Venerdì, 29 marzo 2024 - ore 13.38

L’Occidente e il resto del mondo | RAR

| Scritto da Redazione
L’Occidente e il resto del mondo | RAR

Obama avanza in tutti gli Stati più importanti e determinanti; così lo spettro di una vittoria repubblicana si allontana, ma non basta, bisogna proprio che svanisca.
Tutta la storia degli USA è storia di violenza, con il rischio di diventare storia dell’intero Occidente, che deve essere conosciuta o ricordata  per scongiurare il reiterarsi degli effetti più perniciosi.
Il mio invito è alla pazienza, rivolto agli amici virtuali che riceveranno questo secondo saggio, troppo lungo come  articolo, ma troppo breve  per essere esauriente

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La discriminazione è infatti tra Occidente e resto del mondo, anche se all’apparenza si tratta di un bipolarismo tra l’occidente e il mondo islamico; non si può affidare all’ago di una bussola il confine e il limite dell’espansionismo imperialista americano. Il punto nevralgico di tutto il contorto itinerario americano è nello sfogo bellico: lo vogliono le industrie delle armi, lo vogliono i sedentari militari del Pentagono e quelli adusi ai vari teatri di guerra, lo vogliono i petrolieri, lo vogliono i politici collusi con le industrie e con il Pentagono, lo vogliono i clan malavitosi che trafficano in armi, droghe, mercenari, materie prime sottratte alle nazioni sottosviluppate e, quindi, alle fasce più deboli del pianeta.
Probabilmente non le vogliono i cittadini americani, quelli che contribuiscono alle guerre con i propri ragazzi che, spesso, rientrano nei sacchi di plastica grigi avvolti nella bandiera. Dobbiamo saper dire la verità: le guerre sono il più lucroso affare del mondo occidentale; ovviamente lucroso per quelli che stazionano al vertice del potere o nelle immediate vicinanze.
Queste guerre, già fin dalla fine della II° guerra mondiale (l’ultima guerra combattuta), ci indicano il punto in cui è arrivato lo sviluppo tecnologico della parte vincente, almeno lì dove la tecnologia ha il sopravvento sulle azioni. Si tratta di guerre senza conflitto, a basso rischio di perdite dalla parte del più forte; le perdite dell’altro fronte sono solo numeri che servono ad arricchire il campione per definire la statistica del potenziale di distruzione della nuova tecnologia. Da una parte la tecnologia destinata, obbligata direi, a vincere, dall’altra soldati indifesi che si assimilano ai civili, confondendosi con donne, vecchi, bambini. La loro identificazione è affidata all’intelligenza delle bombe, alla precisione chirurgica dei missili, alla discrezionalità delle bombe a grappolo; l’unica alternativa concessa è la fuga, quando e se la celerità delle azioni tecnologiche lo consentono.
L’alternativa a queste guerre, vuoi che siano contro il terrorismo, come in Afghanistan, o preventive e di (paradossale) liberazione, come in Iraq, potrebbe essere la pace, ma questa è condizionata all’accettazione e alla sottomissione al nuovo ordine  che i più forti, in nome della civiltà occidentale, vogliono imporre al resto del mondo. Un nuovo ordine che deve riuscire a tamponare le perdite economiche provocate dalla mancata belligeranza.   Ma anche tale imposizione non è prioritaria, non rappresenta la ragione immediata dello scatenarsi delle guerre; la vera ragione è la distruzione dell’ordine precedente,  per dimostrarne l’inconsistenza e potere così, più facilmente imporre quello nuovo, a tecnologia avanzata e ampiamente e drammaticamente dimostrata.
Si afferma l’eresia gnostica che riduce il senso dell’esistenza al culto della civiltà della tecnica. Si realizza il sogno gnostico di identificazione tra il divenire della storia e il progresso tecnico. In questo deserto dei valori l’ideale politico funziona senza alcun riferimento al bene comune, senza alcun riferimento ai valori etici.
L’Occidente vuole imporsi come il solo sistema naturale, sostenendo la logica del capitalismo come la sola espressione della razionalità.
Dopo avere combattuto per quasi un secolo il materialismo storico marxista, l’Occidente, pilotato dal potere USA, è caduto nel materialismo edonista; è ritornato alla lotta di classe, ma stavolta dalla parte delle oligarchie economiche che vogliono consolidare il potere manomettendo i legittimi interessi delle fasce più deboli della popolazione mondiale. Il dilatarsi della fame nel mondo, l’imposizione della globalizzazione dei mercati per vanificare il potenziale economico delle nazioni sottosviluppate o in via di sviluppo, l’invenzione delle guerre preventive, con i messaggi di violenza e la esibizione della forza, vengono presentate come conquiste della civiltà del nuovo ordine che vogliono affermarsi imponendosi attraverso la paura che stimolano.
Si dilata il popolo dei vinti, quel popolo che l’Occidente, nell’intero itinerario della sua storia, ha sempre disprezzato e cercato di cancellare dalla storia come mai esistito.
Si arriverà a nuovi genocidi di massa per salvaguardare il primato dell’Occidente ?
