Sabato, 21 settembre 2024 - ore 03.00

I pensionati italiani all’estero, storie di partenze e di ritorni

| Scritto da Redazione
I pensionati italiani all’estero, storie di partenze e di ritorni

“Italia, pensioni e mobilità: storie di partenze e di ritorni”. Questo il tema del convegno che si è svolto il 7 luglio scorso a Roma organizzato da Inps e Fondazione Migrantes  con un confronto sul tema dei pensionati italiani all’estero. A introdurre i lavori è stato il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che ha ricordato come i flussi migratori interessino ogni parte del mondo, incluso il nostro Paese, e che la scelta di emigrare non è più necessariamente legata alla necessità o al bisogno, ma può anche essere un’opzione derivante dal perseguire un interesse, un miglioramento della qualità di vita.

L’Italia, ha sottolineato Tridico, oltre a disporre politiche di accoglienza, assiste alla partenza di lavoratori giovani e meno giovani, nonché di pensionati che spendono altrove il proprio trattamento pensionistico. Pertanto, dall’analisi dei pagamenti delle pensioni all’estero si possono trarre interessanti spunti di analisi sulle evoluzioni socioeconomiche nel nostro Paese

Rispetto ai fenomeni migratori rilevati, si evidenzia che il mondo delle pensioni Inps in questo momento si trova in una fase di transizione. I trattamenti corrisposti ai protagonisti dei flussi migratori del secolo scorso sono infatti in fase di diminuzione, specie in alcuni Paesi verso cui il flusso migratorio si è esaurito o fortemente limitato in epoca recente. Appare verosimile che tale situazione sia destinata a cambiare nei prossimi anni quando – man mano che i nuovi migranti raggiungeranno i requisiti di legge per l’accesso al pensionamento – anche da un punto di vista numerico le pensioni in regime internazionale e quelle in generale in pagamento all’estero aumenteranno in modo consistente. In prospettiva tali prestazioni non si potranno più considerare una categoria eccezionale o residuale rispetto alla pensione nazionale: si porranno semmai come una componente rilevante dell’universo pensionistico italiano. Per quanto riguarda il tema delle pensioni pagate all’estero è stato rilevato che sono 160 Paesi coinvolti: a gennaio 2021 erano oltre 326mila distribuite per il 56% in Europa, per il 22% in Nord America, per l’8% in Sud America e per il 10% in Oceania; quasi irrilevanti le percentuali di Asia e Africa.

Come ha evidenziato Tridico la maggior parte dei pagamenti delle pensioni è localizzata nel continente europeo, con un trend tutto sommato costante, mentre una riduzione si è registrata nelle Americhe e in Oceania, mete della migrazione storica dove per ovvie ragioni il numero dei pensionati italiani negli anni è fisiologicamente diminuito. Sul totale delle pensioni pagate all’estero c’è un leggero predominio delle donne (52%) mentre Europa ed Asia sono le due macroregioni con la percentuale più alta di pensioni di anzianità. Tridico ha sottolineato come, soprattutto per l’Europa, gli aumenti siano dovuti ai rientri nei Paesi d’origine (specialmente nell’est europeo in Paesi come Ucraina e Moldavia) di lavoratori stranieri che hanno maturato la pensione in Italia: rilevante notare come il numero di stranieri cui viene erogata una pensione INPS sia infatti in aumento. In sei anni la loro percentuale è aumentata di oltre il 6%. Ci sono poi casi particolari come la Germania, Paese che ha visto nel secolo scorso una forte immigrazione italiana: dai dati del 2019 risulta uno squilibrio tra pensioni pagate in Italia dallo Stato estero e pensioni pagate invece dall’Italia (con una percentuale maggiore per le prime), segno che molti emigrati italiani alla fine del periodo lavorativo sono rientrati nel Paese d’origine. La Germania paga all’Italia un numero di pensioni 8 volte superiore a quelle pagate, al contrario, dall’Italia verso la Germania. Tridico ha anche ricordato che quando un lavoratore sceglie un altro Paese questo determina chiaramente per l’Italia una perdita nel gettito fiscale.

