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Il sistema Italia è una ruota quadrata che non gira

Rapporto Censis: il sistema Italia è una ruota quadrata che non gira

| Scritto da Redazione
Il sistema Italia è una ruota quadrata che non gira

Secondo il 54esimo rapporto annuale sulla situazione sociale del paese/2020 del Censis , «Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti. Mai lo si era visto così bene come durante quest’anno eccezionale, sotto i colpi dell’epidemia. Privi di un Churchill a fare da guida nell’ora più buia, capace di essere il collante delle comunità, il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data, alla rissosità della politica e ai conflitti interistituzionali. Uno degli effetti provocati dall’epidemia è di aver coperto sotto la coltre della paura e dietro le reazioni suscitate dallo stato d’allarme le nostre annose vulnerabilità e i nostri difetti strutturali, del tutto evidenti oggi nelle debolezze del sistema ‒ l’epidemia ha squarciato il velo: il re è nudo! ‒ e pronti a ripresentarsi il giorno dopo la fine dell’emergenza più gravi di prima».

Quella che emerge ancora più chiaramente  dalle scorie dell’epidemia e dall’anno della paura nera è un’Italia «Spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza» che oscilla dal «meglio sudditi che morti» all’affidarsi completamente allo Stato che diventa salvagente a cui aggrapparsi nel massimo pericolo e «La tensione securizzatrice ha prodotto una relazionalità amputata e un crollo verticale del “Pil della socialità”», dice il Censis.

E’ l’Italia della bonus economy, dei mille volti dei sussidi ad personam, con i ricchi invidiosi dei sussidi ai poveri e con le famiglie che mettono i soldi da parte ed evitare di contrarre debiti, mentre il  75,4% giudica però insufficienti o tardivi gli aiuti dello Stato. Un Paese dove il lavoro continua a non prendere slancio e dove a pagare il conto sono giovani e donne: «Nel secondo trimestre dell’anno i giovani di 15-34 anni risultavano particolarmente colpiti in alcuni settori: alberghi e ristorazione (sono più della metà dei 246.000 occupati in meno nel settore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), industria in senso stretto (-80.000), attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese (-80.000), commercio (-56.000). E la sperequazione nella possibilità di resistere alla perdita del lavoro vede nelle donne ancora una volta il segmento più svantaggiato. Al secondo trimestre il tasso di occupazione, che per gli uomini raggiungeva il 66,6%, presentava un divario di oltre 18 punti a sfavore delle donne. Nella classe di età 15-34 anni solo 32 donne su 100 risultano occupate o in cerca di una occupazione. Per le donne di 25-49 anni il tasso di occupazione è del 71,9% tra quelle senza figli, solo del 53,4% tra quelle con figli in età pre-scolare. E tra il 2008 e il 2019 la produttività del lavoro in Italia è aumenta appena dello 0,1%».

Ma la crisi pandemica/economica ha mostrato anche tutta la fragilità del mondo delle professioni e ha ampliato ulteriormente il gap tra ricchi e poveri: «Il 90,2% degli italiani è convinto che l’emergenza e il lockdown abbiano danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili e ampliato le disuguaglianze sociali. Sono appena 40.949 gli italiani che dichiarano un reddito che supera i 300.000 euro l’anno, con una media di 606.210 euro pro capite. Corrispondono allo 0,1% del totale dei dichiaranti. Mentre sono 1.496.000 le persone con una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro): sono pari al 3% degli italiani adulti, ma possiedono il 34% della ricchezza del Paese».

A pagarne le conseguenze rischiano di essere due servizi essenziali: sanità e scuola, delle quali la pandemia ha fatto risaltare tutte le mancanza

E, in un Paese invecchiato e incanaglito anche la rendita immobiliare che ha cementificato l’Italia rischia di lasciare molti con un pugno di mosche con case invendute ma che costano più di prima e un tracollo degli   affitti residenziali.

