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Halloween 2015, le origini della magia nera

Tra le pieghe del processo alle streghe di Triora

| Scritto da Redazione
Halloween 2015, le origini della magia nera

“Dicono che quando passava lei, il sole si ritirasse, e un'ombra nera la seguisse. Tutto diventava scuro; i muri si crepavano, le rose perdevano i petali e le donne incinte abortivano solo a vederla. Ma gli uomini la seguivano e, come attratti da un magnetismo irresistibile, diventavano preda della sua magia, schiavi della sua straordinaria bellezza. Aveva capelli lunghi e corvini che le scendevano lisci sulle spalle bianchissime, e occhi neri e profondi. Il suo volto era inespressivo, statuario, le mani sottili. Vestiva in abiti lunghi, di una stoffa pesante come i sai dei frati: io la vedevo sempre passare, la mia strega, e mi sarei venduto l'anima per lei.”

No, non siamo in Transilvania. Queste sono le parole pronunciate nel dopoguerra da un anonimo anziano abitante del borgo di Triora: tradizione orale, reminiscenza di fatti realmente accaduti. Pare che in seguito la presunta dark lady della valle Argentina sarebbe stata costretta a lasciare il paese per via di invidie e maldicenze, velate dalla sopita convinzione che “le streghe divoratrici di uomini” apparissero ancora, ogni tanto, in quel luogo maledetto, ormai segnato da tali e tante crudeltà. Il mito della “strìa”, della “masca” piemontese o per l’esattezza, della “basora” o “baguia” nel Ponente Ligure, una delle figure più intriganti e misteriose della tradizione popolare, fu alimentato da un’infausta pratica, nata sì nel Medioevo, ma conclamatasi soprattutto sul finire del Rinascimento con l'avvento della Controriforma Cattolica: l’inquisizione.

Il borgo di Triora, distante circa 47 km dal mare e dal capoluogo Imperia, sorge a 780 metri d’altezza su un costone montuoso delle Alpi Marittime, che digradano verso un selvaggio fondovalle percorso dallo spumeggiate torrente Argentina. Triora è il prototipo del perfetto borgo medievale: un conglomerato di case d’ardesia arroccate le une sopra le altre, dove i vicoli, detti in ligure “caruggi”, sono sovrastati da numerosi archi di sostegno che impediscono il collasso totale a spericolate strutture sospese nel vuoto. E’ un labirinto edilizio attraversato da vicoli oscuri, incastonati tra muraglioni e scalinate scivolose che precipitano come serpi verso una rete di caverne sotterranee. Presso le dimore nobiliari, quasi per magia, si aprono i tipici portici, provvisti di stemmi araldici d’ardesia rappresentanti motivi sacri e apotropaici come Annunciazioni, agnelli mistici  ma anche simboli di eredità pagana come buoi, teste di pietra e personaggi misteriosi, solo in parte scampati alle distruzioni napoleoniche.

Il primo ambiguo mistero del borgo di Triora fa capolino a partire già dal suo stesso nome: dal latino “Tria Ora”, ovvero “tre bocche”, proprio come quelle del Cerbero raffigurato nello stemma…

Secondo alcuni il segugio a tre teste, mitico custode dell’Ade, starebbe a indicare i tre fiumi alla cui confluenza sorge il borgo di pietra con il suo territorio. Per certo, il luogo su cui sorge Triora in tempi preistorici costituì il centro d’irradiazione di riti ancestrali in diretto contatto con l’Aldilà: tutto ciò, ben prima che nascesse il mito delle streghe. In un’area già costellata di menhir e cerchi di pietre (Passo delle Porte), le origini del primo centro abitato, non ancora del tutto note, andrebbero fatte risalire prima ancora della conquista romana, all'Età del Ferro. Non per nulla, la tradizione ci fa risalire alle tracce di una cultura matriarcale che traeva origine dal misterioso rito celto-ligure della dea Madre “Baubo”, raffigurata su antichissime statuette di pietra, d’osso e avorio come una donna dalle forme molto procaci, con una doppia fila di seni e la parte più intima a forma di fauci di lupo. Le statuette finora trovate, sacralmente oscene ai nostri sguardi giocoforza ormai suggestionati da secoli di cristianizzazione, anticamente venivano portate al collo per difendere le sacerdotesse liguri da una società maschile, dedita alla guerra, in violenta ascesa. Fu così  che la dea Baubo, col passare dei secoli e poi dei millenni, fu volgarizzata nelle vesti di “una simpatica vecchietta” che avvertiva le fanciulle in età da marito a proposito degli inganni insiti nella malizia sessuale del genere maschile. Da questi presupposti si è originata una nutrita serie di storie e dicerie legate a numerose streghe che avrebbero infestato il Ponente ligure: donne dotate di poteri stregoneschi tramandati secondo una logica rigorosamente matrilineare. Tutte le streghe neonate portavano come segno di riconoscimento un neo peloso in fondo alla schiena e sembra che, quando allattate, mordessero i seni delle loro madri fino a farli sanguinare. Di tutta la Liguria, per secoli Triora incarnò il cuore pulsante di questi superstiziosi luoghi comuni.

