Martedì, 23 aprile 2024 - ore 20.32

Garofalo.Indiani d'America e Briganti meridionali

| Scritto da Redazione
Garofalo.Indiani d'America e Briganti meridionali

Nel quadro delle celebrazioni dei 150 anni dell'unità d'Italia, che mi
procurano un senso di fastidio e di insofferenza, ripropongo questo articolo
che ho scritto tre anni fa pensando ad un parallelismo storico tra il
genocidio dei Pellerossa e il massacro del Sud Italia.

Indiani d'America e Briganti meridionali
Non c'è dubbio che nel campo delle interpretazioni storiografiche è
opportuno evitare atteggiamenti troppo faziosi, dogmatici o apologetici per
adottare un approccio possibilmente problematico verso le questioni e i
processi storici. Francamente questo spirito libero non c'è nel clima di
esaltazione retorica dei 150 anni dell'unità d'Italia.

Con questo articolo so di andare controcorrente per tentare di recuperare la
memoria di due esperienze storiche che sono state letteralmente cancellate
dalla storiografia ufficiale. Mi riferisco al destino parallelo degli
Indiani d'America e di coloro che sono definiti i "Pellerossa" del Sud
Italia: i briganti e i contadini del Regno delle Due Sicilie.

Partiamo dai nativi americani. Dopo la scoperta del Nuovo Mondo da parte di
Cristoforo Colombo nel 1492, cominciarono a giungere i primi coloni europei.
All'epoca il continente nordamericano era popolato da circa un milione di
Pellerossa raggruppati in 400 tribù. Quando i coloni bianchi penetrarono
nelle sterminate praterie abitate dai Pellerossa, iniziarono una caccia
spietata ai bisonti, il cui numero calò rapidamente causando un rischio di
estinzione. In tal modo i cacciatori bianchi contribuirono allo sterminio
dei nativi che non potevano vivere senza questi animali da cui ricavavano
cibo, pellicce e altro ancora. Ma la strage degli Indiani fu opera
soprattutto dell'esercito yankee che per espandersi all'interno del Nord
America cacciò ingiustamente i nativi dalle loro terre compiendo veri e
propri massacri senza risparmiare donne e bambini.

I Pellerossa furono annientati attraverso un sanguinoso genocidio. Oggi i
Pellerossa non costituiscono più una nazione essendo stati espropriati non
solo della terra che abitavano, ma anche della memoria e dell'identità
culturale. Infatti, una parte di essi si è pienamente integrata nella
società bianca, mentre una parte minoritaria vive reclusa in alcune
centinaia di riserve sparse nel territorio statunitense e in quello
canadese.

Un destino simile, benché in momenti e con dinamiche differenti, associa i
Pellerossa e i Meridionali d'Italia. Questi furono chiamati "Briganti",
furono trucidati, torturati, incarcerati, umiliati. Si contarono 266mila
morti e quasi 500mila condannati. Uomini, donne, bambini, anziani subirono
la stessa sorte. Processi manovrati o assenti, esecuzioni sommarie,
confische dei beni. Ma noi Meridionali eravamo cittadini di uno Stato assai
ricco. Il piccolo regno dei Savoia era fortemente indebitato con Francia e
Inghilterra, per cui doveva rimpinguare le proprie finanze. Il governo
sabaudo, guidato dallo scaltro e cinico Camillo Benso conte di Cavour,
progettò la più grande rapina della storia moderna: cominciò a denigrare il
popolo Meridionale per poi asservirlo invadendone il territorio: il Regno
delle Due Sicilie, uno Stato civile e pacifico. Nessuno giunse in nostro
soccorso. Solo alcuni fedeli mercenari Svizzeri rimasero a combattere sugli
spalti di Gaeta fino alla capitolazione. I vincitori furono spietati.
Imposero tasse elevatissime, rastrellarono gli uomini per il servizio di
leva obbligatoria (che era già facoltativo nel Regno delle Due Sicilie), si
comportarono vigliaccamente verso la popolazione e verso il regolare ma
disciolto esercito borbonico, per cui molti insorsero.