Un Paese sempre più digitale e digitalizzato, che vive sempre più in rete, ma che per questo esclude un terzo dell  generazione più anziana che non è in grado di accedere al mondo digitale con il quale si tiene in contatto il resto della popolazione, Un mondo esploso con il lockdown ma nel quale almeno un quarto della popolazione a un certo punto è andata in sofferenza e, scrive il Censis «Anche un terzo dei più giovani, dopo un iniziale entusiasmo nell’uso dei sistemi di comunicazione digitale, si è stancato di fare e ricevere videochiamate».

Un’Italia che si rinchiude in sé stessa anche quando si tratta di viaggi e turismo, sia per motivi di “sicurezza” che economici e nella quale solo il 28% ha fiducia nelle istituzioni dell’Unione europea (media Ue 43%): siamo ultimi nella graduatoria europea.

E’ quella che il Rapporto Censis chiama  società irrazionale della quale si ciba avidamente la destra sovranista, populista ed estrema: «Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. E’ un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste. Dalle tecno-fobie: il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone. Al negazionismo storico-scientifico: il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna. La teoria cospirazionistica del “gran rimpiazzamento” ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica: identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste. L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta che quest’anno hanno infiammato le piazze, e si ritaglia uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici dei trending topic nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri, occupando le ribalte televisive».

E in una società così infragilita, confusa e pessimista rischia di crollare anche uno degli ultimi pilastri economici; il patrimonio delle famiglie.  Come riassume il Censis: «La riduzione del patrimonio, esito della diminuzione del reddito lordo delle famiglie (-3,8% in termini reali nel decennio), mostra come si sia indebolita la capacità degli italiani di formare nuova ricchezza».

intanto, nonostante il salvatore della Patria Mario Draghi, per il Censis «Ci sono fattori di freno che congiurano contro la ripresa economica. Tutti i rischi di natura socio-economica che avevamo paventato durante la pandemia (il crollo dei consumi, la chiusura delle imprese, i fallimenti, i licenziamenti, la povertà diffusa) vengono oggi rimpiazzati dalla paura di non essere in grado di alimentare la ripresa, di inciampare in vecchi ostacoli mai rimossi o in altri che si parano innanzi all’improvviso, tanto più insidiosi quanto più la nostra rincorsa si dimostrerà veloce. A cominciare dal rischio di una fiammata inflazionistica. A ottobre 2021 il rialzo dei prezzi alla produzione nell’industria è stato consistente: +20,4% su base annua. Si registra un +80,5% per l’energia, +13,3% per la chimica, +10,1% per la manifattura nel complesso, +4,5% per le costruzioni».

E il Paese che disprezza sempre più la cultura e la scienza si trova ora a fare i conti con quello che il rapporto chiama il “Complotto contro il lavoro: il gioco al ribasso della domanda e dell’offerta”: «Quasi un terzo degli occupati possiede al massimo la licenza media. Sono 6,5 milioni nella classe di età 15-64 anni, di cui 500.000 non hanno titoli di studio o al massimo hanno conseguito la licenza elementare. Anche tra i poco meno di 5 milioni di occupati di 15-34 anni quasi un milione ha conseguito al massimo la licenza media (il 19,2% del totale), 2.659.000 hanno un diploma (54,2%) e 1.304.000 sono laureati (26,6%). Considerando gli occupati con una età di 15-64 anni, la quota dei diplomati scende al 46,7% e quella dei laureati al 24,0%. Un’occupazione povera di capitale umano, una disoccupazione che coinvolge anche un numero rilevante di laureati e offerte di lavoro non orientate a inserire persone con livelli di istruzione elevati indeboliscono la motivazione a fare investimenti nel capitale umano. L’83,8% degli italiani ritiene che l’impegno e i risultati conseguiti negli studi non mettono più al riparo i giovani dal rischio di dover restare disoccupati a lungo. L’80,8% degli italiani (soprattutto i giovani: l’87,4%) non riconoscono una correlazione diretta tra l’impegno nella formazione e la garanzia di avere un lavoro stabile e adeguatamente remunerato».