Le prime fonti di Triora medievale descrivono il passaggio del possedimento dalla potestà degli Aleramici a quella Arduinici e poi sotto i conti di Ventimiglia. Nel 1260, dopo un tentativo di difesa armata, Triora fu definitivamente venduta alla Repubblica di Genova e promossa a capo di una giurisdizione che includeva tutti paesi della valle Argentina. La popolazione rispose positivamente alle chiamate di guerra, specie nella famosa Battaglia della Meloria del 1284, dove Triora e la sua podesteria inviarono nel conflitto navale contro Pisa circa duecentocinquanta balestrieri a sostegno di Genova. Ecco perché Triora poté fregiarsi del titolo di Comune autonomo, tanto che nel XVII secolo il parlamento generale del borgo poté redigere un proprio statuto. Se consideriamo il gran numero di opere edilizie tuttora visibili, è certo che la dominazione genovese assicurò per secoli al Comune di Triora un tenore di vita molto elevato: il borgo poteva vantare la presenza di ben cinque castelli provvisti di portali di ingresso, mura e fortificazioni. Sulla sommità del paese ancora svetta l'antico castello voluto dai genovesi (1260), punto di importanza strategica: il primo luogo di esecuzioni, solo in seguito spostato sulla collina. Purtroppo, dalla fine del ‘500 Triora fu sfortunatamente segnata da eventi poco edificanti: lo scoppio della caccia alle streghe confermò una superstizione già da molto tempo latente.

Tralasciando la collegiata, rimaneggiata nel XVIII secolo, Il numero di chiese è vasto, ma la principale attrazione è costituita dall'oratorio campestre di San Bernardino, le cui origini romaniche sono testimoniate dal portico d'accesso a tre fornici. Ed ecco sopraggiungere il secondo indizio: ciò che esternamente appare come una pacifica chiesa rustica, con un misto di orrore e incredulità svela all’interno l’anima più cupa e tormentata di Triora.

Precedentemente dedicata a San Gerolamo, San Bernardino ereditò il suo nuovo nome per via della furente predicazione da parte del noto predicatore senese, volta a catechizzare le popolazioni locali, lontane dai grandi centri culturali e proprio perciò poco avvezze alla cultura religiosa. Ed ecco riflesse, sui lati lunghi di una semplice aula rettangolare, frammenti di scene tratte proprio dai suoi sermoni violenti e visionari: lo spaventoso Giudizio Universale è un ciclo di affreschi incentrati sui particolari raccapriccianti delle sofferenze corporali dei dannati torturati dai demoni o che, affamati dal peccato della gola, si divorano a vicenda (nel supplizio di Tantalo, destinato ai golosi). Il terrorismo psicologico di queste immagini pittoriche serviva a fissare nella mente delle popolazioni incolte del Ponente quel percorso di purificazione che le avrebbe dovute guidare alla salvezza.

Da un lato la scena raffigurante l’Inferno, suddivisa su tre registri, rafforza l’idea di una nuova iconografia caratterizzata dall’attribuzione, per ogni peccato, di una precisa geografia infernale: ed ecco sfilare i “Settenari dei Vizi”, dove a ogni punizione corrispondeva  un determinato peccato. La Superbia e l’Invidia sono raffigurate ai lati di Satana, quali cause della sua caduta, mentre l’Ira e l’Accidia vanno a immortalare il registro inferiore, per lasciare quello mediano a Gola, Avarizia e Lussuria. Punto di partenza di tutto ciò fu l’antichissima riflessione di Gregorio Magno (VI sec.) per cui il castigo andava misurato sulla base alla gravità dell’offesa «e ogni dannato sarà tormentato dal fuoco dell’inferno secondo la grandezza e l’enormità del suo reato».

