L’apertura del cantiere di Pedemontana per la realizzazione delle tratte B2 (da Lentate a Cesano Maderno) e C (da Cesano a Vimercate) è rinviata almeno fino al 2023: il consorzio giunto secondo nella gara per l’assegnazione della maxi-commessa da 1,3 miliardi di euro, composto da Saipem, Technimont, Societa italiana per Condotte d'acqua e Rizzani de Eccher, ha infatti presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale di Milano.
I motori accesi dal consorzio che riunisce Webuild, Pizzarotti e Astaldi dovranno per il momento essere spenti.
I lavori sono fermi dal 2015 (anno in cui, in occasione di Expo, l’opera avrebbe dovuto essere conclusa) e lo resteranno per almeno un altro anno.
Pedemontana, che nel frattempo è passata in mano a Ferrovie Nord Milano (controllata di Regione Lombardia), era riuscita con un colpo di mano e con il silenzio colpevole del Ministero dei Trasporti a farsi prorogare gli espropri dalla concedente CAL (stessa proprietà di Pedemontana, ovvero Regione Lombardia, con gravissimo conflitto di interessi e di competenze) che il CIPE si era ben guardato di prorogare essendo già scaduti ben due volte, contro legge, contro logica, contro etica e soprattutto contro l'interesse di migliaia di interessati.
Le confische interessano quasi 25 mila porzioni di territorio di privati cittadini e imprese che da 12 anni, e ancora almeno per un altro, saranno privati della disponibilità dei loro terreni e fabbricati senza essere indennizzati. Intanto, cittadini e imprese, hanno intrapreso una class action per liberarsi dalla scomoda posizione di ‘ostaggi’ di un’infrastruttura che non si completerà mai.
Se il contenzioso che si è aperto tra i due potenti consorzi di imprese durerà quanto il precedente, che dal 2015 al 2019 aveva coinvolto Strabag e l’appaltatore Pedemontana, vincitrice dell’appalto della prima tratta (lotto A), si prevedono tempi lunghi e costi di costruzione altissimi, visto anche il balzo all’insù del costo delle materie prime.
O più probabilmente l'effetto sarà che l'appalto si fermerà prima ancora di partire o meglio ancora appena dopo essere partito, che è la classica situazione italiana ideale per l'appaltatore quanto pessima per la parte pubblica. Durante gli anni di quel contenzioso, Pedemontana ha rischiato il fallimento per insolvenza: ora corre lo stesso rischio. Per stare in piedi, negli ultimi 10 anni la società ha cambiato un presidente l’anno, e dopo il soccorso economico e politico della regione Lombardia ha dovuto ricorrere all’appoggio anche dei ministeri dei Trasporti e dell’Economia. Ora però ci si trova davanti ad uno scontro sorprendente tra i colossi delle costruzioni. Scontro che non riguarda come mitigare l’impatto ambientale devastante che l’opera avrebbe, ma sull’accaparramento della maxi-commessa.
Tra gli azionisti del consorzio ricorrente c’è Saipem (società sotto stretto controllo pubblico), una evidente dimostrazione che prima prevalgono gli interessi d’impresa e poi gli interessi pubblici. Interessi che oramai, peraltro, sono solo sulla carta, visto che la realizzazione dell’autostrada è fuori tempo massimo. Il ritardo nella sua realizzazione è tale che la provincia di Monza è costretta a spendere 540 mila euro per le manutenzioni ordinarie di 4 ponti che dovrebbero essere abbattuti proprio per far passare la Pedemontana e e da questa pagati.
Dario Balotta presidente Osservatorio Nazionale Infrastrutture e Trasporti