VIA MINCIO
Oltre il tiglio, appoggiata, quasi seduta alla sporgenza del muretto che reggeva la rete divisoria del giardino, la ragazzina bionda guardava la strada. Incrociò lo sguardo con il mio prima, molto prima, che arrivassi a quel punto oltre il quale lei sarebbe stata alle mie spalle. Tenne gli occhi dentro i miei senza lasciarli, inseguendo con leggera rotazione della testa il mio avvicinarmi ed il lento andare della bicicletta. Lusingato guardai quegli occhi chiari non privi di birichina malizia. Cercai di cogliere e di scoprire, di impadronirmi di impercettibili segni, come un socchiudersi delle palpebre o un leggero muoversi della pupilla che alimentassero, nel tempo che si fa breve, la seducente illusione. Poi sorrise con un dischiudersi delle labbra che mi parve timido,gli occhi parvero prendere luce e le pupille illuminarsi nel loro leggero pudico lento abbassarsi. Parve schernirsi dell’ardire avuto e dell’insistente suo sguardo. Forse, anche per lei inaspettata,scoprì improvvisa l’arcana forza dei suoi occhi capaci di penetrare. Li riaprì indirizzando lo sguardo alla sua destra accompagnandolo dal una leggera rotazione della testa, quasi un invito rivolto a me, perché guardassi da quella parte.
Poco più in là, scostati di qualche metro da lei, quasi nascosti alla vista dal grosso fusto del tiglio e dalle larghe foglie dei virgulti cedui del ceppo, due si scambiavano abbracci. Della ragazzina vedevo la schiena ed il non sconosciuto profilo del viso e del compagno parte dei jeens e le scarpe di tela. Lei, ritta fra le ginocchia piegate e divaricate di lui, lo copriva interamente con i capelli scuri e con il corpo,lo stringeva contro la rete con una spinta che lui, ebbi l’impressione, riusciva a reggere con difficoltà appoggiandosi con la schiena alla recinzione.
Lei, più bassa di statura, si alzava sulle punte dei piedi spingendosi più in alto, inerpicandosi sul corpo di lui che, inclinato all’indietro, pareva difendersi. Più che percorsa da un fremito lei mi pareva preda di un totale energico movimento. Le sue mani passavano, aeree e vorticose, dall’imprigionamento delle guance del ragazzo al longitudinale ed alternato palpeggio dei suoi fianchi, forse alla ricerca di un pertugio nella maglia che gli permettesse di raggiungerne la pelle. Ogni tanto la ragazzina tornava a riappoggiarsi sui talloni, rilassava tendini e muscoli dando l’ingannevole impressione che l’assalto fosse finito. Ma era solo una pausa, un prender fiato, un ritemprarsi. Con rinnovato vigore tornava ad ergersi verso l’alto spingendo forte sugli alluci e sulle punte dei piedi, nuovamente a scalare il semi sdraiato corpo di lui che a me ricordava il modo di stare seduto dell’annoiato stagista al quale, in mattinata, avevo cercato invano di ficcargli nella zucca cose che parlavano di kilovatt e kilowattora. Forse, il corpo sempre fermo di lui, non era così inerte come a me appariva. Il suo allungarsi, in quella distesa fissità, forse altro non era che la comoda ricercata e trovata posizione per meglio offrirsi allo stimolo dello strusciato alternarsi del contatto ed anche il modo perché a lei non sfuggisse il progressivo irrigidirsi del suo corpo. Certo lasciava fare, era come se quell’effluvio di carezze e di palpeggi gli fosse dovuto ed il piacere che da questi ne riceveva non foss’altro che il pagamento di un debitòrio tributo a lui dovuto per essersi lasciato scegliere. Lui non aveva respinto le profferte di lei ed ascoltato il racconto di come sapeva dare baci e di quali e quanti brividi l’avevano riempita le mani che un amico gli aveva infilato sotto la maglietta. Si era lasciato spingere contro la rete e non si era sottratto quando lei gli fu addosso, mentre la esclusa ragazzina bionda continuava.di qualche passo il suo andare. Adesso soggiogato, da quella posizione sottomessa la cingeva con le braccia passate al di là delle ascelle senza abbracciarla, le sue mani si tenevano strette a chiudere il largo cerchio degli arti entro il quale lei, intrufolata ed agile, senza impedimenti continuava il suo alternato struscìo.
Tornai a guardare la ragazzina bionda appoggiata al muretto. Anche lei mi guardava, negli occhi le colsi un allegro, stupito interrogante balenio mentre con la mano, portata all’angolo della bocca, parzialmente copriva il dischiudersi sorridente delle labbra. Tutto in lei sapeva di malizioso pudore e con l’espressione degli occhi e del quasi nascosto sorriso sembrava mi dicesse:
Signore!….. ha visto cosa fanno quei bambini?
si volse a guardare dalla parte dove loro stavano, appoggiò al piano del muretto la mano che prima nascondeva parte di un sorriso scomparso e mi parve farsi pensierosa.
Io passai oltre, sorpassai i due ed il tiglio li nascose alla vista, girai per andare verso il Po.
Ennio Serventi