Mi sembra opportuno spiegare come ho vissuto quei momenti e cosa è successo davvero.
La riforma della Costituzione è alla Camera da inizio settembre, dove ha iniziato il suo percorso in Commissione Affari costituzionali. La discussione in Aula è iniziata a dicembre con un tempo contingentato di circa 105 ore, ampliato di un ulteriore terzo. Con un accordo con i partiti (Sel, FdI, Lega, M5s), è stato deciso di terminare le votazioni dopo l’elezione del Presidente della Repubblica per evitare che ci fosse uno scambio tra l’approvazione delle riforme e l’elezione del nuovo Capo di Stato.
All’inizio di questa settimana è stato fatto un ulteriore accordo per ampliare i tempi del dibattito, ormai esauriti, e per rinviare la votazione finale a marzo, come richiesto dai partiti di minoranza a cui ora si è aggiunta Forza Italia.
Dopo tutte queste trattative, mercoledì sono stati presentati circa 2mila sub emendamenti – per darvi un’idea, se ne riuscivano a votare circa 100-150 al giorno – e in più il regolamento della Camera consente che ogni mattina si possano presentare altri nuovi sub emendamenti.
Capisco che raccontare tutto ciò possa sembrare noioso e difficile da comprendere, ma è solo per farvi capire come questo meccanismo consenta di non arrivare mai ad approvare una legge o, come in questo caso, la riforma.
La scelta risolutiva è stata, dunque, di fissare una “seduta fiume”, cioè si continua ad andare avanti a votare a oltranza fino al termine, notte compresa. L’obiettivo era di evitare la presentazione di nuovi sub emendamenti e il blocco completo dei lavori.
Questo ha scatenato la protesta del M5s che così non poteva più proseguire con il suo ostruzionismo e che, come alternativa, ha impedito in tutti i modi ai deputati di altri partiti di intervenire e di proseguire con le votazioni. Gravissimi i cori di insulti nei confronti della Presidente Boldrini e dei vice presidenti a cui si è aggiunto il lancio di oggetti verso di loro e del personale di supporto alla presidenza. Questo clima di tensione ha scatenato anche la rissa fra un deputato del Pd e uno di Sel.
Come è stato più volte ribadito, è giusto che chi non condivide abbia la possibilità di intervenire e dibattere, ma diventa difficile immaginare che riesca a impedire di votare i provvedimenti, soprattutto se mette in campo urla, insulti, scontri fisici. Questo significherebbe la completa paralisi del Parlamento. E comunque, ci sono metodi diversi per dimostrare il proprio dissenso e anche per fare ostruzionismo.
On Paolo Cova (Pd)