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Apprendistato: porte chiuse ai giovani| G.Mantella

| Scritto da Redazione
Apprendistato: porte chiuse ai giovani| G.Mantella

Nonostante tutti gli interventi legislativi, una parte dei giovani stagisti rischia di rimanere ancora senza tutela. E la percentuale di conversione dei contratti di apprendistato in occupazione stabile resta ancora basso
La sensazione è di trovarsi in una strada senza uscita. Quella che sembrava una via sicura verso il mondo del lavoro sembra diventata un vicolo cieco in cui si compie la metamorfosi dei giovani del ventunesimo secolo da studenti a occupati precari. La possibilità di formarsi e imparare cominciando a mettere un piede dentro i luoghi di lavoro si perde in una selva di rapporti che, anziché preludere a percorsi occupazionali definiti, determinano un intrico fatto di contratti atipici, intermittenti, finti tirocini, finto lavoro autonomo e assenza di prospettive.
“L’attuale sistema non aiuta i giovani a entrare nel mondo del lavoro, ma li sfrutta e li umilia”, denuncia Ilaria Lani, responsabile giovani della Cgil. La dirigente è infatti convinta che “per risolvere questo problema servirebbe un cambio di passo netto”. Nell’ultimo biennio in Italia si è cercato di rimettere mano a strumenti formativi – come tirocini e apprendistato – ritenuti idonei a stimolare la crescita occupazionale giovanile. Ma ancora molte cose non vanno: le aziende che pensano più ai vantaggi contributivi che a quelli legati alla formazione di giovani maestranze; le Regioni che applicano le normative in maniera difforme; l’assenza di un repertorio nazionale delle qualifiche e delle professioni; l’uso spesso improprio di questi strumenti e, nelle pieghe normative, qualche deroga di troppo ai limiti imposti.
Problemi strutturali che uniti a quelli congiunturali legati alla crisi deprimono un mercato del lavoro già molto impoverito. Da ottobre scorso all’inizio di gennaio la curva degli occupati disegnata dall’Istat è diventata una discesa a picco. Le persone senza lavoro in Italia sono quasi tre milioni e quasi altrettante sono quelle senza posto fisso. Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è al 38,7 per cento e più del 22 per cento di chi ha tra i 15 e i 29 anni, secondo il Rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile in Italia), presentato l’11 marzo scorso dall’Istat e dal Cnel alla Camera dei deputati, rientra nella categoria dei cosiddetti Neet: non studia, non si forma e ha smesso di cercare un lavoro. Nonostante questi dati, per il ministro del Lavoro uscente bisogna guardare al futuro. Nella prefazione al XIII Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato Elsa Fornero avverte che “la riforma varata a metà 2012 ha voluto porre le premesse per la creazione di un mercato del lavoro inclusivo e dinamico”.
Tirocini al posto del lavoro Per incoraggiare la domanda giovanile la nuova legge ha affidato un ruolo centrale all’apprendistato ed è intervenuta nel campo degli stage con alcune indicazioni (tra cui il riconoscimento di “una congrua indennità” per la prestazione svolta) che hanno costituito la base dell’accordo raggiunto il 24 gennaio scorso dalla Conferenza Stato-Regioni sulle linee guida in materia di tirocini. Per quanto l’intento dichiarato nel protocollo sia quello di “qualificare l’istituto e limitarne gli abusi” l’obiettivo, secondo Lani, non viene raggiunto. Cinque tipi di tirocini (curriculari, estivi, transnazionali, per extracomunitari e per il praticantato), infatti, “rimangono fuori dalle linee guida. Perciò – spiega la coordinatrice delle politiche giovanili Cgil – il rischio è che una parte di giovani stagisti non abbia alcun tipo di tutela”.
Rispetto alle tre tipologie regolamentate dalle linee guida (orientamento e formazione, inserimento-reinserimento e il tirocinio per categorie protette come i disabili o gli stranieri richiedenti asilo) le critiche sindacali sono rivolte in particolare all’estensione del tirocinio stesso a disoccupati e inoccupati (compresi lavoratori in mobilità e in cig). “In questo modo si riproduce l’idea che alcuni tirocini vanno bene per qualsiasi periodo della vita”, osserva Lani, che rileva anche che le linee guida hanno “dimenticato” d’inserire l’obbligo di trasmettere la convenzione (contenente i singoli progetti formativi) stipulata tra ente proponente e soggetto ospitante il tirocinio alle Rsu o alle organizzazioni sindacali territoriali.
