Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 22.56

Il 27 marzo è stata la Giornata mondiale del teatro |Alceste Ferrari (Cremona)

Se ne parla come di un’entità morale, ma dopo 14 mesi inattività pressocché totale, è più che urgente parlarne in termini di sopravvivenza.

| Scritto da Redazione
Il 27 marzo è stata la Giornata mondiale del teatro |Alceste Ferrari (Cremona)

Il 27 marzo è stata la Giornata mondiale dello scomparso dai radar: il teatro |Alceste Ferrari (Cremona)  

Se ne parla come di un’entità morale, ma dopo 14 mesi inattività pressocché totale, è più che urgente parlarne in termini di sopravvivenza.

Ovvio che se i numeri della pandemia sono quelli che si leggono sui giornali, c’è quasi imbarazzo a parlare di luoghi di aggregazione culturale: non si parla di bar, ristoranti, alberghi, viaggi, turismo, vita sociale... figurarsi di teatro.

Ma dei lavoratori bisognerebbe parlarne. Perché 4.800 euro in un anno a chi vive di questo lavoro, paga affitti, mantiene famiglie, manda figli a scuola o semplicemente li vuole sfamare, non può bastare. Quando iniziai a lavorare, la gente mi chiedeva «cosa fai»? «Il teatro» rispondevo. «Si, vabbè: ma per vivere che lavoro fai»?

Ecco: dopo quarant’anni c’è ancora chi pensa che fare teatro sia e debba continuare ad essere un artistico hobbie, non una professione, un lavoro, una fonte di reddito. Ma spettacolo dal vivo è anche quello di chi suona il jazz, il blues o magari il liscio nelle sale da ballo, non solo di chi suona Mozart. E anche in questa città c’è chi non sa più a che santo votarsi per pagare gli affitti –migliaia di euro –di una sala inesorabilmente chiusa da oltre un anno e per non si sa per quanto tempo ancora.

Decine di attori, musicisti, danzatori, tecnici in questa fase hanno scelto ob torto collo di fare altro: c’è chi fa il rider, alcuni puliscono pannelli solari, altri (i più dotati, forse) sono riusciti a «beccare» una supplenza: diventeranno probabilmente ottimi in questi nuovi lavori, ma non è il loro lavoro. E le nuove leve, i nuovi talenti? Perché decidere di lasciare altre opportunità per vivere di sola attività attoriale (come feci io quarant’anni fa) è atto di coraggio che rasenta l’incoscienza, assolutamente impossibile da intraprendere in questi tempi dove è presumibile tutto sarà bloccato per un’altra stagione, la terza. Bloccare tre stagioni di fila significa annientare un mondo.

Non si possono limitare le attività allo streeming, ai monologhi, ai testi a due personaggi: spettacolo è massa, colori, scene, azione, respiro. Credibilmente: vedete possibile tornare a ballare in pista un tango nei prossimi 12 mesi? E quando un servitore di due padroni (17 interpreti oltre ai tecnici) o un Opera da tre soldi (mi rifiuto di contarli).

O un Edipo Re? Con la limitazione a 200 spettatori al chiuso e 400 all’aperto? Quali costi e quali rientri? O si dice chiaramente che la cultura, e lo spettacolo dal vivo in particolare, sotto l’aspetto molto concreto dell’economicità, è affare della comunità, e quindi dello Stato nelle sue varie articolazioni, oppure mettiamoci una pietra sopra e i testi nelle biblioteche, assieme a quelli che furono i calendari delle tournée. Vanno inventate iniziative da cui arrivino risorse vere per i lavoratori dello spettacolo: non elemosine, attività.

Con tutto il rispetto e l’apprezzamento, i bandi per cultura partecipata, con 1.500 euro ad associazioni varie per la loro sopravvivenza e non per il lavoro di artisti e tecnici, a questo non servono. La Regione deve fare la propria parte, non può delegare tutto al Ministero ed ai fondi FUS ed extra-FUS. Nella totale assenza di Regione Lombardia, che ancora una volta si distingue in questo, vanno inventate attività che compensino artisti e tecnici anche –e direi inevitabilmente –malgrado la carenza di pubblico. Quando assegnarono il Nobel a Fo io lavoravo con lui. Avemmo modo di ragionare sul fatto che era un riconoscimento altissimo che rischiava di mettere una pietra sul senso recondito di u n’arte, facendola depositare n e l l’alveo di un’altra cosa che è il libro.

Quelle parole, quei concetti avevano bisogno del corpo, dei corpi degli attori in scena, senza di essi il senso cambia, il testo non è più parola ma solo (si fa per dire) libro. Quindi, il paradosso era che il nobel alla letteratura dato al teatro o annullava la letteratura o annullava il teatro. Quel che non fece un premio lo farà il covid? 27 marzo giornata mondiale del teatro: a che punto siamo, allora?

di ALCESTE FERRARI (Cremona)

Ex impresario teatrale/Associazione culturale  Retablo

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