Giovedì, 02 maggio 2024 - ore 16.07

CREMONA E’ PRONTA AD ESSERE SMART? | A.Virgilio

| Scritto da Redazione
CREMONA E’ PRONTA AD ESSERE SMART? | A.Virgilio

Oggi le politiche europee e quelle nazionali sono estremamente connesse: questo ci impone una faticosa sfida di carattere culturale in un paese che è ancora capace di esprimere talenti (spesso protagonisti all’estero) ma che, tuttavia, quando si occupa di bandi europei, non include e non incoraggia progetti coesi. Ogni anno perdiamo, infatti, circa 500 milioni di euro sulla ricerca: qualche giorno fa il Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca, ha dichiarato che tra il mese di ottobre 2011 ed il 31 dicembre 2012 “è stata realizzata una spesa certificata di fondi europei pari a 9,2 miliardi di euro; più di quanto si era speso nei precedenti 58 mesi, registrando quindi un clamoroso ritardo del nostro paese”. La situazione è negativa  anche rispetto all’utilizzo del web,  non solo per i limitati investimenti nelle infrastrutture tecnologiche, ma anche per la difficoltà a far comprendere alle piccole imprese quanto sia strategico avere una vetrina virtuale che si affacci sul mondo intero.
Il problema è che, troppo spesso, quando si parla di innovazione, la si interpreta come una valutazione sul passato piuttosto che come sguardo al futuro e soprattutto come esigenza  di essere contemporanei a se stessi.
Anche in relazione alle città, c'è un aspetto del loro futuro che è fortemente ancorato alla crisi attuale. Le città hanno meno risorse, sono più frammentate, sono sottoposte a trasformazioni considerate drammatiche per alcuni ed esaltanti per altri. Nei centri urbani abbiamo tutto e il contrario di tutto: l'esigenza dell'apertura e del confronto coesiste con tendenze e pulsioni alla chiusura, alla perimetrazione; i percorsi di innovazione e di contaminazione, talvolta invisibili, convivono con pregiudizi culturali e particolarismi.
In questi anni, si è affermato il concetto di sostenibilità, non solo rispetto alle tematiche ambientali, ma  anche in relazione ad altri sottosistemi che caratterizzano le aree urbane, da quello socioeconomico a quello culturale  e identitario. Oggi, per un territorio, la possibilità di disporre di servizi adeguati per i cittadini è una condizione importante ma non sufficiente per garantire una buona qualità della vita: emerge, infatti, la necessità di accedere a questi servizi attraverso pratiche di mobilità sostenibile dal punto di vista ambientale, umano e sociale. Pensiamo, per esempio, all’isolamento di Cremona, alla difficoltà quotidiana dei nostri pendolari e al loro sacrosanto diritto alla qualità del viaggio e dello spostamento.
Le città giocano, quindi, un ruolo cruciale, decisivo. Come impegnarci, per esempio, nei confronti di quei cittadini che sono ancora troppo lontani dai processi decisionali? Come possiamo reinventare dei processi reali di democrazia locale? Tutto questo comporta una “cultura del coraggio”, perché occorre rompere un sistema chiuso al fine di renderlo aperto attraverso una modalità di lavoro che si basi sulla fiducia e non sulla vecchia logica del contratto sociale.
Oggi occorre aprirsi ed in questi anni si sono fatti alcuni importanti passi avanti: ad esempio, si pensi alle forme di maggiore trasparenza della pubblica amministrazione, all’open source, al lavoro di rete nell'ambito sociale, alle relazioni virtuose fra pubblico e privato; cresce la consapevolezza di avere maggiore conoscenza nel momento in cui si intrecciano persone, competenze, discipline, perché in questo modo le idee, le  iniziative e le proposte si espandono e si qualificano.
Anche a Cremona si è avviato un dibattito interessante sul futuro, sulla sua capacità di essere in prospettiva una città smart,  aperta quindi ad uno scenario tecnologico e alla sfida di coniugare le esigenze dell’individuo con quelle della collettività. Questa ambizione comporta delle pre-condizioni, perché non basta, infatti, la dotazione di infrastrutture tecnologiche. Cremona, in passato, ha fatto investimenti importanti su questo versante e questa è stata una scelta che ad oggi consente di poter trasformare la città in un laboratorio dei nuovi servizi  (alle imprese, alla persona, al territorio) abilitati dal digitale.
Ma quali sono queste premesse? Dobbiamo, prima di tutto, favorire un contesto creativo senza  limitarci a qualche estemporanea iniziativa di settori privati o della pubblica  amministrazione: serve creatività politica, amministrativa, ecologica e sociale. Occorre, inoltre, eliminare certi pregiudizi, certi meccanismi mentali. Siamo, per esempio, ancora vincolati ad una dimensione gerarchica che garantisce troppa centralità ai poteri istituzionali tradizionali (sindaco, giunta, ecc.) o a mere rappresentanze di interessi economici, escludendo, così, le potenzialità e la partecipazione di una leadership molto più diffusa ed orizzontale.
Spesso, quello che di positivo avviene dentro al territorio, non viene intercettato dalle istituzioni: pertanto, una delle principali sfide di una società innovativa, che vuole definirsi smart, è rendere visibile l’invisibile, per utilizzare l'ambiente fisico come stimolante per valorizzare gli attori di un territorio. Questo riguarda tutti, riguarda le piccole imprese, il piccolo commercio, le realtà dell’associazionismo: dobbiamo pensare sempre meno alla città dei singoli progetti, per pensare alla città come il progetto, dentro alla consapevolezza di operare per una mission comune. Il tema smart deve, infatti, essere finalizzato allo sviluppo della comunità e questo è un elemento che richiede “politica”, intesa come spazio della scelta e del confronto e non semplicemente tecnicismo e specialismo settoriale.
Se, infine,  i passaggi strategici sono rappresentati  dall'ammodernamento dei meccanismi della pubblica amministrazione, del sistema di mobilità e dei sistemi di welfare, questo richiede una condizione: che le città possano disporre delle risorse necessarie, sia premiando la loro capacità progettuale, sia smantellando la rigidità dei tetti di spesa e dei patti di stabilità. Questo è un punto che non possiamo permetterci di perdere a fronte di una cultura centralista che sta avanzando e che di fatto soffocherebbe le potenzialità dei singoli territori.

Andrea Virgilio
(capogruppo PD in Consiglio Provinciale)

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