Gli indiani d’America furono massacrati dai nuovi arrivati, con una lentezza esasperata; erano un popolo di vinti, verso il quale gli States,  punta avanzata dell’Occidente, ha usato  la falsità come metodo, la forza come azione; il disinganno toccò il fondo del barile. Nel 1870, con lo stermino del campo invernale dei Cheyenne in Colorado e con il massacro della battaglia di Wounded Knee, la grande America trionfò sugli indigeni che da sempre occupavano quei territori. Gli stessi storici americani, messi a tacere dal sistema, stimarono il complessivo degli indigeni eliminati in oltre 70 milioni, dall’inizio del 1800 fino al 1914.  Quel popolo di vinti non poteva trovare da nessuna parte la possibilità di un riscatto, per questo fu annientato fisicamente, culturalmente e storicamente. E’ la logica dell’oscurantismo moderno che si ciba di atrocità e violenze, stimolando odio e vendette, con il solo scopo di poterle soffocare nel sangue.
La storia del male non finisce mai di finire: ora è il turno dei popoli islamici, che devono essere assoggettati al nuovo ordine, pena il massacro, giustificato dall’uso di quel terrorismo che l'Occidente ha scientificamente programmato, previsto, e spesso anche finanziato, come ci è dimostrato dai fatti dell’Afghanistan con i Talebani e dell’Iraq con Saddam Hassein.
Una nazione senza storia vuole imporre la propria non-storia al mondo intero; the salad Bowl, l’insalatiera etnica, come gli americani si autodefiniscono, è un groviglio di etnie, nazionalità, culture, che non possono trovare alcun amalgama senza una denominatore comune che  esalti un punto di aggregazione. Sono sciovinisti senza patria, accomunati solo dalla logica del potere che trasforma ogni azione in una azione di confronto; per questo sono i promotori più convinti del bipolarismo in ogni aspetto della vita delle collettività, a cominciare dall’aspetto politico. Con il bipolarismo non possono sorgere ipotesi di dubbio: o sei con me o sei contro di me; la terza via, quella che in fondo sarebbe la via della maggioranza che subisce passivamente, viene negata a monte, per evitare che possa affermarsi.
Gli USA si servono dell’Occidente per rendere credibile l’imposizione della forza in alternativa al confronto dialettico; tale confronto, in termini di concertazione, è lontano dalla loro non-cultura: da quando esistono hanno sempre fatto valere il peso della loro forza militare e del loro potere economico, fino all’arroganza e al delirio di onnipotenza.
Tutta la struttura produttiva degli USA è imperniata sulla dilatazione del potere militare; anche la ricerca scientifica è stimolata e finanziata dallo Stato in funzione dell’economia di guerra. Sulla base di queste premesse gli americani non possono accettare l’ipotesi della soluzione di una qualsiasi controversia internazionale, che non preveda l’uso delle armi e l’avvalersi della legge del più forte.
La tecnologia, spinta fino alle più sofisticate raffinatezze dell’ingegneria , controlla la vita del pianeta, ne scruta i minimi particolari. Il Grande Fratello che volteggia a pochi chilometri sulle nostre teste, ma fuori della vivibilità dell’atmosfera, è in grado di visualizzare la targa di una macchina, i suoi spostamenti. L’uso delle carte di credito consente un controllo del quotidiano fin nei minimi particolari. Ma più sofisticata si fa la struttura di controllo, più debole diventa la possibilità di difesa, essendo tutto affidato alla stupidità operativa di un computer, privo di ogni possibile creatività. Un giorno la vita sulla terra sarà così verticalizzata che tutto dipenderà da un micro cip collocato al vertice di una piramide dentro la quale si svolgeranno le attività programmate da quell’unico, minuscolo detentore di memoria. Spunterà un uomo armato di una fionda e abbatterà quel micro-cip, così finirà la storia dell’uomo, per ricominciare daccapo, come deve essere accaduto già moltissime altre volte. E’ bastato un guasto in una scatoletta da pochi dollari nella centrale situata nelle cascate del Niagara per fermare tutta la costa Est dell’America, comprese la grandi metropoli.
Lo scudo stellare che protegge l’America da possibili attacchi esterni, l’efficienza della più potente organizzazione spionistica del pianeta, la CIA, nulla hanno potuto contro un temperino nelle mani di persone decise al suicidio pur di dimostrare l’inconsistenza di un potere che vuole affermarsi sul resto del mondo.
E’ questo il senso dell’11 Settembre, nel verso più distensivo nei confronti dell’amministrazione Bush, perché allora si dovrebbe rivedere tutto ciò che riguarda quell’evento storico.
La storia del potere è scandita da eventi tragici, la maggior parte dei quali sono a carico dei più deboli, degli indifesi e dei vinti, ma capita anche che il potente si ritrovi a subire una sconfitta, perché non prevista dalle sue statistiche, dai sondaggi di opinione, o da altri marchingegni che regolano la sua quotidianità: allora arriva il panico, perché la pretesa e inviolabile verginità è stata stuprata.  Allora si scatenano i mass media; diventa urgente modificare a proprio consumo la dinamica degli eventi; diventa perentorio informare la pubblica opinione secondo un ben preciso indirizzo.