Delfina Licata (ricercatrice della Fondazione Migrantes) ha ricordato come “l’unica Italia che oggi cresce è quella che mette le radici fuori dai confini nazionali mentre la popolazione autoctona tramonta a fronte di oltre 5 milioni e mezzo di cittadini iscritti all’Aire e con una pandemia che non ha frenato l’emigrazione”. Licata ha evidenziato come a partire siano soprattutto giovani adulti che hanno scelto mete più vicine in Europa per emigrare. “Nella recente mobilità italiana c’è stata una ‘familizzazione’ del fenomeno nel senso che a partire sono sempre più famiglie con un ruolo maggiore delle donne. Parliamo di una mobilità ormai strutturata”, ha aggiunto Licata che ha poi rimarcato come l’aumento dell’aspettativa di vita, soprattutto al femminile, porta a un protagonismo anche nella fascia degli over 65. Licata ha sottolineato come da un lato ci sono ancora numeri sostanziosi riferibili alla mobilità storica in Paesi dell’America Latina (Argentina e Brasile su tutti) così come in località europee tipo Germania, Svizzera, Francia e UK; l’Europa si afferma invece come meta preferita dalla cosiddetta nuova mobilità. L’identikit delle donne soprattutto poi è molto composito sia per criteri anagrafici che di istruzione. “Oggi stiamo riscontrando tutta una serie di caratteristiche del fenomeno migratorio che abbiamo già visto nel passato”. Le donne italiane in mobilità si distinguono essenzialmente in tre profili: le vedove, che a volte rientrano per medio-lunghi periodi prima di fare ritorno all’estero (solitamente nello stesso paese in cui sono state emigrate per diversi anni oppure in nuovi paesi dove sono residenti figli e nipoti); le nonne, che raggiungo figlie, figli e nipoti; e le giovani/giovani adulte che partono da altamente qualificate o con titoli di studio medio-alti. Licata ha poi parlato degli anziani. “La comunità degli anziani è per il 47% compresa nella fascia d’età tra i 65 e i 74 anni; per un 32% in quella tra i 75 e gli 84 anni; per un 21% in quella dagli 85 anni in su. Dal 2006 al 2021 la presenza degli anziani è cresciuta del 91% e annualmente lasciano l’Italia 6mila cittadini con un’età superiore ai 65 anni”, ha spiegato la ricercatrice. Gabriele Uselli  (Direttore Centrale Pensioni INPS) ha focalizzato l’attenzione sulle pensioni erogate alle donne nelle diverse aree geografiche: Europa (52%), Nord America (22%), Sud America e Oceania (11%), punte di poco superiori all’1% per tutte le altre zone del mondo. Le donne sono passate dall’essere, nella maggioranza dei casi, prive di forme di assicurazione, destinatarie solo di pensioni ai superstiti, al diventare un soggetto autonomo e indipendente che dà il via a vere e proprie catene migratorie al femminile. Le motivazioni sono principalmente quelle che spingono anche un uomo a partire: la prospettiva di una vita indipendente, un maggior benessere economico e una carriera professionale più gratificante. Il trend quinquennale per le sole pensioni di anzianità pagate alle donne indicano un andamento altalenante in Europa e Africa, mentre la proiezione appare piuttosto lineare per Asia e America Centrale. I Paesi dell’est Europa maggiormente interessati dal fenomeno sono Bulgaria, Polonia, Ucraina, Moldavia e Romania. Toni Ricciardi (storico delle migrazioni dell’Università di Ginevra) ha sottolineato come “le pensioni sono un dato che non può mentire: dalle pensioni è possibile risalire con assoluta certezza al percorso compiuto dalle persone nel proprio iter migratorio ma come molte statistiche anch’esse sono incomplete”, ha spiegato Ricciardi evidenziando come dietro le migrazioni ci siano strategie, accordi o progetti. “Nella storia plurisecolare dell’emigrazione italiana l’Europa ha sempre avuto un ruolo da protagonista, ad accezione del periodo compreso tra 1900 e 1915”, ha aggiunto Ricciardi ricordando quindi gli accordi con Belgio, Francia, Svizzera o Germania. “Il Belgio diventava una delle tappe intermedie nel secondo dopoguerra per coloro che poi si recavano in Canada”, ha precisato Ricciardi invitando a riflettere su un’analisi che studi il peso specifico di questi dati e dello spopolamento dei piccoli borghi.

