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L’identità di Vescovato nei ricordi e nella poesia locale di Agostino Melega

Lo scorso 27 aprile , organizzato dal LIONS DI VESCOVATO, presso il Ristorante Mappamondo, Agostino Melega ha relazionato sull’ “L’identità di Vescovato nei ricordi e nella poesia locale”. Presentiamo l’intero documento ringraziando l’autore.

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L’identità di Vescovato nei ricordi e nella poesia locale di Agostino Melega L’identità di Vescovato nei ricordi e nella poesia locale di Agostino Melega

Buonasera a tutti! Ringrazio la Presidenza e la Segreteria del Lions di Vescovato per l’invito rivoltomi d’offrire un contributo mirato a riflettere su alcune delle peculiarità proprie e tipiche dell’antropologia vescovatina.

Uno degli strumenti più adeguati ed immediati per cogliere questa cifra è la lettura della lingua dei nativi, in questo caso il vernacolo di Vescovato, con il quale si sono intinte d’accenti particolari le sue tradizioni e la sua anima più autentica e profonda. Ma non partirò appellandomi subito ai poeti che hanno tinteggiato con colore e calore pagine di vita locale. Lo farò in seguito. Dapprima desidero richiamarmi a riferimenti storici, seguiti poi da particolari ricordi personali e dai rimandi ai lasciti poetici di chi ha voluto cantare i sentimenti e l’umanità di questo borgo, che oggi conta 3903 abitanti, e la cui prima denominazione fu quella di Vico Decius o Vico Decio. Tale antico e romano toponimo fu poi modificato in riferimento – mi si conceda la battuta - alle bràaghe de’n Vèescof, alle braghe di un Vescovo. Al di là del detto mutuato dal dialetto nell’ambito delle favole sulla nascita dei bambini, vi è in effetti un preciso nesso storico fra i vescovi di Cremona e la nascita del nuovo nome indicativo del borgo di Vescovato. Questo nesso ci viene attestato dal sacerdote Angelo Grandi sul libro Descrizione della provincia e diocesi di Cremona, pubblicato nel 1858. Il Grandi scrive, infatti, che secondo il canonico Antonio Dragoni, il toponimo Vescovato deriverebbe dall’aver fissato in questo luogo la sua sede “Sisto II vescovo di Cremona all’aprirsi del secolo VII, fuggito di città coi pochi avanzi del Presbiterio per non cader vittima dei fieri soldati del ferocissimo Agilulfo re Longobardo, che arse e distrusse la città”. Dopo la presenza di Sisto II, nel borgo probabilmente fortificato, dimorarono pure i successori Desiderio I ed Anselmo detto il Magno, e quest’ultimo per alcuni anni. Infatti quella lingua di terra che s’iniziò a chiamare Vescovato per l’interinale collegamento con la sede vescovile di Cremona, si trovava in un’area abbastanza sicura, posta ad eguale distanza dal gran Lago Gerundo e dai Casali sul Po, siti nei quali potersi rifugiare nel caso d’estremo pericolo.

Ora, però, tale frangente di storia collegato all’origine del toponimo lo devo lasciare sullo sfondo per iniziare il mio approfondimento con dei riferimenti riguardanti anni molto più vicini a noi, vale a dire gli anni Sessanta del secolo scorso.

In quel periodo, agli occhi di chi giocava al calcio a livello dilettantistico, e non solo a quegli occhi, il nome e l’immagine di Vescovato non avevano nessun riferimento storico ed ecclesiastico, ma essi veniva abbinati ed associati ad un unico riferimento laico, sportivo e d’attualità, ossia al riferimento con la Leoncelli, col nome della mitica squadra che giunse, militando in Quarta serie, a toccare i confini del settore professionistico. Quella squadra - tutti ricorderanno - era accompagnata, nelle sue epiche vicende sui campi di calcio della Val Padana, da una singolare mascotte: una leonessa in carne ed ossa, che suscitava, in chiave non solo simbolica, un’idea del furore agonistico che avrebbe caratterizzato la grinta dei giocatori di Vescovato.

Indimenticabile fu il successo dei biancorossi di Ugo Sartori, nella stagione 67/68, allo stadio Zini contro la Cremonese, quando ‘Turo’ Cabrini riuscì a bloccare Emiliano Mondonico, l’astro nascente del calcio nostrano, portando la squadra dei vari Anselmi, Cappelletti, Lanzetti, Marinoni, Belloni a vincere 2-1 davanti a cinquemila increduli spettatori. Quello fu un indimenticabile momento e rappresenta per me una precisa icona riferita ad uno spazio mentale in cui mi piace rileggere la sintesi di una lunga storia comunitaria: lo spirito e la vitalità storica di Vescovato.

Va pure aggiunto che per le generazioni precedenti alla mia, il riferimento all’alacre comunità di questo paese, non era dato tanto dal riferimento ad una formidabile squadra, alla Leoncelli appunto, ma all’immagine di un calciatore, di uno solo,  del centrocampista Giacomo Mari, il quale, oltre ad aver giocato nella Cremonese, nell’Atalanta, nella Juventus e nella Sampdoria, indossò diverse volte con onore la maglia della Nazionale Italiana, partecipando pure ai mondiali di calcio in Brasile nel 1950 ed in Svizzera nel 1954. Mari fu e rimane una figura vescovatina indimenticabile.

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