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Emigrazione 2.0, quando la mobilità è donna

La scelta di trasferirsi lontani da casa, specialmente per motivi di lavoro, per molti anni ha riguardato quasi esclusivamente gli uomini. Oggi, però, non è più così. Ecco perché DI CLAUDIO SORRENTINO

| Scritto da Redazione
Emigrazione 2.0, quando la mobilità è donna

Le parole “emigrazione” ed “immigrazione” sono entrate a pieno titolo tra quelle più usate dalla generalità delle persone. Una volta, di questi fenomeni se ne occupavano principalmente i sociologi, i politici, le associazioni di contesto e qualcun altro. Oggi fanno parte del linguaggio comune delle persone e sono usate, spesso, all'interno di un contesto socio/economico o di un contesto di cronaca, il più delle volte nera. Raramente queste parole sono usate per quello che veramente rappresentano: parole piene di storia e di storie, a volte belle e altre brutte, qualche volta positive e altre negative.

Il tentativo che vorremmo mettere in pratica è quello di contribuire a dare ad esse il giusto valore definendo in modo sintetico il contesto nel quale esse sono utilizzate, perché è proprio all'interno del contesto che si muovono le diverse interpretazioni delle parole e spesso anche dei comportamenti conseguenti.

Molti soggetti si sono cimentati sui dati dell'emigrazione e sul loro valore nel tempo. Noi useremo “dati sintetici” per la nostra elaborazione. Chi volesse conoscere dati più complessivi o osservare le serie storiche, può fare riferimento alle tante pubblicazioni specializzate a partire dal rapporto degli italiani nel mondo 2014, da poco presentato dalla fondazione Migrantes.

Abbiamo l'ambizione di esaminare le “motivazioni” e le “analogie/differenze” che danno luogo ai processi di migrazione in modo da tentare di definire un modello di interpretazione delle tendenze per il futuro.

Solo attraverso ciò, a nostro parere, sarà possibile guardare al futuro con uno sguardo più sereno, con una prospettiva più positiva o, in una parola, con la speranza che dopo le parole “emigrazione” ed “immigrazione”, anche la parola “integrazione” entri nel nostro linguaggio comune.

Quando si parla di emigrazione in termini numerici, una stima prudente indica gli italiani nel mondo, di prima emigrazione e di loro discendenza, tra i 60 e gli 80 milioni; quelli censiti dall'Aire, invece, sono solo 4milioni e 482mila.

Quando invece si parla di immigrazione, i dati pubblicati dall'Istat e dal Ministero degli interni, in termini di stima, parlano della presenza in Italia di oltre 5 milioni e 400 immigrati; quelli “regolari”, cioè censiti, sono solo 4milioni e 387mila.

Voler tentare una analisi del contesto, come dicevamo, ci impone di utilizzare esclusivamente i dati dell'Aire (anagrafe degli italiani residenti all'estero) per l'emigrazione e quelli Istat/ministero Interni per l'immigrazione. L'analisi di questi dati, anche se rappresentano una parte limitata dei fenomeni, danno di essi una idea molto coerente e vicina alla realtà.

Una delle prime cose che salta agli occhi, osservando questi semplici dati, è che il divario tra la stima prudente ed i dati certi, nel caso dell'emigrazione è molto ampio, mentre quello relativo all'immigrazione è più contenuto.

Non sfugge ad alcuno che la nostra emigrazione è cominciata molto prima, da oltre cento anni, e quindi si è “insediata” e moltiplicata nel tempo e che, invece, l'immigrazione ha una storia molto più recente.

Non sfuggirà nemmeno che nel primo caso il territorio di osservazione è il mondo nel suo complesso, perché gli italiani emigrati che osserviamo sono in tutto il mondo e nel secondo caso, l’immigrazione, il territorio ha i confini del nostro paese.

Per una valutazione più vicina alla realtà bisogna sottolineare ancora che Migrantes stima che per il 2014 ci potrebbero essere un numero di “partenze” maggiore di quello degli “arrivi”. C'è da dire, per completezza di informazione, che il dato Aire potrebbe essere non corrispondente alla realtà in quanto una parte di quelli che emigrano non si iscrivono al registro (Aire) o, almeno, non lo fanno con immediatezza ed il dato delle immigrazioni essere anch’esso non reale in quanto sicuramente sfuggono al conteggio altre forme di immigrazione clandestina, come ad esempio quelle che avvengono attraverso le frontiere terrestri.

I dati complessivi relativi all’emigrazione al 1° gennaio 2014 (ultimi dati certi) e quelli relativi alle “partenze” 2013 sono riportati in queste tabelle, Dalla semplice comparazione dei dati delle due tabelle si osserva, con immediatezza, di come si sia modificato il rapporto tra gli uomini e le donne. Nella prima tabella appare chiara la prevalenza degli uomini (51,97%) sulle donne (48,03%) mentre tra i partenti del 2013 le donne (56,29%) superano abbondantemente gli uomini (43,71%).

