Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 21.26

Come far diventare Venezia a prova di cambiamento climatico

Utilizzare un portafoglio di misure di gestione del rischio per migliorare la resilienza dell’intero sistema

| Scritto da Redazione
Come far diventare Venezia a prova di cambiamento climatico

Lo studio “Prioritization of Resilience Initiatives for Climate-Related Disasters in the Metropolitan City of Venice”, pubblicato su Risk Analysis da un team di ricercatori della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Fondazione CMCC) e Università Ca’Foscari Venezia, delle università della Virginia e Carnegie Mellon e dell’Engineer Research and Development Center Usa, parte dalla constatazione che «Misure di adattamento fisiche e ingegneristiche sono efficaci di fronte a eventi come l’acqua alta, ma alcune sono troppo specifiche per riuscire a contrastare anche altri eventi estremi attesi per la Città Metropolitana di Venezia, come le ondate di calore o le alluvioni». Quindi, bisogna «Preparare la laguna di Venezia alle sfide del futuro significa mirare a un miglioramento della resilienza dell’intero sistema affiancando diverse iniziative di gestione del rischio, incluse misure flessibili ed efficaci contro un’ampia serie di pericoli climatici».

Alla Fondazione CMCC ricordano che «L’aumento degli impatti dei cambiamenti climatici sta mettendo a dura prova i sistemi costieri dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Tali pressioni legate al clima possono essere ulteriormente aggravate, tra le altre cose, dalle trasformazioni d’uso del suolo, dall’urbanizzazione, dal turismo eccessivo, dalle tensioni sociopolitiche e dalle innovazioni tecnologiche. Il sistema urbano costiero della Città Metropolitana di Venezia e della sua laguna, lungo la costa  adriatica, sta affrontando molteplici sfide legate, da una parte, a fenomeni di cambiamento globale e, dall’altra, a dinamiche socioeconomiche».

Il nuovo studio  è stato condotto nell’ambito del progetto di grande rilevanza per la cooperazione tra l’Italia e gli Stati Uniti “BRIDGE”, coordinato da Andrea Critto, professore all’Università Ca’ Foscari Venezia e Senior Scientist al CMCC. La ricerca conclude che «Data tale situazione di incertezza, la strategia migliore è quella di utilizzare non una iniziativa, ma un portafoglio di misure di gestione del rischio per migliorare la resilienza dell’intero sistema. Questo insieme di misure dovrebbe includere sia misure di tipo fisico – come l’adattamento delle strutture di difesa idraulica – per far fronte a eventi intensi e su larga scala, sia di tipo cognitivo e sociale – come l’aggiornamento e l’implementazione di piani e regolamenti – che possono essere abbastanza flessibili da essere efficaci contro un’ampia serie di pericoli climatici».

Lo studio integra informazioni qualitative, derivate dal coinvolgimento degli stakeholder attraverso un workshop, e informazioni quantitative, ottenute da analisi climatiche (come le proiezioni sui cambiamenti climatici). Inizialmente sono stati individuati, da parte di diversi gruppi di stakeholder locali – tra cui autorità locali, agenzie di protezione civile, istituti di ricerca, parchi e ONG – i target del sistema che è necessario proteggere (naturali, culturali, sociali ed economici).  Poi, sono state identificate le possibili misure capaci di sostenerli, suddivise in: misure informative (sistemi di allerta rapida e produzione e condivisione di informazioni), misure fisiche (reti di infrastrutture verdi e blu, adattamento e ottimizzazione dell’approvvigionamento e della rete idrica, adattamento delle strutture di difesa idraulica e disposizioni per la risposta alle emergenze), misure cognitive (aggiornamento e attuazione di piani e regolamenti, pianificazione della protezione civile, piani e strategie per il restauro e il recupero delle aree storiche), misure sociali (educazione e consapevolezza ambientale e citizen science). Successivamente, le misure di gestione del rischio di cui sopra sono state classificate, attraverso un metodo decisionale multicriterio (MCDA, MultiCriteria Decision Analysis), sulla base di quattro scenari che descrivono le principali minacce climatiche previste nell’area: tempeste e inondazioni, alluvioni, ondate di calore e siccità.

I risultati mostrano che «Considerando, uno a uno, diversi scenari climatici, le possibili iniziative di gestione del rischio vengono prioritizzate in modo diverso. Così come cambia la prioritizzazione delle iniziative quando si considera il verificarsi congiuntamente di più scenari. Data la grande incertezza nel prevedere quali scenari possono verificarsi in futuro in questa particolare area, la strategia migliore risulta quella di costruire la resilienza complessiva dei sistemi costieri di fronte a una serie di eventi avversi».

La Fondazione CMCC evidenzia che «Le alternative di gestione più strutturali e fisiche, nonostante siano ritenute prioritarie per l’area dagli stakeholder, generalmente migliorano la resilienza solo in alcuni degli scenari considerati. Questi risultati possono essere spiegati dal fatto che iniziative di questo tipo sono solitamente progettate e implementate per tipologie molto specifiche di eventi climatici estremi. Ad esempio, la progettazione di strutture di difesa idraulica e l’implementazione di dispositivi di risposta all’emergenza che includono una serie di progetti infrastrutturali come il MOSE – (MOdulo Sperimentale Elettromeccanico) o soluzioni temporanee (ad esempio passerelle, pompe e paratie mobili su porte di edifici privati) sono specificamente progettati per la protezione della Città Metropolitana di Venezia da eventi di mareggiata e acqua alta, mentre mancano di qualsiasi capacità di aumentare la resilienza del sistema in relazione ad altri tipi di pericolo, come siccità e ondate di calore. Al contrario, le misure cognitive, informative e sociali dimostrano di essere più stabili, confermando il loro posto in classifica in diversi scenari di cambiamento climatico».

Dato che «L’implementazione di iniziative fortemente orientate a far fronte a specifici pericoli potrebbe portare a un aumento del rischio verso altri tipi di pericoli (il cosiddetto maladattamento)», lo studio raccomanda «L’adozione di un portafoglio di misure di gestione del rischio per aumentare la resilienza del sistema, includendo sia misure fisiche per far fronte a eventi intensi e su larga scala, sia misure cognitive e sociali che possono essere abbastanza flessibili da essere efficaci contro una serie di pericoli».

Una delle autrici dello studio, Silvia Torresan, co-direttrice della Divisione risk assessment and adaptation strategies alla Fondazione CMCC, conclude: «I rischi climatici sono interconnessi e non si verificano in modo isolato. Se non impieghiamo un approccio multirischio nella valutazione e nella gestione del rischio, potremmo finire per adottare misure che affrontano un problema ma ne generano o amplificano altri».

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