Ebbe così inizio la rivolta dei Meridionali. Le leggi repressive furono
simili a quelle emanate contro i Pellerossa. Le bande di briganti che
lottavano per la loro terra avevano un pizzico di dignità e ideali,
combattevano un nemico invasore grazie anche al sostegno delle masse
contadine, tradite e ingannate dalle false promesse concesse da Garibaldi.

Contrariamente ad altre interpretazioni storiche non intendo equiparare il
Brigantaggio meridionale alla Resistenza antifascista del 1943-45. Anzitutto
per la semplice ragione che nel primo caso si è trattato di una vile
aggressione militare, di una sanguinosa guerra di conquista coloniale che ha
avuto una durata molto più lunga della guerra di liberazione condotta dai
partigiani: un intero decennio che va dal 1860 al 1870.

La repressione contro il Brigantaggio fu una vera e propria guerra civile
che ha provocato eccidi spaventosi in cui furono massacrati e trucidati
centinaia di migliaia di contadini meridionali, persino donne, anziani e
bambini, insomma un vero genocidio perpetrato a scapito delle popolazioni
del Sud Italia. Una guerra conclusa tragicamente e che ha prodotto
drammatiche conseguenza, a cominciare dal fenomeno dell'emigrazione di massa
dei meridionali, in pratica un esodo biblico paragonabile alla diaspora del
popolo ebraico. Infatti, i meridionali sono sparsi nel mondo ad ogni
latitudine, hanno messo radici ovunque facendo la fortuna di intere nazioni
come l'Argentina, il Venezuela, l'Uruguay, gli Stati Uniti d'America, la
Svizzera, il Belgio, la Germania, l'Australia, ecc.

Ripeto. Se si vuole comparare la triste vicenda del Brigantaggio e la
brutale repressione subita dal popolo meridionale con altre esperienze
storiche, credo che l'accostamento più giusto sia appunto quello con i
Pellerossa e con le guerre indiane combattute nello stesso periodo, ossia
verso la fine del XIX secolo. Guerre che hanno provocato una strage
altrettanto raccapricciante, quella dei nativi americani. Un genocidio
completamente ignorato e dimenticato, così come quello a danno del popolo
del nostro Meridione.

In qualche modo condivido il giudizio rispetto al carattere retrivo e
antiprogressista delle ragioni politiche che ispirarono le lotte dei
briganti meridionali. In politica ciò che è vecchio è quasi sempre
reazionario, tuttavia inviterei ad approfondire meglio i motivi sociali e le
spinte ideali che animarono la resistenza contro i Piemontesi invasori.

Non voglio elencare i numerosi primati detenuti dal Regno delle Due Sicilie
in vari settori dell'economia, dell'assistenza sanitaria, dell'istruzione,
nel campo sociale e così via, né intendo esternare sentimenti di nostalgia
rispetto ad una società arcaica, dispotica e aristocratico-feudale, cioè
rispetto ad un passato che fu di barbarie e oscurantismo, ingiustizia e
miseria, sfruttamento e asservimento delle plebi rurali. Ma un dato è
innegabile: la monarchia sabauda era molto più arretrata, rozza ed
ignorante, molto meno moderna e illuminata di quella borbonica. Il Regno
delle Due Sicilie era uno Stato più ricco e avanzato del Regno sabaudo,
tant'è vero che costituiva un boccone invitante per le principali potenze
europee del tempo, Inghilterra e Francia in testa. Questo è un argomento
talmente vasto e complesso da esigere un approfondimento adeguato.

Infine, una breve chiosa a riguardo delle presunte spinte progressiste che
sarebbero incarnate nei processi di unificazione degli Stati nazionali nel
XIX secolo e dello Stato europeo oggi. Non mi pare che tali processi
"unitari" abbiano garantito un autentico progresso sociale, morale e civile,
mentre hanno favorito uno sviluppo prettamente economico. Non a caso
l'unificazione dei mercati e dei capitali, prima a livello nazionale ed ora
a livello europeo, o globale, non coincide con l'unificazione e
l'integrazione dei popoli e delle culture, locali, regionali o nazionali.
Ovviamente le forze autenticamente democratiche, progressiste e
rivoluzionarie devono puntare al secondo traguardo.

Lucio Garofalo

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