Sabato, 20 aprile 2024 - ore 08.18

Gian Carlo Corada presenta l'Associaizone " Le prospettive"

| Scritto da Redazione
Gian Carlo Corada presenta l'Associaizone

Gian Carlo Corada presenta l'Associaizone " Le prospettive"
Invito a partecipare alla iniziativa di presentazione dell'Associazione culturale "LE PROSPETTIVE" che avrà luogo martedì 12 luglio alle ore 12 nella sede di Palazzo Cattaneo, in Via Oscasali, 3 (Piano Terra) - durante la quale il Presidente dell'Associazione prof. Gian Carlo Corada, presenterà le linee di fondo che animano questo nuovo progetto culturale e la traccia del programma di attività - ci permettiamo di allegare la prima parte (Introduzione) del testo della Conferenza che lo stesso prof. Corada terrà Giovedì 14 luglio alle ore 21 nel cortile di Palazzo Cattaneo sul tema "Allons enfants de la Patrie...... Cremona e la Rivoluzione Italiana".
L'incontro terminerà con un brindisi beneaugurante.
Iniziativa
“LE PROSPETTIVE” Associazione culturale

organizza
presso Palazzo Cattaneo, in Via degli Oscasali, 3
GIOVEDI' 14 LUGLIO 2011 "Cremona ricorda il 14 luglio 1789"
alle ore 21: ”Allons enfants de la Patrie.... Cremona e la Rivoluzione Italiana”

conferenza del Presidente dell'Associazione
prof. GIAN CARLO CORADA
alle ore 21,30: nei cortili e nel giardino di Palazzo Cattaneo
brindisi "Liberté, Egalité e Fraternité" con musica d'accompagnamento
Alla serata sono cordialmente invitati i cittadini francesi residenti a Cremona.
L'intera cittadinanza é invitata a partecipare.
Ingresso libero
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Introduzione del Prof. Gian Carlo Corada
Il presente opuscolo riporta, più o meno, il testo di una conferenza. Ha quindi un carattere
assolutamente discorsivo e non comporta note o bibliografie. Verrà il momento per un saggio più
approfondito, con tutti gli “apparati” che giustamente sono di solito utilizzati. Ciò non toglie che io
debba dichiarare il mio tributo per fonti e notizie a diversi studiosi che nel passato, remoto e
recente, hanno scritto dell'esperienza cremonese di quella che, con bella espressione, Ugo Foscolo
chiamò “Rivoluzione d'Italia”: da Vincenzo Lancetti a Fiorino Soldi, da Luigi Ratti a Gianfranco
Taglietti, a Lucio Villari ed agli autori del bel volume sul Settecento della “Storia di Cremona”,
coordinato da Carlo Capra.


L'intento mio primo e dichiarato è quello di ricostruire, in sintesi, le vicende cremonesi dal 1796,
quando i francesi entrarono in città, fino al 1814, quando definitivamente tornarono gli austriaci.
L'obbiettività della ricerca storica, per quanto difficilmente raggiungibile, deve essere sempre posta
come fine da perseguire. Dichiaro subito, comunque, due convinzioni. La prima l'ho maturata
proprio studiando la storia cremonese del periodo in questione: aver vissuto la città ed il territorio in
quei vent'anni scarsi un momento estremamente interessante, di sviluppo e vivacità rispetto agli
anni precedenti ed anche a quelli immediatamente successivi, almeno fino al 1848; essere stato
presente ed attivo un gruppo di persone, non così ristretto come si potrebbe pensare, coerente con le
proprie idee e pronto a pagare per esse, a sacrificarsi, persone che sono state quasi del tutto
dimenticate sia dalla toponomastica che dalle cronache locali. La seconda convinzione è precedente
e deriva dagli studi che ho compiuto sull'Illuminismo e sul Settecento. L'Illuminismo, prima, e la
Rivoluzione francese, poi, con le sue contraddizioni ed i suoi eccessi, sono stati straordinari
“movimenti” culturali e politici “borghesi”, nel senso che, salvo esigue minoranze, i rapporti di
proprietà non sono stati messi in discussione e libertà ed eguaglianza erano considerati valori
fondamentali ma in una sfera che non toccava se non in minima parte le differenze sociali. Anche
gli espropri ed i sequestri di beni degli ordini religiosi e di alcuni nobili ostili (rientranti in
Lombardia, per quanto riguardava la Chiesa, in una politica già dall'Austria seguita) ebbero
carattere episodico, di continuità con il passato, emergenziale e tutto sommato di non grande
rilevanza. Eppure io credo che quei concetti di libertà ed eguaglianza, nati storicamente così,
maturati in un contesto ben definibile e databile, siano divenuti dei valori universali,
imprescindibili, non negoziabili. Vi è chi contesta questa convinzione, lo so, ma io penso che il
fallimento dei regimi comunisti e di quelli reazionari così come le brutture dell'intolleranza, il
fanatismo del terrorismo e le incertezze dei nostri sistemi ci obblighino a ripensare certi valori
originari (come appunto la libertà, l'eguaglianza e la fraternità), a riallacciarsi ad essi, rinnovandoli,
ed a valorizzarne l'universalità.