E’ facile trovare, nel pubblico mercato dei cervelli all’ammasso, penne vendute al miglior offerente, e il miglior offerente non può che essere il più forte, il vincitore, quello che di volta in volta impone un nuovo ordine schematizzato secondo ben precisi interessi di parte; queste penne-vendute di mestiere, mercenarie dell’informazione si prestano a fare da cassa di risonanza del vincitore; la giustizia, la verità, la solidarietà verso i più deboli, gli indifesi, gli sconfitti, i perdenti, diventano optionals trascurabili. L’impegno prioritario dei pennivendoli di mestiere è quello di compiacere il vincitore, saltare sul carro del più forte, per ottenere le briciole del bottino o un attico nella 38° Strada di New York.
L’Occidente oggi gioca il ruolo del vincitore, trascinato in questa assurda competizione da quegli USA che per sopravvivere e mantenere il loro elevatissimo tenore di vita, hanno bisogno di crearsi sempre un nuovo nemico da combattere, attraverso la scelta bipolare, necessitano di un sempre nuovo avversario da sottomettere, sul quale prevalere e quindi da spogliare delle materie prime;  il ciclico ripetersi di questi eventi viene chiamato nuovo ordine. Nell’uso e nell’abuso della guerra tecnologica, questo Occidente pilotato dagli angloamericani, mostra tutta la sua debolezza, la fragilità della sua struttura ideologica.
Trasformati da popolo occidentale in Tribù bianca dell’Occidente,  si è messo a nudo il vuoto culturale, l’incapacità di usare il dialogo come mezzo per risolvere le controversie, l’inettitudine a privilegiare i mezzi della politica e della diplomazia, convinti che il terrore che suscita la potenza delle armi di distruzione possa annientare ogni desiderio di rivalsa. La cronaca che stiamo vivendo dimostra esattamente il contrario, con una perversa spirale involutiva che non invertirà la rotta intrapresa se tutto intero il metodo di confronto non si trasformerà da scontro armato a incontro dialettico.
La non-cultura degli USA, una disordinata miscellanea di teorie contrastanti, che trovano nel pragmatismo l’unico denominatore comune, contrasta però con la millenaria cultura europea. L’Europa mira ad andare oltre il potere, verso un mondo regolato da leggi valide per tutti, senza distinzioni tra vinti e vincitori, da regole scaturite da cooperazioni internazionali, da integrazione tra popoli; è l’eredità dell’Umanesimo che J. Maritain volle identificare come Integrale. Gli USA, privi come sono  della cultura umanistica, considerano l’esercizio del potere come il solo viatico verso l’applicazione di regole internazionali; ritengono che la difesa  del nuovo ordine, da loro stessi programmato, non possa che essere affidato all’uso della forza e all’abuso delle armi. La divisione tra la cultura europea e la non-cultura americana si evidenzia sempre più, specie negli ambienti culturali liberi da scritture nei vari libri-paga della CIA. Si afferma con sempre maggior vigore la differenza nelle strategie,: quella europea aperta al dialogo, al confronto e alla concertazione con tutti i popoli della terra, e quella americana, identificabile nella “cultura della morte”, eredità di una civiltà nata con la violenza, cresciuta con la violenza, basata sulla violenza: 8 americani su 10 dispongono di armi (acquistabili in maniera anonima per posta), ivi compresi neonati, handicappati, drogati, minorati psichici,  e la pena capitale è uno strumento non di giustizia ma di feroce vendetta,  per l’80% riservata ai condannati di colore.
Con l’ampliamento del I° Maggio 2004, l’Europa Unita si compone di 25 nazioni, coprendo tutti i territori che già erano stati unificati sotto l’impero austro-ungarico.
Si parlano oltre 20 lingue diverse ed ognuna di queste lingue è frutto di una cultura non assimilabile alle altre: dal neolatino all’anglosassone, al greco all’arabo di Malta  e alle lingue orientali delle dieci nazioni dell’ex blocco sovietico, candidate ad un prossimo ingresso a pieno titolo nell’UE, con tutte le varianti non solo linguistiche ma di costume e di cultura, con una nota comune che identifica la cultura europea e che è rappresentata dalla centralità dell’uomo nei fatti storici, che contrasta con l’itinerario pragmatico degli angloamericani che proclamano la centralità dell’economia e della tecnologia.
Questo atteggiamento europeo è frutto di una evoluzione recentissima, che ci rimanda alla seconda guerra mondiale; la volontà pacificatrice (non pacifista) dell’Europa deriva direttamente dal superamento dei vari nazionalismi, pur con dei “distinguo” che devono ancora assimilarsi tra di loro. Questa fase di superamento del nazionalismo non è avvenuta nella cultura angloamericana; la loro ragione o, indifferentemente, i loro torti, vanno sostenuti con la forza.
Pretendere un’assimilazione europea a breve termine è pura illusione, anche perché già esistono talune nazioni che cercano di prevalere sulle altre o di imporre il loro disegno politico e i loro interessi a discapito delle altre.
Il processo di integrazione europea ha fatto un ulteriore passo avanti con l’introduzione della moneta unica; è ancora lontana l’ipotesi di una unità politica, occorrerà, infatti, mediare culture e condizionamenti politici che rendono tale unione ancora frammentaria, perché priva di una autentica e comune categoria politica in grado di determinare un  programma unitario di sviluppo e di azione, specie in politica estera.