Dall’altro lato la visione, unitaria ed escatologica, ha per protagonista l’arcangelo Michele, impegnato alla pesa delle anime accanto a demoni che si affannano sghignazzanti a squartare, mutilare e amputare corpi tra fiamme e schizzi di sangue, mentre nel pozzo infuocato cuociono immersi nel brodo ardente “fatucerie e gàzari”: fattucchiere ed eretici catari, sullo fondo di una moltitudine di bambini pallidi e dagli sguardi angosciati che si stringono all'ombra delle ali spiegate di un enorme e demoniaco pipistrello. È il “sepolcro degli infanti morti senza battesimo, detto “Limbo”, ed essi sono i bambini rapiti dalle streghe, morti senza battesimo e sepolti nel sagrato di San Bernardino. Questa lugubre iconografia fu ampiamente diffusa tra il Ponente ligure e le Alpi Marittime, tra il XIV e il XV secolo, lungo le vie commerciali, da numerosi pittori che si spostavano tra il basso Piemonte verso il territorio ligure - nizzardo. Chi fu l’autore del ciclo? Inizialmente si propese per il pinerolese Giovanni Canavesio, che sul finire del ‘400 dipinse tematiche analoghe a Pigna e a Briga, sconfinando nell’attuale Costa Azzurra; attualmente gli studiosi sono invece più propensi ad attribuire il lavoro al toscano Taddeo di Bartolo e la sua bottega, che già avevano destato scalpore e ammirazione con scene infernali dalla collegiata di San Gimignano.

Ma soprattutto noi ci chiediamo: com’è possibile che le streghe, raffigurate un secolo prima della Controriforma, a Triora fossero già protagoniste?

Dall’altra parte del borgo le lunghe ombre dei muri e delle arcate che sovrastano i vicoli vanno sparendo proprio in prossimità della “Cabotina”: luogo evitato per eccellenza da chiunque dopo il tramonto. L’estrema propaggine meridionale del borgo, situata a ridosso di un orrido al limitare della foresta, dove la via è sbarrata da fitti boschi di conifere e dalla massa imponente delle Alpi marittime, era il luogo dei sabba, delle orge in onore al demonio e delle formule segrete. Cabotina, terrore delle madri: se allo scoccare dell’Ave Maria i loro bambini si fossero trovati ancora fuori dalle mura, sarebbero stati preda delle streghe e palleggiati a calci con le loro colleghe della sottostante località dei Mulini di Triora. Di quel presunto incubo oggi resta uno spazio cinto da case in pietra diroccate, residenza di povere contadine che, dal tempo della grande tragedia (1587), nessuno tornò mai più ad abitare. Delineati i contorni di un luogo tragico e mitico, accennati gli indizi e i presunti colpevoli, spetterà ora a Fabio, con gli atti del processo di Triora, scoprire chi davvero fossero i carnefici e chi le vittime di questa truce vicenda:

Tra il 1587 ed il 1589 il borgo fortificato di Triora, al centro d’intensi scambi commerciali e difeso da cinque fortezze, fu aggredito, nel suo profondo, da un processo giudiziario atto ad estirpare l’eresia, sotto forma di stregoneria, dai suoi vicoli, illuminati dal pensiero antico.

La natura si era rivoltata. Il borgo soffriva. Carestia. Fame.

Il capro espiatorio? Le donne del paese.

Sempre loro. Le accuse le conosciamo prima di leggerle: “Le donne sono artefici di carestia e pestilenza e dedite al cannibalismo verso i bambini”.

La storia un giorno racconterà che la carestia fu indotta da speculazioni dei proprietari terrieri. Questi personaggi governavano il borgo.  Muovevano le menti, semplici e superstiziose, degli abitanti. Il colpevole era individuato prima che il reato si realizzasse. Da sempre le streghe si riunivano per il sabba. Ballavano con il demonio. Ingurgitavano carne di bimbo. Le colpevoli furono individuate in un gruppo di donne che abitavano alla periferia del borgo. Povere ed ignoranti. Così pensavano i dotti, sapienti, governatori di Triora. Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, del 1587, il Parlamento locale, ottenuto, non senza difficoltà, il beneplacito del Consiglio degli Anziani e del Podestà, accusò formalmente le donne del reato di stregoneria. Il Parlamento invitò le autorità religiose ad intervenire. L’Inquisizione altro non aspettava. Doveva intervenire, voleva intervenire. Nel mese d’ottobre giunsero, tra gli acciottolati vicoli del borgo, l’inquisitore generale di Genova ed Alberga ed un frate, Girolamo del Pozzo, sostenitore della presenza del demonio in quelle terre. Affissione di manifesti intimidatori. Giunse l’ora della messa.