Detto ciò, tralascio di parlare del 14 luglio (ricorrenza della presa della Bastiglia e festa nazionale
francese) e della Rivoluzione francese. Dò per scontata la conoscenza, seppure per grandi tratti, di
quanto avvenuto. Vengo subito a ciò che ci interessa in questa sede.
Nel 1796 Napoleone Bonaparte, alla testa di un esercito francese, invade l'Italia. Il suo progetto
aveva poco da spartire con gli ideali della Rivoluzione e tanto meno con le idee giacobine. Aveva
una valenza prevalentemente militare e tattica. Il Direttorio, che comandava in Francia dopo la
sconfitta di Robespierre e dei suoi seguaci, aveva concordato con l'ambizioso generale còrso di
portare la guerra in Italia per liberare i confini sud-orientali della Francia da una possibile invasione
austro-piemontese e per impossessarsi delle ricchezze italiane, al fine di rimpinguare le casse dello
Stato e finanziare la guerra. Tutto desiderava, il Direttorio, meno che la presenza di Stati
“giacobini” al confine della Francia. Ed, a dire il vero, nemmeno l'aveva messo in conto! Ma a volte
la storia agisce per vie sue, imperscrutabili se non ai posteri. E così, mentre le vittorie di Napoleone
allontanavano dalla Francia il pericolo austriaco e portavano al saccheggio delle ricchezze italiane
(con pregiudizio anche del consenso popolare nei confronti del nuovo potere!), provocarono anche
un entusiasmo non previsto in una parte non del tutto insignificante della popolazione. In diversi
posti Napoleone ed i francesi vennero accolti come liberatori. Non fu mai la massa dei contadini o
dei poveri nelle città, e neppure i nobili, a vederli così. Ma intellettuali, commercianti, artigiani, una
parte del clero, assunsero atteggiamenti che dimostrano come le idee sui “diritti” diffuse
dall'Illuminismo avessero fatto presa nel corso degli anni. Napoleone, sorpreso lui pure, adottò per
alcuni anni un atteggiamento ambiguo, di volta in volta favorendo i giacobini o contrastandoli,
illudendo gli italiani circa il rispetto dei principi di indipendenza e nazionalità o schierandosi
contro, secondo l'opportunità della “partita a scacchi” per il potere che stava giocando con il
Direttorio. Gioco su più tavoli che continuò, in modo assai più contenuto, anche dopo il colpo di
stato che portò Napoleone a Console a vita e poi Imperatore. Napoleone dunque suscitò un
sentimento di identità nazionale in un Paese che sembrava esserne privo. Non possiamo qui seguire
le vicende delle Repubbliche cispadana, cisalpina, romana, partenopea, italiana. Possiamo solo
ricordare che nei primi anni i movimenti democratici ebbero maggiore libertà d'azione e che, con il
passare del tempo, prevalsero soprattutto nelle autorità francesi atteggiamenti repressivi delle
posizioni più avanzate. Ricordiamo anche, per onore del vero, che queste posizioni più avanzate
(antiassolutismo, libertà, diritti, maggiore eguaglianza anche sociale) erano sostenute
prevalentemente da persone colte e ricche, appartenenti ad ambienti che oggi definiremmo altoborghesi.
In alcuni casi (a Milano, a Napoli) appartenenti anche a settori della nobiltà (a Cremona il
patriziato fu sempre, con pochissime eccezioni, reazionario ed austriacante). L'identificazione fra
ricchi e giacobini, più vera in Italia che in Francia, rendeva facile la propaganda contro chi diceva di
parlare in nome del popolo per abbattere le vecchie istituzioni.


Comunque, con tutti i loro limiti, i giacobini settentrionali, in particolare quelli lombardi, sono
davvero da annoverare fra i primi patrioti italiani. Tentarono di fare della Repubblica cisalpina e poi
italiana il nucleo fondante di un futuro Stato nazionale. Questa esperienza, cui Cremona diede un
enorme contributo, è stata offuscata agli occhi dei posteri da vari fattori: il fatto anzitutto che sia
durata poco tempo e che poi la Repubblica si sia trasformata nel Regno napoleonico; che
protagonisti siano stati i giacobini, o presunti tali, cioè i democratici dell'epoca, che non godevano
di buona fama presso le masse (ricchi, anticlericali, sprezzanti...); che sia stata infine instaurata
dalle baionette dei francesi, predatori soprattutto all'inizio di tante nostre ricchezze, e da essi
sostanzialmente diretta. E pensare che nulla dispiaceva ai francesi come una Repubblica italiana
autonoma, tendente ad unificare la penisola! Abbiamo documenti da cui risulta come le autorità
francesi fossero molto preoccupate da quel che stava accadendo in Italia e tentassero di agire per
spingere la situazione in direzione di un sostanziale conservatorismo sociale (riuscendoci!). Ai
francesi, insomma, le Repubbliche italiane piacevano finché restavano sottomesse all'autorità della
Francia, tranquille e senza “colpi di testa” egualitaristici; non piacevano e bisognava bloccarle se
ambivano ad unificare il Paese in un unico Stato, forte abbastanza da far da contrasto alla Francia,
per di più da posizioni richiamanti gli iniziali ideali rivoluzionari.
La storia della “Rivoluzione d'Italia” fu dunque breve e contrastata, ma ricca di episodi eroici (di
tradimenti, anche, certo: la storia, ieri come oggi, in città come in campagna, è fatta di venduti e
comprati, oltre che per fortuna di uomini e donne dalla schiena dritta!). Lasciò un patrimonio di idee
e di valori alle generazioni future, la cui incidenza nella Rivoluzione patriottica che portò all'Unità
ancora non è stata indagata, né a livello locale né a livello nazionale. Voglio dire che il nostro
Risorgimento deve molto, più di quanto si creda e si sia affermato, alla Rivoluzione giacobina
italiana. Tanto per fare un esempio, io credo che il permanere a lungo fra i nostri patrioti, sia
moderati che democratici, di un sentimento nazionale non offensivo nei confronti delle altre
nazionalità, sia un lascito di quella esperienza.