In microeconomia assistiamo alla fusione di grandi aziende per evitare i pericoli di concorrenza e dilatare il potenziale di mercato. Lo stesso avviene in macroeconomia, con la ricerca di una comunione di intenti fra nazioni geograficamente prossime, a cui far seguire una comunione politica, più difficile da realizzare e per questo rimandata nel tempo, ma senza coesione politica l’unione economica  manca di quella coerenza necessaria alla elaborazione di programmi a medio e lungo termine  e rischia di diventare un soggetto amorfo, facilmente preda del  monopolio delle componenti più forti. L’Unione Europea dovrebbe costituire l’elemento equilibratore delle politiche  estere dei blocchi contrapposti, particolarmente di quelli che hanno la tendenza a imporre determinate scelte a discapito di altri  che non sono in grado di tutelare la propria autonomia
Le divisioni, all’interno dell’UE, non giovano certo alla promozione di una politica unitaria, autonoma e centrista, cioè equidistante da tutte le nazioni e i blocchi del pianeta che cercano di primeggiare e imporre il proprio punto di vista, o meglio, che vogliono dettare le regole per un nuovo ordine planetario, come sta accadendo con gli USA, che si autoproclamano capofila di un Occidente che deve pilotare le sorti del mondo secondo un proprio programma di espansione.
La preminente posizione politica e militare degli USA (politicamente preminente perché militarmente sostenuta da un potenziale bellico mai visto in tutta la storia del pianeta) rischia di creare una insanabile frattura tra Occidente e resto del mondo. Seguire la strada segnata dagli USA non rientra nella cultura europea, e questo l’Europa lo comprenderà, come lo hanno compreso gli spagnoli che hanno defenestrato Aznar.
Di fronte a potenziali o reali avversari gli USA privilegiano l’uso della forza rispetto a quello della ragione; sanzioni, embarghi, guerre preventive prevalgono su qualsiasi ipotesi di concertazione in grado di dirimere le controversie cercando un punto di incontro equo e accettabile da tutti: il punto di vista che deve affermarsi è il loro, e per ottenere questo risultato usano il solo mezzo di cui dispongono in grande dovizia: l’uso della forza e la strategia del terrorismo di Stato. Gli stati europei privilegiano le trattative e la diplomazia rispetto alle coercizioni minacciose o violente.
In Europa, però, manca una forza politica in grado di catalizzare la volontà dei molti e imporsi come elemento unificatore e realizzatore della vocazione più intima dell’intera Europa. Anche in Europa si cerca di forzare un bipolarismo politico, con relativa scelta di campo in senso angloamericano, che non rientra nella metodologia umanistica del Vecchio Continente.
La destra economica ha ripreso i temi del neo-liberismo di stampo pragmatico esportato dagli USA e imposto alle nazioni occidentali sotto forma di globalizzazione dei mercati, per programmare una nuova spartizione delle aree di influenza  nei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, senza alcun riguardo verso le reali esigenze di questi popoli, visti solamente come terreni di conquista.
Il capitalismo, che ha rigenerato il peggior neo-liberismo, è capace di comprendere solo se stesso e le sue esigenze pragmatiche, che coincidono solamente con l’utile economico immediato, senza alcuna riserva morale.
Non fu compresa la lezione di Ugo Spirito, forse perché anticipava troppo i tempi, quando, intorno agli anni ’60, riproponeva la  tesi, elaborata negli anni ‘30/’40 e, allora, soffocata  dal  gentilianesimo imperante, circa l’istanza di un corporativismo in grado di mutare le radici stesse del capitalismo e aprire varchi  nella prospettiva della  politica sociale  (cfr. Ugo Spirito: Corporativismo e Capitalismo).
La terza via europea è quella equidistante dal bipolarismo che gli angloamericani vogliono imporre: da una parte l’Occidente e dall’altra il resto del mondo.
L’Europa fa parte dell’Occidente, ma non di quell’occidentalismo aggressivo, che pretende occidentalizzare il resto del pianeta, secondo le regole imposte dalla sterminata potenza militare angloamericana, perché nessuna potenza militare, può pretendere di dominare l’intero pianeta, a meno che non si dichiari soddisfatto di dominare un mondo distrutto. L’Europa avrebbe tutte le possibilità di presentarsi come forza di mediazione, con una politica di equilibrio ed equidistanza, quella terza via, che deve diventare l’alternativa alle guerre di supremazia. Per ottenere ciò è diventato urgente:
•ripristinare l’autorevolezza dell’ONU, lontano dalla prepotente presenza degli USA;
•promuovere  l’integrazione  europea,  ancora  troppo  frazionata  nella  difesa di interessi di parte;
•promuovere, infine, l’integrazione euro-mediterranea in alternativa al concetto di globalizzazione dei mercati  favorendo la crescita delle nazioni sottosviluppate o in via di sviluppo, per migliorare la loro qualità di vita e rinunciare a  impadronirsi dei mercati per imporre i prodotti occidentali in cambio di tutte le loro materie prime.

