Cremona cerca da tempo di ritrovare una centralità che sta perdendo ed ha la necessità assoluta di riaffermare un suo ruolo. Per cui bisogna dare forza alle idee per reagire e cambiare le cose, invertendo la tendenza a risolvere solo i problemi contingenti e considerare, invece, anche la prospettiva lunga con maggiore lungimiranza.
Prima di prevedere degli accorpamenti, si dovrebbero ipotizzare la possibilità di assetti ottimali e verificare l’esigenza di una prioritaria ed irrinunciabile definizione del ruolo che può assumere il nostro territorio nel sistema regionale lombardo-emiliano ed una sua collocazione nel quadro territoriale complessivo della grande viabilità, delle reti di trasporto e delle comunicazioni.
Non si può, oggi, continuare a ragionare di diversa configurazione dei confini facendo affidamento solo su convenienze, pesi insediativi e numeri senza tenere in considerazione la possibilità di assetti più avanzati e considerazioni particolari per le aree marginali.
Non possiamo certamente ignorare che siamo, collocati in una posizione baricentrica e lontana/vicina a tutto, né i margini dell’area metropolitana, che nella logica “Milanocentrica”, interpreta la tendenza mondiale alla concentrazione nelle grandi città. creando fenomeni di congestione e di inabitabilità sempre maggiori (che vengono fatti pagare alla periferia con le diseconomie ed i difetti delle loro contraddizioni).
Soprattutto il Governo e la Regione non devono assolutamente ignorare che la fascia meridionale, (la nostra), appartiene alla Lombardia “marginale”,nella quale problemi di accessibilità ,di esiguità dei pesi insediativi e di carenza di stimoli alla trasformazione, si sono in varia misura combinati per dar luogo a situazioni di stagnazione ,sia pure in presenza di livelli di reddito e di condizioni di vita soddisfacenti.
Lo squilibrio e la debolezza del nostro sistema produttivo dimostrano che nel difficile passaggio dall’economia agricola a quella industrializzata, si sono evidenziati i limiti alle capacità del territorio ad offrire posti di lavoro sufficienti ,alternativi a quelli che venivano a mancare in agricoltura ,per cui l’andamento dell’area meridionale della Lombardia è stato sempre quello della ricerca di un assetto di equilibrio ad una quota di abitanti sempre più bassa, decrescendo demograficamente, anche nei periodi favorevoli economicamente, proporzionalmente al minor assorbimento di mano d’opera organizzata.
Il settore produttivo ha risentito della mancanza di elementi trainanti perché lo sviluppo diventasse autogenerante invece di dipendere dall’esterno. Essendo stato sacrificato il settore agricolo ad una cultura industriale e non avendo particolari” chance” sul piano dell’occupazione da spendere, Cremona, non avendo mai goduto di particolari privilegi nel passato, sta ora affrontando l’esito degli accorpamenti apparentemente da posizioni di debolezza .
Il suo ruolo in Lombardia esce sempre indebolito dagli annunci di scissione e dagli accoppiamenti che vengono preannunciati e prospettati. Tant’è che alla nostra richiesta del “….vengo anch’io” la risposta sembra essere sempre negativa.
Se dovessimo ricercare solo le nostre convenienze ci converrebbe un accorpamento con Brescia.
Invece, secondo me, l’orientamento attuale che si sta delineando con l ’unione tra Mantova e Cremona, aumenterebbe la congenita debolezza contrattuale di questi territori posti troppo alla”periferia dell’impero”, già oggi marginali rispetto agli interessi regionali, con flussi centrifughi ed anomali che verrebbero a crearsi verso il Veneto ( a cui Mantova è solidamente e storicamente agganciata ) allontanandosi maggiormente dal capoluogo regionale senza avere l’energia ed i mezzi per reagire.
L’alternativa a tre, Lodi – Cremona—Mantova, mi sembra più congeniale alle preesistenze, raggiungendo un considerevole peso insediativo e, aggregando una catena di centri che hanno continuato a svolgere la funzione di servizio alla provincia agricola, potrebbe consolidare strutturalmente un interessante ruolo distrettuale dedicato a tutta la filiera agricola.
Questa costituirebbe un preciso limite alla avanzata e diffusa delle aree metropolitane, potrebbe presidiare ed affiancare un ruolo di valorizzazione unitaria della riva sinistra del Po (a cui potrebbe far seguito un ipotesi simile per la parte emiliana ), essere gestita unitariamente con ritmi più simili all’avvicendarsi dei cicli stagionali, mitigare e compensare la grande produzione di CO2 delle aree settentrionali, e confermare una sorta di ampia zona filtro, come se fosse un “:Rubicone agricolo” tra le aree industrializzate ed il centro Italia.
Il “cantone padano,” così realizzato ed omogeneamente gestito, usufruendo intelligentemente delle recenti disposizioni emanate dalla L. R. Lombarda n°31 /2014, sul consumo di suolo, potrebbe consolidarsi su basi veramente nuove e sottolineare l’unicità di un ruolo, oltre che storico, paesaggistico ed ambientale pressoché omogeneo e costituire un esperimento moderno ed avanzato, non solo nazionale ,ma addirittura europeo.
La sostanza reale che si auspica e che si sollecita è l’inversione di tendenza con una nuova valorizzazione delle aree rurali senza lasciarle diventare delle steppe monoculturali cerealicole.
Come valore di scambio c’è il tema etico del “nostro petrolio” da far valere; le tematiche relative alla terra, all’acqua, all’aria ed al cibo; risorse che diventeranno sempre più rare, timidamente accennate dall’Expo e declinabili da questo territorio fino ad estreme conseguenze.
Questo significa portare nelle nostre aree condizioni economiche, possibilità, redditi e continuità di lavoro, servizi civili, vitalità socio-culturale con pari opportunità rispetto a quelle che offrono le aree settentrionali metropolitane.
La questione dell’agricoltura e le sue difficoltà legate alla finanza ed al credito sono anche una questione strutturale di qualità ,di organizzazione dei processi di commercializzazione ,di ricerca applicata, .di impegno nei confronti di quel complesso di tecnologie che completano il ciclo agricolo e che devono diventare una vera e propria capacità d’intervento, a livello genetico nei confronti degli allevamenti,come risultato della ricerca applicata,che , poi via,via deve estendersi attraverso un processo di individuazione delle condizioni ottimali delle colture agricole (con un uso più responsabile dell’impiego chimico ), ad un forte sviluppo delle tecnologie di trasformazione ,conservazione e trasporto…ecc, ecc,……..
Mi auguro che il Ministro dell’Agricoltura Martina, che sta affrontando con molto impegno i problemi locali legati al suo mandato, possa schierarsi a favore di un’ipotesi di questo tipo.
Massimo Terzi architetto. (Cremona)