“I numeri delle pensioni – ha aggiunto Ricciardi – e le somme di denaro erogate dall’estero in Italia, sebbene le cifre siano da ritenersi ben più alte di quelle ufficiali, confermano il processo migratorio che storicamente ha interessato la penisola. Non è un caso che i principali contributori esteri siano i paesi più attrattivi del secondo dopoguerra. In questa fase si sperimenta la cosiddetta emigrazione assistita e disciplinata dallo Stato, che trova nella stagione d’oro degli accordi di emigrazione la sua consacrazione massima”. Daniele Russo (Dirigente della Direzione Centrale Pensioni Inps) ha invitato a riflettere se i rientri corrispondano con un ritorno nei luoghi di nascita oppure siano sentinella di una mobilità interna al territorio nazionale. Russo ha voluto sottolineare come nell’arco degli ultimi dieci anni siano state perse circa 90mila pensioni pagate all’estero, quale segno di una transizione che vede arrivare alla fine la vecchia emigrazione mentre la nuova mobilità non ha ancora prodotto effetti, anche per una diversa composizione e flessibilità del mercato del lavoro. “Operando un confronto con alcuni Paesi sul numero di pensioni che questi erogano nel nostro territorio e che al contrario l’Inps paga nel loro –ha aggiunto Russo – si è rilevato che i paesi che storicamente hanno rappresentato le mete privilegiate dei migranti italiani e che sono vicini ai luoghi di origine – come Germania, Francia, Svizzera, Belgio, ma anche Olanda e Austria – sono quelli che pagano un rilevante numero di pensioni in Italia, a coloro che conclusa l’esperienza lavorativa all’estero hanno deciso di far rientro nei nostri confini. Al contrario, nei paesi più lontani, come Australia, Stati Uniti e Canada, dove gli italiani migrati hanno preferito rimanere perché la lontananza ha contribuito a ridurre i legami con il nostro Paese, l’Inps registra un consistente numero di pensioni da pagare”.

Susanna Thomas (Direzione Centrale Pensioni INPS) ha parlato del monitoraggio effettuato dal 2011 al 2021 da cui emerge che mediamente ogni anno emigrano 4300 pensionati anche se nel 2021 c’è stato un calo. “In generale il 77% va in Europa mentre il resto si suddivide tra le altre aree senza troppe differenze. Il 32% è rappresentato da stranieri ossia persone che hanno conseguito in Italia il diritto alla pensione per poi rimpatriare”, ha spiegato Thomas sottolineando che per l’86% questi stranieri tornano in Paesi d’origine europei, per lo più nell’est Europa. Per quanto riguarda gli italiani, Thomas ha sottolineato come una categoria di emigrati particolare sia quella dei genitori che decidono di ricongiungersi coi figli che già vivono all’estero. Svizzera, Francia, Germania, UK, USA, Canada, Australia sono tra i Paesi più rappresentativi di questo fenomeno. A questi vanno poi aggiunti quei casi sporadici di cittadini che emigrano semplicemente perché cercano luoghi più esotici o maggiormente confortevoli rispetto alle personali esigenze.

Gian Carlo Perego (Presidente Fondazione Migrantes) ha rilevato: “Il nostro paese vive un momento molto delicato e saranno decisivi i passi che saranno compiuti alla luce della dinamica demografica che ci sta condizionando sempre di più e della strutturalità della mobilità, in uscita e in entrata, che condiziona i nostri territori. Per questo diventa essenziale l’analisi e la lettura di questo legame, rendendo ancora più marcata e ufficiale la collaborazione tra l’Inps e la Fondazione Migrantes attraverso una ricerca nazionale che viene annunciata oggi, aprendosi anche ad altre eventuali realtà nazionali ed estere. L’obiettivo è far emergere quanto il contributo dato, ieri come oggi, dalle lavoratrici e dai lavoratori italiani all’estero e dalle attuali pensionate e pensionati rientrati in Italia sia da sempre ricchezza fondamentale in alcune aree del nostro paese, a maggior ragione nel quadro socio-demografico di cui si è parlato. Così come ricchezza inestimabile è il lavoro oggi di cittadini di altre nazionalità che diventano o potrebbero diventare italiani in futuro, restando in Italia o ritornando nei loro luoghi di origine. Una nuova Italia non potrà che essere figlia della mobilità: giovani che scelgono l’Europa non solo per il lavoro, ma per scrivere una nuova storia familiare, una nuova partecipazione alla vita delle città, una democrazia da costruire e sperimentare”. Perego ha anche parlato della necessità di tutelare il lavoro e la previdenza dei migranti.  “Parliamo di una mobilità che riguarda profondamente l’Europa e per questo tali temi devono essere portati in un contesto europeo. La presenza di persone che lavorano e pagano contributi nel nostro Paese è altresì un tema importante che può dare futuro al nostro Paese a fronte di una bassa natalità. Questo scenario chiede dei cambiamenti legislativi sia per il rientro dall’estero che per i lavoratori immigrati in Italia”, ha spiegato Perego. “Deve esserci un incontro tra domanda e offerta che interpreti la realtà. Altro tema è quello dell’accoglienza per chi è in fuga: dei 100milioni di rifugiati e richiedenti asilo solo un 4% raggiunge l’Europa. Il picco di arrivi in Europa si è avuto nel 2015 ma il tema della distribuzione nel contesto europeo continua ad essere oggetto di discussione come l’idea di riforma dell’accordo di Dublino”, ha precisato Perego.

