“Beh, non ha dato nessuna ragione che si tratti di una misura cattiva, eccetto per il fatto che è identificata con Joe Biden”. Con queste parole il senatore Kevin Cramer, repubblicano del North Dakota, ha spiegato che l'opposizione di Donald Trump al disegno di legge sulle infrastrutture non aveva fondamenta. Cramer, fedelissimo sostenitore di Trump, è uno dei 19 senatori repubblicani che ha votato con 50 democratici per mandare il disegno di legge alla Camera, consegnando al presidente Biden un'importante vittoria legislativa.
È proprio quello che voleva evitare Trump. A lui interessavano poco le ragioni e gli effetti positivi della misura.
La legge, una volta approvata anche dalla Camera e firmata da Biden, stanzierebbe più di mille miliardi di dollari per rimodernare i ponti, la rete delle autostrade interstatale, i trasporti pubblici—treni, autobus e metropolitane—, e l'ampliamento della rete di stazioni di ricarica dei veicoli elettrici. Tutto semplice per lui: vincere o perdere. Biden vince con il nuovo disegno di legge, Trump e i repubblicani ne escono perdenti.
I 19 senatori repubblicani che hanno votato a favore del disegno di legge hanno esercitato una certa indipendenza, allontanandosi da Trump, additando a una debolezza del loro leader.
Il 45esimo presidente aveva avvertito i senatori a votare contro. Aveva incluso la sua solita minaccia di nominare rivali alle primarie di quelli che avrebbero votato a favore. Mitt Romney, senatore dell'Utah, che aveva votato per l'impeachment di Trump, non ha ovviamente paura delle minacce. Il senatore Rob Portman dell'Ohio, uno dei dieci che ha negoziato il disegno di legge, andrà in pensione e non ha nulla da temere. Mitch McConnell (Kentucky), presidente della minoranza repubblicana al Senato, ha anche lui votato a favore, ormai abituato alle minacce e i duri attacchi da parte di Trump. Ha poco da temere poiché è stato rieletto nel 2020 e quindi se si ricandiderà, la prossima elezione per lui avverrebbe nel lontano 2026.
Altri però come i senatori Todd Young (Indiana) e Jerry Moran (Kansas), anche loro parte del gruppo dei negoziatori, hanno invece votato contro, senza dubbio pensando alla loro rielezione del 2022.
Quando un candidato presidenziale perde l'elezione storicamente si mette da parte e lascia il campo libero ad altri. Trump è un ex presidente anomalo soprattutto perché non ha mai ammesso di avere perso, sostenendo di essere stato defraudato della vittoria. Ha persino promesso che sta facendo tutti i suoi sforzi per identificare la frode e ha addirittura detto che ritornerà alla Casa Bianca nel mese di agosto. Non gli rimane dunque molto tempo per sfrattare Biden.
Un altro indizio che ci suggerisce l'affievolimento del potere di Trump ci viene offerto dalla recente elezione per sostituire il parlamentare Ron Wright del sesto distretto nel Texas.
Trump aveva dato il suo endorsement a Susan Wright, moglie di Ron, la quale però è stata sconfitta al ballottaggio da Jake Ellzey. Il neoeletto parlamentare aveva preso le distanze dall'ex presidente con una campagna elettorale centrata sui valori tradizionali repubblicani. Dopo avere accettato la sconfitta, Trump si è subito ricreduto ed ha detto che si tratta in realtà di una “vittoria” perché i candidati erano due repubblicani molto competenti.
I suoi consiglieri però sono preoccupati per gli endorsement che Trump offre poiché vedono rischi che continuano a ridurre la sua immagine di potenza. L'ex presidente ha il grande talento di crearsi la “realtà” ma ciò funziona solo con i suoi fedelissimi. Per vincere bisogna andare oltre il 30-40 percento di coloro che sostengono Trump ad occhi chiusi. Trump è stato consigliato dunque di offrire il suo endorsement con cautela.
L'ex presidente però tende a offrire il suo endorsement a individui con atteggiamenti servili e adulatori specialmente per colpire i suoi “nemici”. Uno di questi è rappresentato da Liz Cheney, parlamentare del Wyoming, la quale ha attaccato ferocemente l'ex presidente per avere incitato gli assalti al Campidoglio. Va ricordato che Cheney ha già pagato un prezzo per la sua chiarezza poiché Kevin McCarthy, leader della minoranza alla Camera, le ha tolto le responsabilità dentro del caucus repubblicano dove era il numero 3 nella leadership. Ciò non ha spaventato la Cheney la quale continua il suo ruolo di parlamentare ed ha persino accettato di fare parte della Commissione alla Camera sugli eventi del 6 gennaio. I cinque membri repubblicani della Commissione si erano dimessi ma la Cheney e Adam Kinzinger, parlamentare repubblicano dell'Illinois, anche lui molto critico di Trump, ne fanno parte. In effetti, questi due repubblicani danno una certa copertura di lavoro bipartisan che potrebbe persino costringere McCarty ed altri parlamentari repubblicani a testimoniare per il loro ruolo nell'insurrezione del 6 gennaio.
La Cheney dunque è uno dei bersagli favoriti di Trump. Di questi giorni il 45esimo presidente pensa di incontrarsi con parecchi candidati che intendono sfidarla alle primarie del Wyoming. L'ex presidente dovrà fare una scelta giusta che assicuri la vittoria al suo prescelto perché la visibilità di Cheney, figlia dell'ex vicepresidente Dick Cheney, rappresenta una dolorosa spina nel fianco.
Rick Scott, senatore repubblicano della Florida e presidente della National Republican Senatorial Committee, vorrebbe che Trump non interferisse nelle primarie e concentrasse i suoi sforzi nell'elezione generale. L'ex presidente però non fa il gioco del partito e in un certo senso se lo può permettere. La sua capacità di raccogliere fondi è molto più potente del Partito Repubblicano. Trump ha già incassato più di cento milioni di dollari dai suoi contribuenti i quali sostengono ancora la “big lie”, la grande menzogna della sua vittoria presidenziale nel 2020. Se dunque Trump non ha molto successo con il suo controllo dei senatori repubblicani, il suo dominio con i parlamentari, eletti ogni due anni, rimane terreno fertile. Ecco perché McCarthy, dopo avere accusato inizialmente Trump delle sue responsabilità negli assalti al Campidoglio, si è messo la coda fra le gambe e ha fatto la pace.
Si crede che alle elezioni di mid-term del 2022 i democratici potrebbero perdere la maggioranza in una o entrambe le Camere. Trump, nonostante il suo diminuito potere, ha parecchie carte da giocare per aumentare le chance di successo del suo partito. Tutto dipende però dai benefici personali che il narcisista Trump ne potrà trarre. (domenico mMaceri*\aise)
* PhD, professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California.
Il controllo di Trump sul Partito Repubblicano
Il controllo di Trump sul Partito Repubblicano: solido alla Camera ma debole al Senato – di Domenico Maceri
525 visite