Violento atto d’accusa: “ Tutti voi che mi guardate dovete denunciare le persone che hanno causato la morte dei raccolti. Queste donne, o uomini, rappresentano il demonio, mangiano i bambini”. Finita la messa oltre venti persone furono arrestate. I preti sapevano utilizzare la paura. Sapevano gestire la parola. Il Cristianesimo divenne antimagico, fortemente. I postulati del Credo non permettevano la guarigione con le erbe. La preghiera poteva guarire. Doveva guarire. Tutti credevano.

Le persone arrestate aumentarono. Alla paura si deve sostituire il terrore, il cui nome si conosce: tortura. Il numero salì rapidamente a trenta. Tra queste anche un fanciullo dichiarò di dedicarsi alla stregoneria. Le ultime arrestate non appartenevano al ceto umile della popolazione, tra loro anche donne di nobili nascite.  Una delle streghe perì sotto i colpi dei tormentatori. Aveva circa sessant’anni. Il fisico non riuscì a resistere alla brutale forza degli uomini assoldati dagli inquisitori.

Le donne morivano per causa dell’uomo o del demonio. Una seconda, giovane, donna morì sfracellandosi al suolo in un inutile tentativo d’evasione. Gli uomini di fede, in accordo con i politici, convogliarono le accuse sul demonio. Il diavolo tentatore aveva invitato la strega alla fuga.

La veste era troppo corta. La salvezza lontana. La donna doveva provarci. Rimase sulle pietre.

Il potere maschile stava demonizzando, forse sterminando, la cultura femminile.

I primi avvenimenti di Triora s’inseriscono in un ambiente sociale delineato: la controriforma doveva fermare l’avanzata dell’eresia.  Le donne che curavano, o semplicemente alleviavano i dolori, sono le rappresentanti del demonio. Sono l’eresia. Il paese era in subbuglio. Il consiglio degli Anziani decise di intervenire sull’inquisitore inviato in quelle terre. Intervento dovuto alla preoccupazione per la sorte delle donne incarcerate? Sicuramente per una parte delle prigioniere, per quelle che avevano nobili nascite oppure un ruolo di rilevanza nella piccola società del borgo.

Le povere curatrici potevano marcire nelle carceri. Lo stesso trattamento fu riservato, qualche decennio dopo, nel processo alle Streghe di Baceno e Croveo, alle donne nate in quel lembo del Piemonte conosciuto come Ossola.

Gli Anziani allarmarono il vescovo d’Albenga. L’altro prelato iniziò un rapporto epistolare con i suoi uomini operanti nel borgo di Triora. Il del Pozzo, convinto della presenza demoniaca nel paese, difese il proprio operato di fronte al prelato ed al consiglio degli Anziani. Le parti in causa raggiunsero un compromesso: le streghe della periferia rimangono in carcere, le nobili e potenti saranno liberate.

Gli eventi narrati conducono ad un rallentamento del processo. Nel gennaio del 1588 gli inquisitori lasciano Triora dimenticando le donne in carcere.

Le autorità locali non potevano che mutare pensiero, modificare il corso degli eventi. Incaricano un notaio locale di scrivere alle autorità genovesi per una revisione del processo. Passa l’inverno. Le donne in carcere. Passa l’inizio della primavera senza modifiche sostanziali. La fine della stagione dei fiori porta una speranza: le autorità di Genova inviano il commissario Giulio Scribani. Le speranze del parlamento locale, e del consiglio degli anziani, caddero nel vuoto. Lo Scribani scrisse una lettera ai superiori genovesi, nella quale affermava di “essere giunto a Triora per smorbar di quella diabolica setta questo paese che resta quasi del tutto desolato”.

La prima conseguenza dell’intervento di Giulio Scribani?

Trasferire nelle carceri genovesi le persone che giacevano nel buio di Triora. 13 donne, ed un uomo, conobbero le prigioni genovesi. Nel frattempo altre persone furono inquisite, torturate e seviziate.

Gli eventi si spostarono nei vicini paesi di Castevittorio e Sanremo.

Le autorità civili s’interessavano di stregoneria?

L’inquisizione era assente da questi accadimenti.

Lo Scribani non si ferma. Procede velocemente.

Nell’estate, di quel tragico 1588, chiede il rogo purificatore per quattro donne.

Notizie controverse sull’operato dell’uomo giunsero a Genova. Il Doge decise di inviare un giudice a controllare il procedere delle accuse. Serafino Petrozzi non avvalorò il lavoro dello Scribani, che si difese chiedendo tempo per provare le accuse alle donne. Le testimonianze non erano tali da poter garantire un rogo liberatorio. Nuovi processi, torture e sevizie. Giulio Scribani, alla fine d’agosto, chiede, nuovamente, il rogo per le donne incarcerate. Il Doge non ci sta, invia altri due giudici a controllare la situazione. Quattro persone, ora, deliberano sulla vita delle donne arrestate. Non vi sono dubbi: rogo purificatore.

