Sabato, 27 luglio 2024 - ore 03.50

Il tuo nome tra gl’inni risuona Omelia + Antonio Napolioni di Sant Omobono

Quando arriva la festa di S.Omobono, torna a frullarci in mente il suo inno popolare.

| Scritto da Redazione
Il tuo nome tra gl’inni risuona Omelia + Antonio Napolioni di Sant Omobono

Il tuo nome tra gl’inni risuona Omelia + Antonio Napolioni di Sant Omobono

Di seguito il testo dell’omelia di S. E. Mons. Antonio Napolioni, Vescovo di Cremona, nella Messa Pontificale del 13 novembre in Cattedrale in occasione della solennità di sant’Omobono, patrono della città e della diocesi di Cremona.

 Quando arriva la festa di S.Omobono, torna a frullarci in mente il suo inno popolare. In questa città così amica della musica “all’unico Dio si innalzino canti”, e rivolti al patrono noi aggiungiamo: “il tuo nome tra gl’inni risuona”. 

 Certamente, dovrebbero cantare a lui le migliaia di persone e famiglie aiutate in questi 50 anni della nostra Caritas, che nel tempo apre ancora la borsa del Santo.

 Eppure, da qualche tempo la voglia di cantare è duramente messa alla prova. Dagli eventi che accadono, dai mali che ci affliggono, dal futuro che intimorisce. Chi avrebbe il coraggio di dire alla gente: “canta che ti passa”? Semmai Agostino direbbe con ben altra sapienza: “Canta e cammina”. E tu, padre nostro Omobono, non lasciarci nel silenzio. Tu che al canto del gallo eri già in chiesa per unirti alle lodi del mattino, tu che sei morto mentre l’assemblea cantava il Gloria a Dio, tu che hai sciolto la lingua ai muti guariti dalla tua potente intercessione, tu la cui vita generosa fa ancora salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo nostro (2Cor 9,11).

 Tu, parlaci e aiutaci a cantare… e la tua risposta non si è fatta attendere.

 “Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca canti la tua lode”. Non faccio altro, da secoli – se il tempo ha ancora senso in cielo – cari fratelli, figli ed amici. Se in terra lavoro e penitenza, preghiera e carità erano l’umile gioia del mio cuore, ora gli angeli ci invogliano a cantare sempre, adorando il Mistero santo di Dio e riversando grazia sul vostro cammino.

 Perciò, oggi, voglio cantare con voi e per voi, perché le pene e le paure non vi strozzino la voce in gola. Perché la vostra vita si unisca alla mia, in Cristo Gesù, in un ritornello che diventi realmente storia, salvezza e pace. So che mi chiederete ancora: “discordie componi, disperdi gli errori, infondi nei cuori la pace e l’amor”. Perciò proverò a dirvi come vivere e gustare ciò che cantate, pensando a me.

Discordie componi

Ho conosciuto anch’io quella che oggi chiamate la “tempesta perfetta”: peste e guerra, siccità, carestia e fame… la nostra bella pianura era insanguinata da lotte violente tra tutte le città, contese tra i potenti e i mercenari del tempo, che a volte le distruggevano senza pietà. Certi sacerdoti esortavano alle armi anziché invitare alla pace. Solo il vescovo Sicardo sapeva farsi mediatore e paciere. E io, come ancora cantate, improvvisandomi “nunzio di pace… mi offrivo a sopire dissidi irruenti”. Infatti, fedele alla preghiera, tardavo a giungere in chiesa solo quando avevo dovuto assistere i poveri o adoperarmi per riportare la pace tra le fazioni della città. 

Tra la città vecchia e la città nuova. Una sfida che oggi si ripropone a voi: tenere insieme chi vorrebbe chiudersi in moderne mura difensive e chi spalancherebbe le porte a tante diversità. Condividendo quella sana inquietudine che diventa ascolto, dialogo, ricerca del bene vero, che fa bene a tutti e che deve essere sempre possibile. Con il rispetto per le attese del popolo, tutto intero, da servire e non da strumentalizzare. Da ascoltare anche quando sembra rinunciare ad esprimersi, o viene relegato in un cantuccio oscuro e magari invisibile della realtà.

Io non mi sono disinteressato delle discordie nella Cremona del XII secolo, ed andavo a cercare ciascuno, perché ci si guardasse in faccia, e si rinunciasse a farsi ancora del male. Oggi per voi, che siete in tanti nello stesso piccolo mondo, il mosaico è certo più complesso e perciò richiede umile pazienza. E tanto coraggio, senza indugiare. Perché si moltiplicano i poveri, o meglio gli impoveriti. E almeno in questa giornata a loro dedicata, ascoltate la Scrittura: non dargli motivo di imprecare contro di te; perché se nella tua amarezza ti maledice, chi l’ha creato ascolterà la sua preghiera (Sir 4,5-6).

Non permettete a nessuno di seminare discordia nei popoli, nelle famiglie, nei cuori, tra le generazioni. Ascoltate e seguite i pastori che guidano sulla difficile via della pace. Lo Spirito ha suggerito al Papa di richiamare tutti alla radicale vocazione alla fraternità umana, unico rimedio alle spinte distruttive che tentano di prevalere. A 60 anni dal Concilio Vaticano II, attuatelo alla luce dell’enciclica Fratelli tutti, generando un mondo aperto e non chiuso, una politica ispirata alla carità e all’amicizia sociale, che faccia di ciascuno un operoso artigiano della pace.