Ciò che  caratterizza, negativamente, l’attuale panorama  politico occidentale è l’idea di identificare il progresso storico con il progresso materiale, il più delle volte riservato ai pochi appartenenti alle oligarchie del potere.
Tale incondizionata fede nel progresso provoca il totale annullamento dell’autenticità del fattore “umano”, fenomeno alla base di tutte le politiche distruttive che hanno caratterizzato il secolo appena trascorso.
Ricordo una frase di Voegelin

“…il primo pericolo è la distruzione della verità dell’anima”. 

Venendo meno il collegamento con la dimensione umana e spirituale della Verità, il politico diventa schiavo della tirannia del relativo, del pragmatico, dell’immediatamente utile. E’ la deriva del potere verso mete sempre più disumanizzate che si sostituisce alla dimensione umana e spirituale.
Così la politica economica occidentale ricalca le orme del materialismo storico e dialettico e ne riafferma i valori materiali che la Storia ha definitivamente condannato: il pragmatismo, negatore della verità e del giusto, a vantaggio dell’utile immanente, diventa il  materialismo del nuovo millennio.
Si inaridisce sempre più il deserto dei valori tipico degli opulenti popoli occidentali, trascinati dalla logica dei mercati e dalla spirale consumistica, mentre la dimensione della verità cerca di reintrodurre significati capaci di impedire il disfacimento di tutti i valori. La società pragmatica, diventata edonistica, perfeziona, completandola, la teoria marxista. In una lezione magistrale tenuta nell’Aula Magna della facoltà di filosofia dell’Università di  Roma nel lontano 1966, ho registrato, tra l’altro, la seguente frase di Augusto Del Noce 

“in questo modo il materialismo marxista vincerà la sua battaglia: negandosi nella maniera più totale”.

