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Come sta la nostra democrazia (diario di un congresso di partito)

| Scritto da Redazione
Come sta la nostra democrazia (diario di un congresso di partito)

DA CRISTIANA ALICATA – 31/01/2012
PUBBLICATO IN: POLITICA
di Cristiana Alicata.
da www.imille.org

Da quando è nato, il PD ha affrontato due primarie “di partito”.

Le prime fondative con Veltroni, le seconde di svolta con Bersani. In entrambi i casi, chi ha votato, ha votato due liste. Una nazionale ed una regionale. Chi ha partecipato alle primarie del PD ha sempre, quindi, votato anche il segretario regionale. Tanto per dirne due: nel Lazio con Veltroni fu votato segretario Nicola Zingaretti e in Friuli Venezia Giulia quando fu eletto Bersani, Debora Serracchiani è diventata segretaria. Non esattamente due persone di secondo piano. Anzi.

Il PD del Lazio ha subito il commissariamento, così come il PD della Calabria. Ma nel Lazio grazie ad una lunga battaglia condotta principalmente da Giovanni Bachelet a partire dall’estate 2011, si sono ottenute le primarie.

La parabola discendente del centro sinistra nel Lazio inizia nel 2008, con la sconfitta di Rutelli. Poi è una carambola continua. Non si trova un candidato per sostituire Piero Marrazzo travolto dagli scandali e si subisce la candidatura di Emma Bonino: in Regione (così come già accaduto al comune di Roma nel 2008 con eccezione di una consigliera) vengono eletti solo maschi. Nel 2011, alle amministrative il PD raggiunge i minimi storici in molti comuni a causa di scissioni legate per lo più a questioni personali. Consiglieri regionali con decine di migliaia di preferenze personali, ma il partito nella stessa zona a valori scandalosi. Consiglieri con doppia carica. Montagne di soldi spesi per fare manifesti abusivi e illegali. Un bilancio del PD regionale indisponibile. In questi giorni il tesoriere ha dichiarato alla commissione congressuale che le casse del partito regionale sono vuote e quindi non ci sono soldi per promuovere le primarie (e sono stati quindi chiesti ai deputati contributi in più). Eppure quando fu fatto ricorso nelle settimane scorse perché i consiglieri regionali non pagavano i contributi, il Partito, offeso, dichiarò che si trattava di rarissimi casi e che quasi tutti pagavano.

Che fine hanno fatto i soldi? Come vengono usati? Perché gli eletti hanno tutte queste risorse e il partito no?

C’è chi finanzia i singoli invece che la causa comune? E se sì, perché?

Chi sono questi finanziatori? Dove è possibile trovare una forma di trasparenza delle risorse finanziarie di eletti e soprattutto del partito?

Circoli del partito al gelo o senza acqua, ma commissioni di garanzia che nemmeno rispondono ai ricorsi sui pagamenti: è il caso del PD della Provincia di Roma che non ha mai dato riscontro al ricorso presentato da alcuni iscritti. In questi giorni i candidati PD hanno perso le primarie per le amministrative 2012 (Monte Compatri e Rieti) o le hanno vinte con numeri al di sotto del 50% (il caso di Civitavecchia) anche se tutto il gotha del partito laziale è unito (almeno sulla carta) su un’unica candidatura alla segreteria del PD Lazio, quella di Enrico Gasbarra, ex vicesindaco dell’era Rutelli, presidente della Provincia di Roma prima di Nicola Zingaretti, ora deputato, in ogni caso protagonista della politica romana e laziale da più di venti anni. Ovviamente – vedere alla voce Milano e non a quella Napoli – le primarie non si perdono mai, ma resta l’amaro in bocca di essere un partito così grande e di non riuscire a mettere in campo facce credibili. Come se avessimo un brand senza prodotto.

Nel Lazio, se si esclude Roma, si riscontrano circoli con centinaia di iscritti che non hanno svolto il dibattito, ma dove c’era la fila per votare. In teoria doveva esserci una riunione con i candidati e poi si votava. Garanti mai mandati a verificare la procedura congressuale. Rappresentanti del candidato più forte che non si presentavano nemmeno per partecipare al congresso (è successo per esempio ad Anzio, a Velletri, a Monte Compatri, a Rignano Flaminio e ad Alatri).

Insomma lo stato del PD Lazio che può essere preso come esempio di deriva democratica e di meridionalizzazione (chissà cosa accade a sud del Lazio) è una bruttissima spia dello stato della nostra democrazia. Nei paesini e nelle periferie ci sono persone mai viste che si mettono in fila per votare senza avere assistito al dibattito. Succede tra gli iscritti, succederà anche alle primarie. Il ricordo di Napoli è ancora vivo.

Il partito che manda un sms a tutti per avvertire che Bersani apparirà in tv alla tal ora, non è in grado di mandarlo per informare i cittadini che c’è un congresso. Perché queste primarie, in realtà, devono andare deserte: il messaggio che deve passare è che queste primarie sono inutili. L’obiettivo è poter cancellare l’elezione degli organi di partito mediante le primarie. I Giovani Democratici le hanno già debitamente rimosse, anticipando il partito dei grandi.

Un altro dettaglio non di poco conto: perché se queste primarie non sono importanti, si stanno spendendo in persona D’Alema, Veltroni, Zingaretti – ormai candidato sindaco di Roma in pectore – e tutti i consiglieri comunali e regionali con tanto di impacchettamento cittadino continuo di manifesti abusivi? E perché a Palermo, dove si decide il sindaco in una regione dove da anni ormai la sconfitta del centro sinistra sembra essere una maledizione – non un solo big si è speso pubblicamente per una soluzione vincente ed anzi pare che le primarie stiano saltando?

Impoverire lo strumento delle primarie a partire dagli organi di partito è il primo passo per ridare autonomia al Partito e liberarlo dalla noiosa prigionia del consenso popolare come spinta al rinnovamento interno. Con il crollo di Berlusconi in tanti voteranno PD a prescindere (come se fosse un brand e non un contenitore di talento e progettualità) e quindi quel consenso percentuale deve e può trasformarsi in posti.

La battaglia del Lazio, appare essere una battaglia di democrazia che riguarda tutto il Paese. Sancire l’idea che i partiti non siano di proprietà di nessuno, ma siano contendibili. Oggi chi prova a cambiarli è un dissidente, un rompicoglioni, un corpo estraneo, un traditore.

Fallire nell’opera di mutamento dei partiti, significa consegnare il Paese al prossimo uomo forte di turno. Un partito ben governato ed unito, ma che ha poco consenso e non vince, è la peggiore opera che possiamo mettere in campo in questi tempi di buio.

Una cosa è certa e va detta.

Il PD è il partito più contendibile di tutti perché non ha proprietari e perché si è dotato di regole che tutti sono obbligati a rispettare. E’ fatto, composto, animato da tantissimi militanti che spesso ignorano completamente come stanno le cose nei territori del sud, nei paesini, nelle periferie e nelle provincie.

E’ lo specchio dell’Italia questo partito, in tutto e per tutto. Nel bene e nel male.

E forse è proprio il luogo dove ricominciare a pensare che possiamo cambiare e tendere ad un paese europeo fatto di democrazia consapevole e non di consenso e sudditanza.

 

iMille.org – Direttore Raoul Minetti

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