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L’ECOPOLITICA QUESTIONE SOCIALISTA: CONCILIARE EINSTEIN E SOLDATI

Ok, per meglio intenderci, dovremo pur disvelare gli aforismi dei due personaggi, che fanno da assist incipitario a questa riflessione.

| Scritto da Redazione
L’ECOPOLITICA QUESTIONE SOCIALISTA: CONCILIARE EINSTEIN E SOLDATI

L’ECOPOLITICA QUESTIONE SOCIALISTA: CONCILIARE EINSTEIN E SOLDATI

 Ok, per meglio intenderci, dovremo pur disvelare gli aforismi dei due personaggi, che fanno da assist incipitario a questa riflessione.

Il grande pensatore tedesco (ed ebreo) sosteneva l’inutilità delle riunioni in cui i partecipanti manifestino medesime vedute e comuni convincimenti. Mentre lo scrittore/cineasta di origini torinesi confidava di portare sempre con sé il proprio convincimento ed il suo contrario.

I tempi correnti, contraddistinti da quella che appare un’irreversibile tendenza alla liquefazione del pensiero e della testimonianza politica, dimostrano inoppugnabilmente la fecondità dell’impulso a rinnovare il gesto comunitario della condivisione ideale e della dialettica permanente. Che ne è alimento e che, negli attuali contesti, rappresenta una sorta di preghiera laica (come direbbe Norberto Bobbio) e, ad un tempo, uno degli antidoti alla regressione in corso.

Rispondendo allo sms di un amico (approdato a testimonianze politiche e a militanze, che rispetto ma che ritengo incongrue alla precedente), il quale mi segnalava un bisticcio da ballatoio tra esponenti istituzionali (figli d’arte socialista ed attualmente investiti di mandato istituzionale), ribadivo qualche minuto fa un convincimento. Ormai stratificato da riscontri logici e fattuali, sul percorso scandito dai passaggi che disassarono la prima repubblica, per essa intendendosi il modello scaturito dalla Liberazione e dalla fondazione della Repubblica, e che incardinarono nuovi equilibri.

I più avveduti analisti convergono sull’assunto che la smobilitazione del consolidato della Repubblica consociativa rientrasse, all’inizio degli anni 90 del secolo precedente,  nelle strategie dei detentori della golden share dei poteri planetari.

La Prima Repubblica, che aveva forgiato un’Italia fondamentale per il suo ruolo di competitor geo-politicamente  simbolico dell’aggregato militare e politico posto oltre la “cortina di ferro”, aveva esaurito la sua mission  strategica, per l’assolvimento della quale il senior partner Oltreatlantico (specie in costanza dei cicli democratici), aveva accettato, in omaggio alla dimostrazione di un asset incardinato in un capitalismo sociale più favorevole alle masse del socialismo reale, che le vicende politiche dell’Europa Occidentale fossero pervase per mezzo secolo da leadership socialdemocratiche.

La caduta del “muro” e quella sorta di tana liberi tutti che sarebbe stato il collassamento del sistema sovietico avrebbe reso obsoleto quel modello, in parte ottriato dagli equilibri occidentali ed in parte conquistato dai movimenti laburisti e liberal socialisti come da quelli cristiano democratici.

L’apertura delle frontiere e dei mercati, la libera circolazione delle merci e delle persone, la finanziarizzazione dell’economia costituirono, già alla fine degli anni 80, a lanciare per l’Occidente una new have anche sul piano politico. Che si sarebbe orientata all’obsolescenza dei protagonisti del precedente ciclo.

Il 2 giugno 1992 costituisce una data simbolica dell’avvio di quella strategia. A bordo del Britannia, il panfilo della Corona d’Inghilterra, manager ed economisti italiani e banchieri britannici, durante una crociera di mezza giornata al largo di Civitavecchia discussero della prospettiva delle privatizzazioni in Italia. E, secondo una vulgata, di molto altro. Tra cui la messa in mora dell’asset politico-istituzionale che, per mezzo secolo aveva difeso “l’economia mista”, facendo dell’Italia una sorta di sistema sovietico dotato, però, di prerogative democratiche.

 Quel modello si stava rivelando manifestamente in contrasto con le strategie turbo-liberiste, che richiedevano una rarefazione del potere di contrasto dei partiti “strutturati”, tollerati per lungo tempo in omaggio alla guerra di posizione al blocco sovietico, ma, come abbiamo già considerato, incongrui ai nuovi scenari.

In particolare, veniva ritenuta prioritaria la messa in mora della leadership continentale esercitata a lungo dalla socialdemocrazia.

Cominciava così il declino del più antico movimento popolare, nonostante che tra gli anni 50 e 70 con i congressi di Bad Godesberg ed Epiney SPD e PSF i maggiori segmenti della famiglia socialista europea avessero fortemente aggiornato un progetto politico capace di coniugare le radici di giustizia sociale ed emancipazione civile con il realismo di un aggiornato rapporto con i cambiamenti in atto. In Italia sarebbe, più tardivamente, avvenuto con la leadership craxiana.

Tale premessa tende a collocare temporalmente l’inizio della decadenza del pensiero socialista. La cui influenza sulle vicende politiche dell’Occidente europeo sarebbe stata marginalizzata. Relegando a ruoli residuali quando non, come sarebbe avvenuto in Italia e più tardi in Francia, alla lettarale scomparsa dei movimenti ispirati dal PSE.

