Sabato, 20 aprile 2024 - ore 14.34

LA 'VECCHIA' PER WELFARE CREMONA | Agostino Melega

Dopo aver scritto il libro sul Barbatùus,mi sto impegnando in una ricerca riguardante un’altra figura presente nel folklore nazionale ed internazionale.

| Scritto da Redazione
LA 'VECCHIA' PER WELFARE CREMONA | Agostino Melega

LA 'VECCHIA' PER WELFARE CREMONA | Agostino Melega

   Dopo aver scritto il libro sul Barbatùus, uscito con la pregiata casa editrice “Cremona Produce”, mi sto impegnando in una ricerca riguardante un’altra figura presente nel folklore nazionale ed internazionale.

Da qui il titolo alla mia fatica, “La Vecchia nel mito e nel rito”, rivolta ad una dimensione culturale che rimanda al vocabolo che lo scrittore William John Thoms coniò per primo nel 1896 sulla rivista inglese “Athenaum”, quando egli unì due parole d’origine sassone: folk (popolo) e lore (sapere), che in italiano possiamo declinare con l’espressione “sapere del popolo”. 

 Devo confessare che la mia ricerca si avvale prevalentemente del contributo di un grande studioso russo, Vladimir Jakovlevic Propp, il quale ha indagato  sui rapporti fra la fiaba e la protostoria dei popoli, così come mi sono riferito alle tesi  del glottologo Mario Alinei, docente per anni all’Università di Utrech, venuto a mancare qualche anno fa, e con il quale mi sono rapportato in passato attraverso “la mediazione” dell’Istituto culturale ladino di Vigo di Fassa (TN).

 Alieni ha collocato infatti l’origine dei dialetti romanzi in una dimensione storica antecedente l’arrivo in Italia dei popoli Indoeuropei ed ha affermato che la radice dei dialetti italiani è precedente all’arrivo in Val Padana dei Galli Cenomani ed Insubri, così come è precedente al linguaggio usato dalle seimila famiglie provenienti da Roma, le quali nel 218 a.C. trasformarono un accampamento militare nella splendida città di Cremona.

  E quindi se si vuole indagare sulle origini del folklore padano, un notevole terreno di scavo e di ricerca lo viene ad offrire proprio il dialetto nelle sue varie saghe, costituite soprattutto da materiali infantili, ossia fiabe, filastrocche, conte e giochi, perché è in questi substrati che si sono depositati nel tempo i segni di tempi lontanissimi dall’attuale nostra epoca.

   Ora devo confessare, quale modesto e semplice artigiano ricercatore, che sono rimasto curioso, fin da quando ero bambino, della personificazione folklorica della Vecchia. Infatti non avevo compiuto ancora sei anni quando sentii per la prima volta parlare di questa figura, chiamata in dialetto bolognese rustico Vèce e in dialetto felsineo sotto le due Torri Vècia. 

   Era l’anno 1954. Allora mi trovavo a casa della nonna Giuseppina a Sant’Agata Bolognese, e ricordo che mio padre William, quel 5 di gennaio di tanti anni fa, scese dalle scale della soffitta con un fucile da caccia in mano, e nel mentre si stava dirigendo verso la porta d’uscita, disse senza alcuna esitazione: “A vàagh a mazèer la Vèce (Vado ad ammazzare la Vecchia)”.

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