La legna si stava impilando, il fuoco si stava accendendo. I pali si stavano issando.

I giudici attendevano la luce nel buio della sera.

Poco prima del massacro il colpo di scena.

Nei vicoli bui del paese giunge l’inquisitore generale di Genova.

Il potere secolare non può giudicare la stregoneria. No. Le streghe devono essere indagate solo dalla Santa Inquisizione.

Il buio della sera non sarà rischiarato dal fuoco alimentato dai corpi delle donne.

Il frate venuto dal mare decide per il trasferimento delle processate a Genova. Le donne raggiungono le prime tredici, ancora nelle carceri.

Lo Scribani, nel frattempo, torturava, inquisiva e seviziava nei paesi limitrofi.

L’inverno, freddo nel cuore, si concluse con la morte d’altri innocenti.

Primavera del 1589. Il cardinale Sauli decise di intervenire fermando i processi, revocando ogni potere alle persone che agivano nel borgo di Triora. Le streghe furono ritenute innocenti e suddite del potere governativo. 

Lo Scribani? Scomunicato! Solo l’intervento del Doge, in persona, permise la remissione di tale atto da parte della Santa Inquisizione.

Le donne?

Non esistono certezze. Liberate. Morte. Non lo sapremo mai.

I documenti non chiariscono.

I dubbi non esistono sulla durezza del potere temporale, fermato dal volere della Santa Inquisizione. Un caso particolare che non smetterà di suscitare il nostro interesse.

Così terminano le tristi vicende narrate da Fabio. Nonostante tutto, sul processo grava ancora un alone di mistero tale da aver materializzato, nei decenni successivi, un’ipotesi intrigante sulla possibilità che le vere streghe di Triora fossero fuggite in un paesino dell'entroterra genovese chiamato San Martino di Struppa, poiché nei primi anni del Seicento nei registri parrocchiali del luogo iniziarono ad apparire cognomi singolari e forestieri come Bazoro, Bazora, Baggiura o Bazzurro, che richiamano la forma dialettale triorese della strega.

Nel 4 e 5 luglio del 1944, come in una rinnovata maledizione, i tedeschi distrussero interi quartieri di Triora contribuendo allo spopolamento dell’antica e gloriosa Podesteria. Cosa resta oggi del paese delle streghe? La sua bellezza tenace e misteriosa gli è valsa l’inclusione nel circuito dei borghi più belli d'Italia e la Bandiera Arancione del Touring Club Italiano. Attualmente, i pochi abitanti rimasti vivono di turismo di qualità, con la produzione di specialità gastronomiche d’eccezione come “il pane di Triora” e approfittano di occasioni come Halloween per attrarre curiosi da tutta Italia. Ciononostante, qualcosa rimane nell’aria: come poter dimenticare le grida, seppur affievolite dal tempo, delle vittime straziate e dei parenti che assistettero con impotenza al martirio delle loro figlie e parenti? Quel vecchio superstite del dopoguerra di cui vi parlavo, ormai trapassato anche lui, qualche idea ce l’aveva. Riguardava il fantasma della presunta strega inquisita e uccisa: Franchetta Borelli.

“Il suo corpo candido e innocente talvolta appare tra il castello e il fortino di San Dalmazio. Nelle notti di luna io andavo proprio lì, alla Cabotina, dove la vedevo sempre, col suo vestito bianchissimo…quel suo sudario di tortura e sofferenza. Splendeva di una luce bianca diffusa ed era così bella che sembrava la bellezza sempre sognata. Mi parlava con il vento e io ascoltavo senza comprendere le sue parole che avevano un suono dolcissimo: sembrava quasi rivolgersi a tutti quei giovani di Triora che ancora credevano nell'amore, in quell'amore eterno che può continuare oltre la vita. Le streghe di Triora sono state i nostri sogni di gioventù, le nostre illusioni, la nostra forza per superare le guerre e la morte. Ora sono il ricordo di tante sere d'estate sugli spalti del castello, davanti al verde senza fine dell'alta Valle Argentina, quando sognavamo una vita senza distruzioni: il desiderio poter vivere in pace, tra le nostre dolci streghe che i turisti non potranno vedere mai, perché sono solo dentro di noi.”

Fabio Casalini - Marco Corrias (alias Marc Pevèn)

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