Quali che siano stati le cause od il complesso di cause che hanno concorso a tale epilogo dovrebbe impegnare un’analisi molto più approfondita di quanto possa essere questa riflessione.

Il quesito centrale che impegna la correlazione tra residualità dei movimenti di ispirazione socialista ed obsolescenza del pensiero socialista è se, negli attuali scenari contraddistinti da regressioni in chiave populista, ci sia ancora spazio per una visione socialista del governo dei cambiamenti in corso e di progetto di riforma della società in chiave di rilancio degli standards di giustizia sociale conculcati dalle politiche sottese alla globalizzazione, delle teorie della corresponsabilità sociali, delle visioni autogestionarie come campo di applicazione del binomio merito/bisogno.

Anche il meno disincantato sguardo agli scenari attuali sconsiglierebbe qualsiasi scommessa attorno al recupero di appeal delle teorie socialiste. Ne sono prova, tra l’altro, la polverizzazione in Italia del movimento organizzato e la caduta inarrestabile del consenso elettorale.

Quello che, fino a qualche anno fa restò, almeno sul piano simbolico, della funzione e della presenza del socialismo italiano, inesorabilmente avviato alla residualità, è stato ulteriormente annichilito dalle conseguenze del decadimento del senior partner dell’area di riferimento (il centro-sinistra) e, diciamolo con tutta franchezza, da quella sorta di predisposizione al suicidio rituale ed all’auto-estinzione, che ha scandito i percorsi del movimento socialista italiano.

Avrebbero potuto essere diversi? Indubbiamente la pervicacia, con cui, dalle gestioni Boselli/Villetti a Nencini, il PSI ha costantemente mantenuto un rapporto ausiliario con PDS, DS, PD (da Partito Contadino Polacco satellite del POUP) , è stata determinante nel destituire di qualsiasi autorevolezza la pretesa di ritagliare una piena cittadinanza ed un ruolo effettivo di proposta socialista all’interno della sinistra.

E, siccome il movimento guida del centro-sinistra è morto ed il movimento socialista, per ricorrere ad un eufemismo, non sta molto bene, appare necessario accertare se, contestualmente alla verifica della sussistenza delle motivazioni delle teorie del socialismo liberale e riformista, esistano anche le condizioni per un rilancio della relativa struttura organizzativa e militante.

A fine marzo, si svolgerà a Roma il Congresso del PSI chiamato almeno a provare a fornire un’offerta sostenibile di rilancio. Per essere minimamente sostenibile, quel che resta del PSI (dalla seconda repubblica in poi) non può non produrre una cesura irreversibile con la pratica che per oltre un quarto di secolo lo ha visto sacrificare il proprio progetto sull’altare della sopravvivenza di una piccola “ditta”.

Il risultato delle elezioni di un anno fa, che hanno assegnato alla lista insieme di socialisti, ambientalisti e prodiani mezzo punto percentuale e, soprattutto, l’oscar per la migliore interpretazione di un ruolo ancillare, deve essere protestato da un sussulto di consapevolezza autocritica, di dignità civile, di residua fiducia nel proprio idealismo.

Mettiamo in campo il grande Pietro Nenni con il suo motto a “non arrendersi mai, non riconoscere mai che non ci sarebbe più niente da fare…”.

Un’esortazione che, però, non può in alcun caso costituire un alibi per reiterare, mutatis mutandis, le pratiche che hanno condotto all’irrilevanza.

La testimonianza dei socialisti italiani non può che avere come riferimento l’appartenenza alla famiglia del socialismo europeo (anche se un po’ ammaccata). Il suo rilancio è possibile solo se viene ribadito l’ancoraggio al progetto del completamento dell’unità politica ed istituzionale continentale.

Alla distanza, con la fine dell’ubriacatura delle suggestioni populistiche, si riapriranno gli ambiti di opinione e di consenso elettorale per un progetto del socialismo riformista.

Ma se da queste affermazioni di principio si scende sul terreno delle opzioni pratiche, allora nella coesione della direzione di marcia da intraprendere si aprono non insignificanti falle.

La settimana che si conclude e quella che verrà saranno contraddistinte da una ripresa del dibattito nell’ambito socialista.

Sabato 23 marzo 2019, alle ore 14.30, presso l' Arci San Bernardino avrà luogo la riunione convocata da Virginio Venturelli, coordinatore della Comunità Socialista Cremasca, per una valutazione  delle tesi congressuali  in discussione nel PSI  e nel movimento MDP Art 1 e dell'evoluzione del quadro politico in vista delle elezioni europee.

Domenica 24 i socialisti mantovani terranno il loro congresso provinciale presso la Sala Congressi dell’Hotel La Favorita. All’assemblea preparatoria del Congresso Nazionale di fine marzo, parteciperà una delegazione di socialisti cremonesi, interessati a sondare la praticabilità di un progetto di armonizzazione della presenza socialista in una dimensione sovra provinciale.

I socialisti di Cremona e del circondario casalasco si ritroveranno sabato 30 marzo alle ore 9,30 ospiti della sede dell’associazione Zanoni di via Versecchi, 10 per valutare il percorso di un rilancio della presenza socialista organizzata sul territorio, anche in vista delle imminenti elezioni del Parlamento Europeo e di numerosi Comuni, tra cui il capoluogo.

L’Eco del Popolo intende offrire dalle proprie pagine un’opportunità di confronto a tutti coloro che intendono fornire un contributo al rilancio della presenza socialista.

In tal caso si segnala di inviare il proprio contributo a: lecodelpopolo@gmail.com

 

 

 

 

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