“La perdita di quest’opportunità è un fatto molto grave” a parere della sindacalista, che sottolinea come in definitiva resti in piedi un sistema che “continua a consentire di fatto l’utilizzo del tirocinio al posto del lavoro. Spesso ci è stato detto che i ragazzi hanno bisogno di fare esperienza, ma in questi anni abbiamo registrato che la maggior parte dei giovani ha fatto tirocini a ripetizione che, quindi, non hanno svolto la funzione a essi demandata”. Senza contare che, è l’ulteriore riflessione di Lani, l’uso improprio dei tirocini ha anche l’effetto di limitare il ricorso ai contratti d’apprendistato, cioè la “modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro”, come indica nelle sue prime battute il testo della riforma Fornero.
Il nuovo apprendistato La contestatissima legge 92/2012, per la quale la ministra sarà ricordata nel bene e nel male, ha introdotto rispetto ai contratti di apprendistato alcune novità. “Cose utili – spiega Claudio Treves, coordinatore Politiche del lavoro della Cgil – come la durata minima di sei mesi che prima era lasciata alla discrezionalità delle parti”, ma anche “peggioramenti come il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati”. Il Testo unico sull’apprendistato (Tua) emanato nel 2011 stabiliva che per ogni maestranza specializzata fosse assunto un apprendista.
Questo rapporto oggi è stato incrementato: tre apprendisti ogni due lavoratori esperti. “Il che comporta un evidente abbassamento della trasferibilità delle conoscenze”, commenta Treves che indica un’ulteriore “brutta” stonatura: mentre stabilisce che per inserire nuovi apprendisti le aziende devono aver mantenuto in servizio almeno la metà di quelli assunti nel triennio precedente, la medesima legge, derogando così a se stessa, consente alle ditte inadempienti di assumere un ulteriore nuovo apprendista. Un contentino, obietta il sindacalista, “un po’ elemosiniero alle associazioni dei datori di lavoro”.
Anche questa come le altre novità previste dalla legge Fornero ha modificato il Tua in una fase di passaggio dalle vecchie alle nuove norme che, nello stabilire le linee generali delle tre tipologie di apprendistato (due consentono di ottenere rispettivamente un titolo di base e uno di alta specializzazione, la terza una qualifica professionale), ne ha affidato la disciplina ad accordi interconfederali e alla contrattazione nazionale. Più di quaranta tra accordi e ccnl “hanno disciplinato l’istituto dell’apprendistato in riferimento ai principali settori economici”, informa il portale governativo sul nuovo apprendistato.
L’annuale Rapporto di monitoraggio ne ha analizzato alcuni relativi a grossi comparti come agricoltura, artigianato, Pmi, terziario, sottolineando che ciascun negoziato tra le parti sociali ha portato a scelte “spesso molto diverse per definire gli aspetti specifici del contratto di apprendistato”. La percentuale di apprendisti da mantenere in servizio ne è una dimostrazione: 80 per cento nel commercio, 70 per cento nelle aziende turistiche non aderenti a Confindustria, 50 per cento negli studi professionali.
“Alcuni ccnl siglati dopo la legge Fornero – aggiunge Treves –, penso a quello dell’industria alimentare e delle telecomunicazioni, prevedono il sostanziale recepimento delle figure professionali e quindi gli inquadramenti corrispondenti con la definizione delle competenze da acquisire; sono in fase di discussione il contratto del turismo, in cui il tema apprendistato è molto importante, e quello delle costruzioni e del legno”. Anche nell’ipotesi di accordo del ccnl dei lavoratori elettrici, firmata lo scorso 18 febbraio, ci sono norme sulla durata massima dei contratti di questo tipo e sulla percentuale minima di quelli da trasformare in lavoro subordinato. Si procede, insomma, a livello contrattuale “ma senza particolare fretta”, commenta il sindacalista.

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