Il pragmatismo, in teoria, nega e respinge il marxismo, ma nei fatti, applicando la logica del materialismo edonistico, ne fa rinascere le rivendicazioni, rendendole protagoniste del farsi stesso della storia del progresso, in un unico senso materiale.
Del Noce insisteva ancora nell’affermare che la società opulenta,  la violenza, la decadenza di ogni senso della verità, la sopraffazione del più debole, l’esercizio della forza per far valere i propri torti chiamandoli “ragione”, non sono altro che la riprova del fallimento etico-politico dell’uso del potere che si sostituisce alla missione di governare  una visione equilibrata di tutto lo sviluppo.
La politica europea, equidistante sia dalla destra economica neoliberista, che da quella sinistra politica ormai anacronistica, dovrà incarnare e rappresentare le istanze di giustizia sociale, capaci di modificare in meglio le relazioni tra gli uomini e i popoli.
Esso dovrà: 
•disfarsi della società permissiva, che riduce ogni cosa  al metro della utilità, che porta alla ribalta gli istinti più primordiali, che da sfogo a ogni desiderio materiale, in una perversa spirale di potere-guadagno-potere;
•smantellare questa impostazione piramidale, dove il vertice è occupato dell’esercizio del potere, che genera guadagno, in un alternarsi di queste categorie, che non lasciano spazio per l’umanesimo, intrinseco nell’essere umano in quanto tale, a qualunque latitudine;
•sancire che il trionfo dell’edonismo conduce, in tempi assai brevi, alla eclissi di ogni nozione di bene comune, privilegiando l’utile privato;
•contrastare questo inospitale deserto dei valori, dove siamo costretti ad assistere alla scorribanda dell’utilità economica, intesa come fondamento di ogni agire sociale, trascurando l’equità del bene comune.

L’Occidente americanizzato ha temuto tutto ciò, avendone compreso la portata etica, e, per reazione,  non solamente si è data una nuova cultura in quel pragmatismo che svuota ogni evento del concetto di verità e di giustizia, ma si è anche cercato un nuovo nemico da combattere, non sul piano ideologico, ma sul piano culturale.
Il nucleo centrale del modernismo occidentale enfatizza una eresia gnostica, che rende immanente il senso stesso dell’esistenza e mortifica l’aspetto umanistico e ideale con il culto del progresso e della civiltà della tecnica. L’esercizio del potere ha perso la dimensione umana creando un profondo vuoto morale ed etico; ciò favorisce l’aggressività e il ricorso continuo all’affermazione della legge del più forte e, conseguentemente, all’esercizio del potere e, troppo spesso, alla distruzione bellica.

Si dimentica con troppa facilità che uscire vincitori da una competizione elettorale, in democrazia, significa essere chiamati a responsabilità di governo, non ad esercitare il potere.  (N.d.R.)

