Fino ad ora, nessuna politica è riuscita a fermare i flussi sulle rotte del Mediterraneo e dei Balcani. Non le frontiere, il filo spinato, i muri. Non le polizie, le barriere elettroniche e i terreni minati.
I migranti forzati sono tanti, disperati, per lo più giovani, e vogliono ad ogni costo un futuro diverso. Le previsioni dicono che entro quest’anno, in Europa, ne verranno 1 milione. Arrivano in un continente che invecchia perché il 34% dei suoi cittadini avrà più di sessant'anni entro il 2050 e la sua popolazione lavorativa calerà di 7,5 milioni entro il 2020 (dati Ocse). Sbarcano sulle coste del nostro paese dove, già oggi, un abitante su cinque è sopra i 65 anni e dove il rapporto tra nascite e decessi ha raggiunto ormai il picco più basso (-1,1%).
Una politica europea lungimirante dovrebbe tenere conto di questi dati demografici ed economici e capire l’importanza di pianificare adeguate politiche migratorie comunitarie. Per esempio, prevedendo strategie di anticipazione/avvicinamento della domanda di protezione internazionale nei paesi di transito, (Giordania, Libano, Magreb). Aprendo corridoi umanitari, organizzando piani di ammissione umanitaria, un’equa ripartizione delle quote e i relativi piani di reinsediamento,
Ma di fronte alla crisi migratoria globale, l’Europa è disunita e procede in ordine sparso. Fino ad ora ha adottato misure tampone o interventi emergenziali, spesso in contraddizione tra loro. Ciò che accomuna i paesi UE sembra essere piuttosto la preoccupazione di difendere le frontiere: i vari governi le aprono e le chiudono a singhiozzo, oppure le sigillano e le presidiano con le forze dell’ordine che respingono i profughi con la violenza.
Tra i paesi europei è stato difficile perfino trovare un accordo sulla ripartizione dei profughi titolari di protezione umanitaria; lo si è fatto con criteri selettivi dando la precedenza a quelli provenienti da precise nazionalità e lasciando tutti gli altri in secondo ordine. Al contrario, la proposta di colpire i trafficanti per fermare i barconi ha trovato facili consensi anche se, di fatto, priva dell’unica via di salvezza quanti hanno già attraversato deserti, conosciuto campi e prigioni, subito sevizie e torture, patito fame e sete. Bombardare i barconi è una tragica scorciatoia: colpisce gli effetti ultimi del problema migratorio senza affrontare le ragioni (vicine, lontane e lontanissime) che lo generano. Bombardare i barconi è certamente meno complicato che assumere iniziative politiche –diplomatiche volte a risolvere i conflitti in corso; è un’operazione più immediata che costruire un sistema d’asilo nella piena applicazione della convenzione di Ginevra sui rifugiati, come chiede ai governi europei l’alto commissario per i rifugiati Onu, Antonio Guterres.
Ma perché impiegare energie e strumenti militari, contro i bersagli più facili – i barconi – col rischio di colpire anche i più vulnerabili tra gli uomini: i profughi?
Non può essere questa la risposta a un processo strutturale e irreversibile come il fenomeno migratorio! Niente e nessuno fermerà i flussi se i migranti, pur di fuggire, sono disposti a chiudersi in una valigia, a viaggiare sotto i camion, nelle stive asfissianti o attraversare a piedi i deserti! L’istinto umano di sopravvivenza avrà il sopravvento. Unica alternativa resta la via della protezione internazionale
Pax Christi Cremona