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Pianeta Migranti Non migliora la crisi migratoria di Bruna Sironi

Le crisi migratorie del passato ci insegnano ad affrontare quelle di oggi. Nel secolo scorso numerose furono le crisi internazionali che provocarono ondate di profughi. L’impegno dell’Onu e la collaborazione della comunità internazionale ne determinarono una gestione accettabile

| Scritto da Redazione
Pianeta Migranti Non migliora la crisi migratoria di  Bruna Sironi Pianeta Migranti Non migliora la crisi migratoria di  Bruna Sironi

Disorganizzazione, assenza delle istituzioni internazionali competenti e mancanza di politiche di accoglienza positive determinano l’inaccettabile situazione attuale. 

Le immagini dei profughi dall’Africa e dal Medio Oriente e delle condizioni disumane in cui raggiungono l’Europa sono ormai quasi scomparse dagli schermi televisivi e dalle prime pagine dei giornali, ma il flusso continua. Ogni settimana vengono tratte in salvo migliaia di persone davanti alle nostre coste. Troppo spesso ci sono naufragi con numerose vittime nel canale di Sicilia e nel tratto di mare che separa la Turchia dalla Grecia. Ogni giorno migliaia di persone passano i confini tra gli stati dell’Europa orientale o rimangono intrappolati dai muri e dai mille ostacoli  messi sul loro cammino dai governi dei singoli paesi di un’Europa che si è fatta trovare impreparata davanti ad una crisi da lungo tempo annunciata e inevitabile. Era chiaro che milioni di persone si sarebbero messe in cammino per cercare un rifugio sicuro a causa del continuo peggioramento della situazione politica e militare in paesi come la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia, della destabilizzazione portata dalla diffusione del terrorismo in Nigeria, Somalia, Mali, Niger, della violazioni di diritti umani di base di dittature come quella eritrea e sudanese. E l’elenco dei paesi da cui, per i motivi più diversi, non si può più vivere serenamente e dignitosamente è molto più lungo e si  infittisce di giorno in giorno.

Non è la prima volta che il mondo si trova di fronte ad un flusso enorme di profughi, ma a quanto pare le crisi passate, molto più degnamente gestite, non hanno lasciato una memoria a cui far riferimento per  affrontare questa che ci sta di fronte. Ricordiamo quattro casi che potrebbero fornire utili spunti da utilizzare anche ai nostri giorni, per governare un problema che sarà di lunga durata.

Negli anni tra le due guerre mondiali, a causa dell’implodere dell’impero russo e di quello ottomano, e della rivoluzione dei soviet, almeno mezzo milione di persone (russi, armeni, assiri, turchi) cercarono rifugio fuori dai confini dei loro paesi. A loro venne fornito dalla Lega delle Nazioni, l’antenata dell’Onu, un passaporto, chiamato passaporto Nansen, che era riconosciuto internazionalmente e permetteva di viaggiare in sicurezza, attraverso vie normali e con mezzi di trasporto legali, evitando di arricchire i trafficanti e scongiurando l’ecatombe di innocenti che hanno l’unico obiettivo di mettersi in salvo.

Dopo la fine della guerra del Vietnam, nel 1975, furono centinaia di migliaia i boat people che lasciarono la penisola indocinese diretti versi i paesi del sud est asiatico. Anche allora, all’inizio, le morti in mare furono numerose, ma ben presto fu concordato un piano d’azione globale, diretto dall’UNHCR, basato su una condivisione di responsabilità. I paesi di approdo tennero i loro confini aperti, ma gli altri paesi, Europa compresa, concessero asilo a chi ne aveva diritto e concordarono un programma di supporto per chi necessitava di protezione internazionale.

Alla fine della guerra fredda erano milioni i profughi messi in fuga dalla destabilizzazione dei paesi dell’America centrale. La Comunità internazionale approntò un programma di sviluppo regionale integrato conosciuto come CIREFCA (Conferenza internazionale per i rifugiati dell’America centrale), finanziato soprattutto dall’Unione Europea. Furono spesi mezzo miliardo di dollari in 72 progetti di sviluppo per fornire servizi di base, come educazione, sanità e acqua potabile e per sostenere progetti di sviluppo economico. Lo stesso potrebbe essere fatto oggi nei paesi limitrofi a quelli in crisi e nei paesi europei di accoglienza. Il CIRECFA contribuì in modo significativo anche allo sviluppo di aree meno sviluppate dei paesi di approdo dei profughi centramericani. 

Durante il conflitto del Kossowo, in poche settimane 850.000 persone si misero in salvo in Macedonia e Montenegro. In pochi mesi l’UNHCR ne rilocò 100.000 in altri paesi europei, con un sistema di quote concordate. La Germania, anche allora, ne accolse il numero maggiore, ma tutti i paesi europei contribuirono.

Insomma, con la leadership dell’Onu, il coordinamento dell’UNHCR, la collaborazione dei paesi di accoglienza e il sostegno economico della comunità internazionale, in particolar modo delle istituzioni europee, altre crisi furono positivamente affrontate. In questi difficili mesi è mancato proprio un programma di azione concordato che, facendo leva sulle responsabilità di tutti gli attori coinvolti, potesse garantire il rispetto dei diritti previsti dalle convenzioni internazionali, e in molti casi la stessa sopravvivenza di chi è costretto a lasciarsi tutto alle spalle per sopravvivere.

Bruna Sironi

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1° foto: Profughi in viaggio verso la Germania

2° foto: Profughi tratti in salvo dalla Guardia di Finanza

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