 Disperdi gli errori

 Il vostro Francesco scrive che i percorsi di pace iniziano con “un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia” (FT 226). Dato che voi mi cantate “maestro verace… disperdi gli errori”, permettetemi di offrirvi la mia testimonianza.

Il potere e la ricchezza sono gli idoli di ogni tempo, e sempre la corruzione insidia chi ha un ruolo di rilievo nella società come nella Chiesa. Ho conosciuto antipapi e falsi vescovi, e tanta gente affannarsi allo spasimo per le cose del mondo. Nel mercato che esplodeva e seduceva, come ho fatto a mantenermi sposo e padre onesto negli affari, serio nei rapporti, giusto con il prossimo, “uomo semplice, molto fedele e devoto” - come di me attestava Sicardo?

 Davvero l’uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti, spunta nelle tenebre come luce per i giusti, buono, misericordioso e giusto (Sal 112,1.4). Ciò non è stato scontato o automatico, non bastò l’educazione ricevuta, finché non avvenne la mia conversione adulta a Cristo, la grazia e la scelta di nutrirmi di Lui nell’eucaristia, di lasciarmi abbracciare e rigenerare da Lui nella confessione, di unirmi a Lui nella penitenza e nella carità, di lodare e adorare Lui nella preghiera. Sono le fonti sicure e perenni della vita in Cristo e nella Chiesa, a cui ho attinto con umiltà e fiducia di figlio. 

 Anche io ero provocato da errori striscianti, come l’eresia dei Catari, i cristiani duri e puri, pochi eletti irraggiungibili, laici impadronitisi frettolosamente del Vangelo rinunciando alla pace che viene dalla cura per la carità fraterna e  l’obbedienza filiale. Scelsi di restare nel mondo ma senza vivere mondanamente (A. Vauchez), mettendo la ricerca del Regno di Dio in cima ai miei desideri.

 Quanto cammino ha fatto la Chiesa, grazie alla docilità allo Spirito di tanti uomini e donne! Come S.Ignazio, che nei suoi Esercizi spirituali vi ha insegnato a discernere pensieri e sentimenti, nell’ingarbugliato cuore di ciascuno, e riconoscere così l’azione di Dio e della sua grazia, rispetto ai tanti inganni che il Nemico ci sa suggerire. Prima di disperdere gli errori degli altri, è saggio accettare di far luce, verità e novità nel proprio intimo, con l’aiuto di qualche buon maestro nello Spirito.

 Infondi nei cuori… la pace e l’amor

 “Nei figli devoti ridesta fervor”. Dunque sapete da tempo, e addirittura cantate ciò che vale più di ogni cosa. E che i Salmi hanno insegnato a tutti i credenti: Beato è l’uomo generoso e buono… saldo è il suo cuore, confida nel Signore (Sal 112,7).

 Il decisivo cantiere della pace è il cuore di tutti noi, nella misura in cui esplicita il suo vero tesoro (cfr. Lc 12,34), il suo obiettivo, orizzonte e motivo di vita. Il Signore mi ha dato di avere sempre un cuore da fanciullo, con lo stupore di chi riceve tutto in dono, grato e affascinato soprattutto dal suo perdono, occasione inimmaginabile di toccare in qualche modo il cuore stesso di Gesù, la misericordia infinita del Padre. Non ho più potuto fare a meno di riversare tutto questo nei gesti della vita quotidiana, in ogni incontro, specie coi fratelli più fragili e bisognosi, in cui riconoscevo la stessa umana presenza del Signore.

 La vita così è diventata un miracolo, nel cuore, negli sguardi e nei fatti. Come quella volta che, mentre portavo anfore di vino ai contadini della mia vigna, incontrai dei poveri assetati e lo diedi tutto a loro. Temendo di tornare a casa con le brocche vuote, le riempii ad una sorgente di acqua e vi feci un segno di croce. Arrivato, i miei gustarono un vino mai così buono. La scena di Cana si era ripetuta.

 Dio davvero infonde in noi ciò di cui abbiamo più profonda sete. Non il successo o il potere, non l’apparire o l’avere, ma l’essere amati, sapersi amabili e scoprirsi capaci di amare. Non l’autorealizzazione del narcisista, ma il trascendersi e donarsi del figlio di Dio, liberato da ogni schiavitù, nell’incontro con Dio che è Caritas, agape. In cielo non ci sarà altro, nel cammino non attardatevi a scoprirlo. Perché, davvero “del mondo il dolore guarisca l’amore”. 

 Grazie, amatissimo modello e maestro di vita, Omobono di Cremona. Oggi canteremo con più consapevolezza e gioia l’inno al tuo nome, benedetto da Dio, santificato per noi. Perchè ci hai ricordato il segreto dei fruttuosi 50 anni di Caritas cremonese e di ciò che ancora oseremo in futuro. Ti rivolgo infine una preghiera, quella che il grande Arcivescovo Cazzani ti rivolse proprio un secolo fa, in quel difficile 1922:

 O nostro pietoso Protettore,

con la luce dei vostri esempi e con la potenza della vostra intercessione

ravvivate in questo popolo vostro la fede e rinfocate la carità,

perché vinto ogni egoismo, 

frenata ogni insana cupidigia e spento ogni odio fraterno,

torni a regnare in mezzo a noi la pace,

restauratrice feconda della vita cristiana e civile.

Così sia.

 Cattedrale di Cremona, 13 novembre 2022

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