Questi disordini politici sono presenti in tutte le nazioni che compongono, in atto, l’UE; mancando la coesione interna ad ogni gruppo nazionale, non è neppure pensabile che possa esserci una coesione tra i vari gruppi che rappresentano le varie nazioni.
Questa mancanza di una comune visione programmatica si evince in tutti i campi, e, ora più che mai, nella infausta prospettiva di  nuove guerre, volute, promosse, organizzate e imposte dagli USA, con l’esplicita minaccia anche del ricorso alle armi nucleari, per imporre al mondo intero il proprio nuovo ordine planetario.
Siamo nel pieno delirio di onnipotenza. Queste contraddizioni interne  rendono il Parlamento della UE il luogo dove ciascun rappresentante è chiamato a sostenere la causa della nazione che rappresenta, e non il comune interesse  della UE di diventare una potenza alternativa, capace di imporre al mondo la propria presenza indipendente e autonoma.
In atto non vedo proprio una sia pur remota possibilità di unità di intenti; ancora per generazioni dobbiamo restare ufficialmente un’ Europa delle Nazioni, senza gabellare per unità la prevaricazione. Per unificare queste diversità occorreranno generazioni pilotate da una classe politica lungimirante, autorevole e capace di elaborare programmi impopolari, ma utili, proiettati a medio e lungo termine, e non limitatamente al microcosmo nazionale o europeo, bensì verso una universalità che comprenda i popoli più deboli e più bisognosi.
Il pragmatismo scavalca tutte le ipotesi di lavoro per concentrarsi sull’ utile immediato;  il criterio della verità diventa un semplice accordo tra individui nel riconoscimento di ciò che giova chiamare vero, nella misura in cui l’esperienza lo dimostri utile. L’utilitarismo dalla sfera etica, dove era sorto, viene trasferito in quella gnoseologica. Le conseguenze sono di portata storica: alla luce di tale pragmatismo ogni fatto, ogni evento, ogni azione si trasforma in qualcosa di materialmente utile nell’immediato.
La conseguenza  è l’applicazione della legge del più forte, che promuove qualsivoglia azione in grado di produrre un utile materiale. Anche il concetto di vero e falso subisce una profonda trasformazione, affermandosi come vero solamente ciò che corrisponde alle esigenze programmate dell’utile.
Così una minoranza della popolazione del mondo, in grado di imporre la propria visione pragmatica dell’esistenza, trae benefici sino all’abuso del superfluo, mentre la stragrande maggioranza ne subisce le conseguenze, spesso nefaste, e patisce la mancanza dell’indispensabile.
La funzione dell’UE dovrebbe, innanzitutto, servire a questo scopo: farsi portatrice di una cultura “umana” che millenni di storia ci hanno insegnato, per dilatare la attese di vita non in lunghezza (maggior durata), bensì in larghezza (migliore qualità della vita); guardare alle prossime generazioni e non, a livello pragmatico  alle prossime elezioni. Siamo immersi nel cuore del Mediterraneo, ma rappresentiamo la sponda opulenta, mentre nella sponda dirimpettaia nazioni e popoli si sforzano di migliorare le condizioni di vita (le nazioni in via di sviluppo) o di conquistare il primo livello dei consumi, quello che consente l’uso dell’indispensabile (le nazioni più interne dell’Africa dove, ancora oggi, milioni di deboli e indifesi muoiono letteralmente di fame).
Occorrerà rendersi conto che l’elemento più dinamico e irrefrenabile dell’umanità è la fame; le bibliche migrazioni di disperati a cui assistiamo sono il segnale di allarme, che dovrebbe,  innanzitutto, scuotere le coscienze,  quindi  sollecitare programmi politico-economici per equilibrare il più possibile le sorti di quella unica specie che, a tutte le latitudini, si chiama Umanità.
Le categorie del Bene e del Male, che non si vogliono mettere in discussione a livello politico e diplomatico, non si scontrano nemmeno secondo i canoni di una guerra combattuta; il più forte, ma solo tecnologicamente, impone i suoi metodi che sono quelli della fuga diretta e dell’attacco indiretto, quello che provoca solamente carneficine indiscriminate e finisce con il legittimare le ragioni del Male. Nessuno pensa di dissociarsi da questi metodi che riportano la civilità indietro, ai primordi dell’Umanità, quando la legge del più forte era una condizione di sopravvivenza. Tutte le nazioni occidentali sono trascinate dietro questa orrenda logica, senza che nessun messaggio di pacificazione venga lanciato; ma le popolazioni sono d’accordo con i governanti che decidono ?  Le popolazioni sono state interpellate per decidere sulla propria sorte ?  Oppure si attende che le risposte violente che la violenza di Stato ha stimolato, convinca tutte le popolazioni a decidere per l’annientamento di quei popoli che reagiscono.
Le atomiche di Hiroshima e Nagasaki furono la risposta tecnologica ai Kamikaze, che non potevano essere battuti in una guerra secondo le tradizioni dell’onore; si vuole arrivare ad un nuovo genocidio per poter governare indisturbati un pianeta spopolato ?
Ho usato il termine “onore”, ben sapendo che gli angloamericani non si ritrovano d’accordo nemmeno sul modo di scrivere nella loro comune lingua tale termine: honour per gli inglesi, honor per gli americani.
La legge dell’onore è quella che disorienta le coscienze, quando si è costretti a prendere atto di eventi che travalicano ogni confine etico di umana pietà. L’America, con o senza Bush, ma con Bush ancora peggio, non ha mai avuto molta dimestichezza con la legge dell’onore. I precedenti storici non sono molto confortanti, perché la sia pur breve storia degli USA è farcita di violenze, è nata e si è pasciuta di violenze:

