Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 12.45

Piccoli comuni e cammini d’Italia: un viaggio di 15 mila km lungo la penisola

''I numeri, spesso, si danno. Ultimamente, fra smentite e precisazioni, più del solito s’inseguono''

| Scritto da Redazione
Piccoli comuni e cammini d’Italia: un viaggio di 15 mila km lungo la penisola

“I numeri, spesso, si danno. Ultimamente, fra smentite e precisazioni, più del solito s’inseguono. Generalmente ci danno una mano a (intel)leggere la realtà, o determinati suoi fenomeni. Nel caso specifico, relativamente all’Italia, l’Istat li ha forniti e Ilsole24ore li ha interpretati: senza il coronavirus, nel settore turistico, nel secondo trimestre di quest’anno “ci sarebbero state 81 milioni di presenze (ovvero il 18% del totale annuale), il 23% delle presenze annuali di stranieri, nonché il 20% delle presenze annuali in strutture alberghiere. Sempre nel trimestre, i soli turisti stranieri avrebbero speso circa 9,4 miliardi di euro”. Purtroppo, non è detto finisca qui: fra ipotizzati ritorni di contagi, chiusure e quarantene, del futur non v’è certezza”. A scrivere è Giangi Cretti che con il suo editoriale apre il nuovo numero de “La rivista”, mensile che dirige a Zurigo e che dedica la copertina ai Borghi d’Italia.

“Allargando l’orizzonte a livello mondiale i numeri che ci fornisce il World Travel & Tourism Council ci fanno ricordar che anche la “speme, ultima dea abbandona i sepolcri”. Infatti, secondo il WTTC, le perdite di posti di lavoro sono previste quest’anno tra i 98,2 milioni e i 197,5 milioni. Il calo del Pil viaggi & turismo calcolato fra 2.686 e 5,543 miliardi di dollari.

Una botta da ko. Illusorio (colpevolmente consolatorio?) credere che diverso destino tocchi all’Italia, dove, secondo Federalberghi “il comparto prevede di perdere 350 mila posti tra i lavoratori stagionali, il 20% delle strutture rischia di chiudere e comunque non aprirà fino a settembre”.

Consolatorio (semplicemente illusorio?) suppore che il bonus di 500 euro, promesso a ogni famiglia sotto un certo reddito che andrà in vacanza nel nostro Paese, possa davvero avere l’effetto di una cura ricostituente.

Lodevole, ma nulla più, e per giunta a costo zero, conferire lo status di progetto al cosiddetto turismo delle radici, facendo leva sul senso di appartenenza degli italiani all’estero, invitandoli a ritornare e far ritornare i loro figli sui luoghi da dove tutto ebbe inizio: l’emigrazione, spesso sofferta, sempre e puntualmente àncora di salvezza di buona parte delle zone più arretrate della Penisola.

Una forma di turismo questa che c’è sempre stata e ancora rappresenta un importante boccata d’ossigeno per realtà locali economicamente asfittiche. Il problema semmai è che oggi forse non è più sufficiente limitarsi a pizzicare le corde degli affetti o dell’amor patrio. Il nostro è (ancora) il Paese più bello e più vario del mondo.

Ma… Negli anni è andato via via perdendo quote di mercato (nel ’70 eravamo primi al mondo per numero di turisti, oggi quinti con l’affanno di evitare altri sorpassi), forse irrecuperabili, visto il costante affollamento di nuove mete europee a cui si aggiungono quelle americane e asiatiche. Possiamo davvero permetterci di liquidare con fastidio, o peggio ancora intenzionalmente ignorare chi segnala che, fatte salve apprezzabili eccezioni, che pur ci sono, eccome, ci accontentiamo di un certo turismo sgangherato, che nel tempo ha devastato migliaia di chilometri di coste?

Che, smentendo le nostre stesse enunciazioni, cerchiamo di rastrellare ancor più turisti mordi-fuggi e “crocieristi e barbari in canottiera da riempire ogni bugigattolo in città delicate come Venezia per rifarci dei mesi più duri”?

Lo sappiamo, perché, puntualmente e ormai spudoratamente, ce lo ripetiamo: nel settore dilaga il lavoro nero.

Le conferme autorevoli si sommano: l’ennesima, ma non è detto sia l’ultima, la fornisce Sociometrica, rilevando come a Roma sia arrivato illegalmente a coprire il 31% dei posti letto, a detrimento degli albergatori in regola, che ormai si barcamenano fra rabbia e rassegnazione. Ripristinare la legge come hanno cercato di fare le sindache di Barcellona o Parigi che hanno dichiarato guerra agli abusivi e ai furbetti dell’intermediazione, non dovrebbe essere solo una pia aspirazione. Eppure, c’è chi riesce ad immaginare e a costruire qualcosa di diverso, e riesce persino a compiere delle scelte, tanto naturali da venir considerate coraggiose.

Come quella di riflettere su qual sia il turismo che vogliamo e che vogliamo poter offrire.

Ne è un esempio la ricerca – realizzata dalla Fondazione Symbola e dall’Istituto per la finanza e l’economia locale – che esplora i Cammini d’Italia per analizzare il valore e la ricchezza dei Piccoli Comuni: “veri e propri cantieri di diversità culturale e territoriale, dove l’accoglienza diventa una risorsa, la sostenibilità si tramuta in spinta alla crescita e l’identità si trasforma in competitività”.

Un’iniziativa preziosa. Un invito a riscoprire la prodigiosa varietà geografica e culturale dei piccoli Comuni grazie alla fitta rete di “cammini” che avvolge la nostra Penisola. Itinerari storici, culturali, naturalistici e religiosi che nulla hanno da invidiare a quello a cui pronta corre la nostra mente: il cammino di Santiago di Compostela, e agli altri tracciati storici dell’Unione Europea. I cammini italiani percorrono il nostro Paese in tutti i sensi, invitandoci alla riscoperta di borghi, terre e castelli, opere d’arte e testimonianze della nostra storia, cibi, consuetudini e paesaggi frutto di una interazione millenaria tra popolazioni e ambienti naturali: è qui che nasce la tradizione del saper fare italiano.

Percorsi, storia e tradizioni che vanno riscoperte e promosse perché, come ricorda il presidente di Symbola, citando la celebre frase di Gustav Mahler, “la tradizione non è il culto delle ceneri, ma la custodia del fuoco…” Prenderci dignitosamente cura, tutti insieme (facendo sistema?), di quel tesoro paesaggistico, artistico e monumentale del quale siamo (spesso immeritatamente) eredi sarebbe un passo straordinario. È anche questo un modo per rivedere un paradigma economico che, sempre più orientato da una dimensione etica, ormai non può escludere concetti di sostenibilità ambientale e sociale. Ad un certo punto sembrava ce l’avesse insegnato l’esperienza pandemica. La speranza è che non serva una ricaduta prima di averlo effettivamente imparato”.

 

FONTE aise

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