Le vittorie di Napoleone e la trasformazione della Repubblica d'Italia in Regno rappresentarono la
svolta moderata della Rivoluzione italiana. Ma anche la svolta moderata lasciò tracce nella storia
del nostro Paese e del suo gruppo dirigente. L'idea di Roma città universale, non più perché sede del
Papato ma perché città della scienza e della modernità e capitale di uno Stato sovrano, nasce da lì.
L'abolizione della feudalità, anche nel centro e nel sud, venne confermata ed anzi accentuata dal
potere napoleonico. Murat poi, l'ultimo dei napoleonidi ed il primo sovrano italiano autonomo, con
il proclama di Rimini del 1815 (redatto dall'illustre giurista ed economista Pellegrino Rossi) ai
“popoli italiani”, pose le basi del movimento nazionale successivo.
Qualunque sia il giudizio conclusivo che si vuol dare sul regime napoleonico, gli storici concordano
su alcuni punti, almeno per quanto attiene all'Italia. Sono stati introdotti comportamenti e stili
politici che possiamo definire liberali e che saranno un punto di partenza dal 1848 in poi, quando le
condizioni porranno di nuovo all'ordine del giorno la possibilità di dar vita ad Istituzioni ispirate a
principi di libertà. Pensiamo alla trasparenza e pubblicità dei Bilanci pubblici, che oggi sembra un
risultato scontato ma che l'ancien régime non prevedeva affatto! Altro dato positivo del periodo
napoleonico in Italia, da tutti gli storici riconosciuto, è rappresentato dal consistente potenziamento
del sistema scolastico pubblico, con l'introduzione dei Licei e di una diffusa scuola elementare, e di
una rete capillare di uffici pubblici (uffici postali, caserme ecc) oltre che di norme innovative per
tutto ciò che attiene la vita civile (anagrafe, matrimoni, funerali, sevizi sociali), con la formazione di
una moderna burocrazia. Positiva fu anche l'introduzione di tariffe doganali protezionistiche (il
protezionismo è utile, in presenza di una industria debole ed agli inizi) per tutelare i prodotti
industriali ed artigianali locali, soprattutto tessili. E positive furono le riforme in agricoltura, con le
modifiche del sistema degli affitti e della mezzadria, riforme tese ad introdurre più moderne
modalità di conduzione delle aziende e rapporti di proprietà non feudali. Tutti questi interventi,
dall'economia alla vita civile all'istruzione all'amministrazione, vennero condotti in tutto il territorio
della penisola. Con un tratto unitario, intendo dire, pur con gli inevitabili adattamenti e le
differenze. Ciò è importantissimo, perché se una linea omogenea fosse stata seguita anche dopo,
soprattutto dopo l'Unità, senza prevaricare e dimenticare le differenze, probabilmente la “questione
meridionale” non avrebbe assunto la drammaticità che invece sappiamo.
Gli storici concordano anche nel valutare i pesanti limiti dell'esperienza napoleonica in Italia. A
partire dal pesante tributo di sangue che le continue guerre imperiali richiedevano e dalla leva
obbligatoria (o semiobbligatoria), odiatissima sempre dal mondo contadino. Ma anche il carattere
élitario e borghese di molte riforme contribuisce a spiegare il mancato consenso e quindi, in parte
almeno, la sconfitta. Voglio dire che certe trasformazioni sociali non furono spinte fino in fondo,
che certe clamorose ingiustizie sociali rimasero, anche per le paure dei francesi; e ciò tolse
credibilità e consenso ai patrioti italiani.


A Cremona non fu diversamente. La città seguì le sorti del Paese. Ma quei vent'anni furono
determinanti anche per la nostra storia. Le vicende ed i protagonisti di quel periodo non possono
essere così brutalmente dimenticati come lo sono stati. Con le nostre iniziative vogliamo
contribuire a togliere dall'oblio storie e persone che meritano di essere ricordate.

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