•massacro dei pellerossa d’America, primo popolo di vinti della storia moderna, primo olocauso programmato;
•sequestro dei negri d’Africa, tratta degli schiavi, commercio e sfruttamento della sciavitù;
•"esportazione” della democrazia con la Guerra Civile Nord-Sud; l’atto generoso del Nord che avrebbe mosso una guerra fratricida, per dare la libertà agli schiavi negri; c’è sempre una verità di comodo da dare in pasto ai creduloni; la verità era data dal possesso delle ricche e fertili terre del Sud, delle quali il Nord aveva bisogno;
•dichiarata volontà di liberare l’Europa dal nazismo, contraddetta dai fatti; i gerarchi del regime nazista finirono processati a Norimberga, mentre gli autori materiali delle armi più sofisticate del nazismo i v1 e v2,  che massacrarono Londra, vennero prelevati e condotti in USA per proseguire la loro attività di costruttori di armi di distruzione di massa.  Il leader del gruppo di scienziati era Von Brahun, che diverrà uno dei padri dei vettori dei missili con testate nucleari. In America Von Brahun non subì alcun processo per avere servito i nazisti e averli armati dei primi, potentissimi, missili della Storia, divenne anzi un benemerito USA.
•A quanti insistono nel rivendicare un sentimento di riconoscenza verso gli americani per aver liberato l'Europa dai nazisti, debbo rispondere con decisione, perché profondamente adirato nel constatare la vergognosa maniera di liquidare la lotta partigiana e i suoi morti. Si nega, ai combattenti nostrani, il diritto ai meriti conquistati sul campo, per capitalizzarli a vantaggio degli americani, che, se hanno contribuito a liberare l'Europa dai nazisti, lo hanno fatto nel loro interesse, per sostituirsi agli stessi nazisti in una occupazione militare che mortifica l'autonomia dell'intera Europa e ne rimanda nel tempo la costituzione unitaria anche in termini politici.
•L'America di Roosvelt contribuì alla liberazione dell'Europa dal nazi-fascismo; un contributo arrivato quando l'esercito nazista era stato pesantemente sconfitto dalla resistenza del popolo sovietico a Stalingrado. Fu l'America di Roosvelt che impedì il prosieguo della belligeranza sia in Europa che in Estremo Oriente, secondo la logica della guerra preventiva  che  il generale Patton voleva inaugurare contro la Russia e il generale Mc Artur contro la Cina, usando l'onda lunga del terrore suscitato dall'uso delle bombe atomiche. E' paradossale che l'America di Bush presenti il conto, dopo 60 anni, pretendendo una cieca, assoluta e servile sudditanza, in nome di una gratitudine che dovrebbe coinvolgere l'intera Europa in crimini contro l'umanità.

Venuto meno il senso dell’onore, è facile arrivare alla brutalità delle torture dei prigionieri, con l’aggravante di non sapersi riconoscere in quelle torture, manifestando un falso sdegno, e perseguendo il vinto di turno, il piccolo caporale senza protezioni, che risulterà l’unico colpevole e pagherà per tutti. Non emerge nessuna forma di pentimento, emerge solo la rabbia di essere stati scoperti, con la necessità, quindi, di tamponare l’opinione pubblica planetaria per recuperare la credibilità.
In ogni tipo di rapporti umani la credibilità è la sola moneta avente corso legale; lo è ancor di più in politica estera, quando si devono mediare rapporti fra nazioni, popoli, culture diverse. L’America, venendo meno il senso dell’onore, ha perso totalmente il residuo minimo di credibilità che ancora poteva gestire.
Oggi la legge del più forte è diventata il punto di incontro più avanzato tra lo sviluppo tecnologico e la civiltà che l’Occidente vuole imporre e che si materializza in una guerra con morte e distruzione, ma senza conflitto: massimo esempio della viltà che assurge a modello e metodo di lotta.  Privi di una Storia che serva da esempio e da insegnamento, gli angloamericani proseguono la loro rotta secondo gli schemi che ne hanno caratterizzato il comportamento in quei pochi secoli della loro esistenza.
Con l’assegnazione delle taglie “vivo o morto” sollecitano l’avidità e il tradimento, unici alleati che sanno utilizzare. E’ un ritorno a quelle tradizioni dell’epopea del West, dove l’applicazione della giustizia era affidata ai cacciatori di taglie, mentre la legittimità si dichiarava latitante, preferendo trovare sulla propria strada ignobili esecutori di sentenze di morte
(di Rosario Amico Roxas)

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