Giovanni De Vita ( Vice direttore centrale della Direzione generale per gli italiani all’estero della Farnesina) ha ricordato che il 2020 è stato un anno significativo a fronte della pandemia con un impegno finanziario straordinario per gli italiani all’estero: sono stati infatti resi disponibile, grazie al Parlamento, 6 milioni di euro in favore di iniziative per i connazionali che avevano subito le conseguenze della pandemia. “Ci sono stati contributi per l’acquisto dei biglietti per agevolare i rimpatri: più di 110mila sono stati i rimpatri gestiti dal Maeci”, ha evidenziato De Vita ricordando anche lo strumento dei prestiti. “Quello che è stato più innovativo si è visto nelle misure specifiche con l’erogazione straordinaria a fondo perduto di sostegni per il recupero del reddito in seguito alla perdita dell’attività soprattutto per i piccoli imprenditori; poi ci sono stati gli aiuti alla scolarità con il sostegno per l’acquisto di tablet o smartphone per persone con vulnerabilità economica. Si è puntato anche alla riqualificazione professionale delle persone finanziando la creazione di corsi di riqualificazione molto utili nel Regno Unito e in Sudamerica”, ha spiegato De Vita precisando che continua la stagione della stipula degli accordi per l’accoglienza di migranti. “Il nostro obiettivo è far combaciare domanda e offerta con la tenuta di corsi di formazione professionale per i migranti. Continua l’impegno del Fondo Africa creato nel 2017 per scoraggiare i fenomeni di migrazione clandestina: quindi l’idea è intercettare i migranti nei Paesi di transito e convincerli, con incentivi volti anche ad avviare attività economiche, a rientrare nei Paesi d’origine. Nel biennio 2018/2019 abbiamo avuto 80mila rimpatri volontari assistiti di questo tipo”, ha aggiunto De Vita che sull’Europa ha invece raccontato di una testimonianza diretta avuta a Londra su come il sistema di reclutamento inglese sia più accattivante, anche sotto l’aspetto salariale, e ci siano maggiori garanzie nel sistema dei contributi. Anche nel settore del turismo, a fronte di primati che può vantare solo l’Italia – uno su tutti il numero record di siti Unesco –  De Vita ha ricordato che siamo quinti dietro a Paesi come Spagna, USA e Grecia: “questo perché in Italia non si investe sul turismo, perché il servizio turistico non lo dà solo l’albergatore ma chiunque ti consente di accedere a una serie di servizi”, ha rilevato De Vita ricordando però il progetto inserito nel PNRR che sta promuovendo la Farnesina ossia il turismo delle radici per ripopolare i borghi e rivolto a una platea potenziale di 80 milioni di oriundi italiani nel mondo. Vincenzo Caridi (Direttore Generale INPS) in riferimento al conflitto in Ucraina ha rilevato come l’INPS si sia mosso con anticipo per far fronte a problemi di natura previdenziale nelle aree colpite dal conflitto nell’est Europa. “Annualmente si fa l’accertamento dell’esistenza in vita: non avendo il dato di decesso proveniente dal Comune siamo costretti a operare anche attraverso la rete consolare e tutti gli operatori attivi all’estero”, ha spiegato Caridi. Per quanto riguarda la Brexit, Caridi ha rassicurato sul fatto che questo per ora non stia creando problemi sui diritti previdenziali già acquisiti.

(Inform)

 

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