionali di gas».

Sebbene con enorme ritardo, è una strada che potremmo ancora imboccare: «Le imprese delle rinnovabili e dell’efficienza sono già più che pronte a raccogliere la sfida della transizione energetica, servono solo le politiche concrete conseguenti alle dichiarazioni che promettono l’uscita dall’era dei fossili», commenta Francesco Ferrante in qualità di vicepresidente del Kyoto club.

Il problema in questo caso non sta nella mancanza di risorse pubbliche da destinare alle rinnovabili anziché alle fossili, ma si tratta in primis di affrontare difficoltà squisitamente autorizzative. In questo momento ci sono infatti 300 GW di richieste di allaccio alla rete elettrica per nuovi impianti rinnovabili, eppure dall’inizio dell’anno solo 2 GW sono entrati in esercizio.

Che fare? Legambiente ha presentato oggi un pacchetto di sette proposte indirizzate al Governo Meloni e al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto, chiedendo in primis che nella legge di bilancio in discussione venga prevista la rimodulazione e cancellazione dei sussidi ambientalmente dannosi entro il 2030, misura ad oggi assente dalla bozza di manovra. Ma dopo il condivisibile raddoppio del numero dei membri della commissione Via Vas sul Pnrr ottenuto dal ministro Pichetto, per Legambiente è ora fondamentale costringere le Regioni a potenziare i loro uffici preposti alle autorizzazioni, per sbloccare i colli di bottiglia che frenano le fonti rinnovabili.

Al contempo occorre portare avanti uno strenuo impegno politico e culturale nei confronti della cittadinanza, che troppo spesso crede di sapere come affrontare la crisi climatica e ambientale in corso, quando in realtà non è stata messa in condizione – anche a causa della diffusissima piaga dell’analfabetismo funzionale, nonché della crescente e comprensibile sfiducia verso le istituzioni – di assimilare informazioni scientificamente fondate sul tema: il risultato è il moltiplicarsi sui territori di sindromi Nimby&Nimto contro gli impianti rinnovabili (come del resto accade in parallelo anche a quelli preposti alla gestione rifiuti), magari in difesa di un paesaggio che senza una rapida e concreta transizione energetica sarà stravolto da siccità, bombe d’acqua e altri eventi meteo estremi collegati alla crisi climatica in corso.

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