Il Paese del prima gli italiani si ritrova ad affrontare la grande sfida della ripresa post-pandemia con una grave debolezza: la scarsità di risorse umane su cui fare leva, frutto di una contrazione delle nascite che non ha uguali in Europa e del calo della popolazione complessiva anno dopo anno, nonostante l’arrivo dei migranti. Un Paese troppo preso a aver paura degli altri per concedersi la speranza del futuro: «La grande maggioranza delle famiglie che stavano pensando di avere un figlio ha deciso di rinviare (55,3%) o di rinunciare definitivamente al progetto genitoriale (11,1%)».

E il Censis  analizza anche i possibili risultati negativi del super-bonus 110% che hanno già avuto n un onere per lo Stato di 8,2 miliardi: «Il boom degli ultimi mesi è legato alla crescita della quota relativa ai condomini, che oggi è pari solo al 13,9% degli interventi (la percentuale era del 7,3% a febbraio), ma rappresenta poco meno della metà dell’ammontare complessivo (il 47,7%), dato che l’importo medio dei lavori nei condomini si attesta intorno ai 560.000 euro, contro i circa 100.000 euro degli interventi su singole unità immobiliari. Il rischio è che una parte dello stock di abitazioni private sia oggetto di un generoso intervento di riqualificazione energetica (nonché di valorizzazione economica) a carico della collettività, mentre molti asset pubblici (dalle scuole agli ospedali) permangano in uno stato di cattiva manutenzione».

Se i giovano sono sempre meno hanno però sempre più evidente che il potere decisionale è in mano agli anziani, Dal rapporto Censis emerge che «Il 74,1% dei giovani di 18-34 anni ritiene che ci siano troppi anziani a occupare posizioni di potere nell’economia, nella società e nei media, enfatizzando una opinione comunque ampiamente condivisa da tutta la popolazione (65,8%). Il 54,3% dei 18-34enni (a fronte del 32,8% della popolazione complessiva) ritiene che si spendano troppe risorse pubbliche per gli anziani, anziché per i giovani». Sembra l’embrione di un conflitto generazionale che cova sotto la cenere e alimentato dalla precarietà lavorativa: «Il 58% della popolazione italiana tende a non fidarsi del governo, ma tra i giovani adulti la percentuale sale al 66%». In un Paese dove si va in pensione sempre più tardi, i Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, sono una eclatante fragilità: «Tra tutti gli Stati europei, l’Italia presenta il dato più elevato, che negli anni continua a aumentare. Nel 2020 erano 2,7 milioni, pari al 29,3% del totale della classe di età 20-34 anni: +5,1% rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno sono il 42,5%, quasi il doppio dei coetanei che vivono nelle regioni del Centro (24,9%) o nel Nord (19,9%)».

Ma di fronte a questo quadro foscio, ci sono anche risvolti sociali positivi come la riscoperta della solidarietà. »Un terzo degli italiani ha partecipato a iniziative di solidarietà legate all’emergenza sanitaria, aderendo alle raccolte di fondi per associazioni non profit, per la Protezione civile o a favore degli ospedali – dice il Censis –  Quasi un terzo di coloro che si sono attivati ha svolto in prima persona attività gratuita in associazioni di volontariato impegnate nella lotta al Covid. Il 20,7% degli italiani ritiene che la gestione dell’emergenza da parte delle istituzioni abbia prodotto buoni risultati, per il 56,3% è stata abbastanza adeguata, per il 23,0% inadeguata».

Forse per guardare con fiducia al futuro dell’Italia bisognerebbe partire da qui, dall’Italia che ha fiducia negli altri, compassionevole, civile, aperta, Forse una minoranza, ma la sola che può far uscire l’Italia da questa crisi valoriale provocata da chi si sciacqua ogni minuto la bocca con i valori dell’Italia, di chi chiede ordine e semina disordine, di chi aizza i poveri contro i più poveri.

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