L’altro dato interessante che si rileva è che la maggior consistenza della presenza, sia di uomini che di donne, è nella fascia di età tra i 18 ed i 64 anni. Questa fascia corrisponde esattamente alla fascia di età lavorativa.

I dati relativi all’immigrazione al 1.1.2014 sono riportati nella tabella 3 e dall’esame di questi dati si rileva che prevalgono le donne (53,05%) nei confronti degli uomini (46,95%) e che, anche qui, la fascia di età più affollata è quella in età lavorativa.

Una delle cose di cui si deve tener conto nell'esame di queste dinamiche è sicuramente la motivazione. La storia e le storie dell'emigrazione, ma anche quella dell'immigrazione, sul piano delle motivazioni si somigliano molto anche se le tempistiche sono molto differenti. Mi sembra di vedere, osservando le dinamiche dell'immigrazione, e questo vale quasi per tutto, un film già visto quando sono state osservate le linee di sviluppo della nostra emigrazione.

Osservando le serie di dati delle due dinamiche, quella storica e quella più attuale, dalle fasce di età si risale sicuramente ad una motivazione legata all'occupazione. Tanto è vero, lo dicevamo prima, che le fasce di maggior addensamento sono quelle dell'età lavorativa.

Leggendo molte storie del passato, in particolare sull'emigrazione, si ritrovano altri elementi, diversi dall'occupazione e che hanno a che fare con il carattere “parentale”, nel senso che molti sono “ricongiungimenti” altri ancora, particolarmente per l’emigrazione di un determinato periodo storico, sono “matrimoni per procura”.

Poi ci sono le nuove generazioni, particolarmente quelle “Erasmus” che, a differenza dei fenomeni di epoca precedente, guardano all'emigrazione come una occasione di arricchimento del proprio bagaglio culturale, del proprio curriculum vitae. Queste figure, spesso, non pensano alla durata della migrazione quanto, invece, ad arricchire il proprio know-how per poterlo spendere, in seguito, anche a casa propria.

Più recentemente ritorna con prepotenza, tra le motivazioni, quella di superare la crisi economica attuale o quella, in particolare per gli immigrati, di sfuggire oltre che dalla crisi anche dalla guerra.

Come si può notare le motivazioni sono molteplici e spesso legano il passato con il presente. Quella che è una novità assoluta è la ricerca di una “occasione” per realizzarsi lontano da un paese, il proprio, che da questo versante appare alle nuove generazioni, “inospitale”.

Stiamo cedendo ad altri paesi, senza batter ciglio e senza preoccupazione alcuna, grandi quantità di “saperi” e di “saper fare”, e non ci riferiamo solamente alla “fuga di cervelli”. Spesso questi saperi si muovono nell’ambito dello spazio europeo, in paesi che nel futuro, avendo la stessa moneta ma poca speranza di diventare una sola “nazione” potrebbero rappresentare, se già non lo sono, i nostri più “forti” concorrenti.

Contemporaneamente siamo disinteressati all'arrivo di know-how di cui sono portatori molti degli immigrati che raggiungono il nostro paese. Di questi “saperi” o “saper fare” non ci interessiamo in nessun modo. Non riconosciamo questo potenziale quale importante, anche se occasionale, arricchimento delle nostre potenzialità produttive.

Il combinato disposto di quanto lasciamo "andare via" e di quanto invece ci "arriva" ma non riconosciamo, ci rende più deboli rispetto ad un prossimo futuro nel quale, uscendo dalla crisi, i paesi globali dovranno re-distribuire le produzioni, particolarmente quelle ad alto tasso di tecnologia, quelle cioè che portano surplus di valore. E noi, molto probabilmente, avendo ceduto le potenzialità professionali, ci troveremo a dover partecipare alla distribuzione solo di quelle produzioni a basso valore aggiunto.

Le tendenze per il futuro sembrano andare in questa direzione e niente, al momento, indica un cambiamento di rotta. È vero che la crisi sta accomunando molti paesi. Alcuni la vivono in modo più forte ed altri in modo più leggero ma, non avere politiche che rendono interessanti il restare in Italia, il ritornare nel nostro paese e anche il valorizzare le potenzialità che arrivano da altri paesi ci farà diventare sicuramente una nazione più povera rispetto ad oggi ed anche più povera rispetto a tanti altri paesi che queste politiche le hanno già adottate e che nel futuro potranno superare la crisi in maniera più semplice e meno traumatico di noi.

Non dovrebbe essere complicato e sicuramente non è impossibile invertire questa tendenza. Basterebbe, a parer nostro, individuare gli obiettivi verso i quali si vuole volgere lo sguardo e indirizzare gli sforzi, di tutti, in quella direzione. Ce la possiamo fare! Il domani potrebbe non essere così nero come si presagisce, a condizione che tutti, ognuno per la propria parte, lavorino per la stessa causa.

di Claudio Sorrentino, responsabile Italiani nel mondo Cgil

 

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