Mercoledì, 24 aprile 2024 - ore 04.01

Racconto ‘Forum’ di Franco Guindani e Manara Antonietta (Cremona)

Ci fu un tempo in cui era in uso nominare, fra le persone più in vista del paese, un giudice conciliatore al quale sottoporre le liti e le piccole questioni che spesso nascevano fra i compaesani, e decidesse nel merito con sentenza giuridicamente valida e inappellabile.

| Scritto da Redazione
Racconto  ‘Forum’   di Franco Guindani  e Manara Antonietta (Cremona)

Frugando fra le vecchie carte mi sono imbattuta in alcune storie più di altre testimonianza di un mondo scomparso con la memoria degli ultimi suoi rappresentanti e di cui solo negli archivi possiamo ormai trovare traccia.

Questa è forse una delle più curiose.

Una mattina di novembre, approfittando di una limpida giornata che non pareva neanche di un autunno così avanzato, Massimiliano aveva pensato di farsi una passeggiata fino ai suoi campi. In verità poche pertiche che allora però bastavano a mantenere decorosamente la famiglia.

Qui giunto Massimiliano si sentì mancare: fra le tenere piantine del suo frumento stava allegramente grufolando una scrofa e con la sua numerosa prole.

Come quegli animali fossero finiti lì, nel suo campo distante un paio di chilometri dal paese, Massimiliano non se lo stette a chiedere e neppure, almeno per il momento, si domandò di chi fossero. 

Infuriato cercò di allontanare le bestie dal campo, e solo quando finalmente riuscì a radunarle sulla stradella, si chiese di cosa farne e come e da chi farsi rimborsare il danno subito.

In un primo momento pensò di portarsele a casa, ma poi, da uomo giusto quale si riteneva, decise di condurre gli animali in paese, fino all’osteria che dava sulla piazza davanti al municipio, e di chiuderli momentaneamente nel porcile annesso, in attesa di ulteriori sviluppi.

Così fece, immaginiamo con qualche difficoltà a tenere unite le bestie e a condurle per le strade del paese fra i commenti della gente, cosa questa che non contribuì certo a migliorare il suo umore. Comunque, sudando probabilmente le proverbiali sette camicie e con qualche imprecazione, l'impresa  riuscì e finalmente le bestie furono consegnate all'oste e chiuse nel porcile, e qui lasciate con l'ingiunzione di non consegnarle a nessuno se non previo versamento di £ 50 a rimborso del danno da esse provocato.

La scrofa parve soddisfatta della nuova sistemazione e, probabilmente stanca dell'avventura, radunata attorno a se la famigliola si predispose ad un meritato riposo. La voce dell'inusitato fatto si sparse in un baleno e non ci mise molto a giungere alle orecchie delle legittime proprietarie, le sorelle Scaglia, le quali non posero tempo in mezzo e corsero all’osteria a reclamare le loro care bestiole. L'oste però, fedele alla consegna, fu inflessibile e le sorelle dovettero tornarsene a casa a mani vuote.

Passarono una notte d'inferno rodendosi l'animo, e al mattino presto tornarono piangendo all’assalto e assillarono talmente l'oste finchè questo, stufo e pentito di essersi lasciato coinvolgere nella faccenda, rilasciò gli animali prigionieri, mandando tutti con convinzione a quel paese ed in altri luoghi che non mi sembra qui opportuno riferire.

Al danneggiato, deluso, non restava che rivolgersi al giudice conciliatore per ottenere il giusto risarcimento. E così fece.

Le sorelle Scaglia comparse all’udienza non negarono il fatto, ma dichiararono che la scrofa era fuggita dalla loro corte in un momento di libertà, mentre loro stavano accudendo alle faccende di casa, e che nel campo, come dicevamo alquanto distante, doveva essere rimasta pochissimo tempo e quindi se mai un danno si vuole che avessero cagionato quegli animali, si trattava di un danno minimo, scusabile.

Cercarono inoltre di girare la frittata lamentando, con abbondanti pianti e lamenti, di avere esse subito un danno ben maggiore, essendo bastato il breve soggiorno degli animali nel porcile dell'oste per contrarre un'invasione spaventosa di “piappolini”, che aveva causato uno scredito notevole alle povere bestiole. Per tale ragione chiedevano, nella peggiore delle ipotesi, di pareggiare i conti e quindi di essere assolte dalla domanda di risarcimento.

Il Massimiliano naturalmente replicava che a lui non importava niente dei “piappolini”, ammesso che ci si potesse prestar fede, e lamentandosi del comportamento dell'oste che non  aveva tenuto fede all'impegno,  replicò che avrebbero dovuto sorvegliare meglio le loro bestie ed insistette per essere rimborsato.

A questo punto il giudice propose,  come suo dovere, amichevole componimento, che però entrambi i contendenti non accettarono.

Così si dovette arrivare alla sentenza che così recitava:

“Considerato ed ammesso che un danno dev’esservi stato, anche se non nella misura pretesa, e considerato d’altro canto che la riconvenzionale accampata dalle sorelle Scaglia non può essere accolta non essendo stata prodotta alcuna prova a sostegno di quanto da loro asserito, si giudica dovere le sorelle Scaglia pagare al Bonisoli Massimiliano la somma di lire 15 a risarcimento del danno cagionato dai loro animali. Si condannano inoltre le due sorelle alle spese di giudizio fissate in £ 0,30 e a quelle della sentenza e della sua esecuzione ai termini di legge”.

Tolta la seduta, entrambi i contendenti dovettero tornarsene a casa insoddisfatti, chi per un verso e chi per l'altro e, immaginiamo, non senza uno scambio di accuse e apprezzamenti personali non proprio eleganti. 

Il giudice nel frattempo correva a farsi un goccio all'osteria, proprio quella nel cui porcile erano state ospitate le bestiole, dove lo attendevano amici e paesani in attesa di strappargli i particolari della curiosa causa.

Franco Guindani  e Manara Antonietta (Cremona)

 

 

 

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