Pianeta migranti. Dal Sahel prevista una grande ondata migratoria.
La fascia di Africa tra il Sahara e l’Africa Equatoriale è l’epicentro di problemi che nei prossimi decenni daranno vita a ingenti flussi migratori. Desertificazione, conflitti, commerci criminali, stati deboli, terrorismo, stanno destabilizzando l’intera Regione. La risposta dell’Europa e dell’occidente resta prevalentemente di tipo militare.
Il Sahel, l’area di mezzo tra il Sahara e l'Africa Equatoriale, che va dalle coste atlantiche del Senegal fino a quelle eritree nel Mar Rosso presenta un groviglio di questioni irrisolte che già coinvolgono il sud Mediterraneo.
Nell’arco di venti anni, i demografi prevedono un passaggio dagli attuali 150 milioni di abitanti ai 300 milioni. Questo in un’area che si sta desertificando a causa dell’innalzamento delle temperature che ogni anno spazzano via tanti ettari di terra coltivabile, unica fonte di sussistenza per popolazioni dedite alla pastorizia e all’ agricoltura. Le Nazioni Unite ritengono che sfamare il Sahel stia diventando una “missione impossibile”; i dati Oxfam indicano che ogni anni muoiono circa tre milioni di bambini sotto i 5 anni di età.
La lotta per il controllo dei pascoli e dei campi, cioè per la sopravvivenza, ha generato diversi conflitti che, nel tempo, si sono trasformati in scontri etnici alimentati anche da infiltrazioni di gruppi terroristici e dal mercato delle armi.
Un altro male del Sahel è lo sfruttamento iniquo e il commercio illegale di materiali strategici per l’occidente (come l’uranio), grazie alla permeabiltà dei suoi confini. Ciò ha fatto sì che il villaggio di Tongo Tongo, a confine tra Niger e Mali, sia diventato il centro di una zona cruciale per il contrabbando, ad esempio della cocaina che arriva dal Sud America. Altri due centri di smistamento della cocaina sono Gao (Mali), e Agadez (Niger). Con la cocaina viaggiano anche le armi e i migranti. I pickup attraverso il deserto trasportano persone e droga in Europa e armi in Africa centrale e occidentale. Trafficanti, criminalità organizzata, terroristi, lucrano senza scrupolo su questi traffici.
A poche ore di viaggio da Agadez, lungo “l’autostrada dell’uranio”, si trova Arlit, la città - fortezza delle aziende minerarie controllate dal governo del Niger e da una serie di compagnie francesi, Areva in testa. A protezione delle miniere di uranio i francesi hanno schierato sul terreno 3000 soldati che hanno anche il compito di combattere i jiadisti concentrati nella zona. Gli Stati Uniti presidiano il Sahel con diverse basi: la più conosciuta è in Gibuti, ma ad Agadez ne sta sorgendo una, enorme, che impiegherà i droni per monitorare e poi sfruttare le risorse presenti. Resta operativa sul terreno anche la coalizione antiterrorismo G5 di Niger, Ciad, Mali, Mauritania e Burkina Faso supportata dall’Europa e che, in prospettiva, sarà sostenuta dalla missione italiana in Niger.
Militarizzando l’area, i paesi europei possono tenere sotto controllo le risorse geostrategiche, aiutare le forze di sicurezza degli Stati del Sahel ad arginare il transito dei migranti diretti verso l’Europa e nello stesso tempo, intercettare le minacce di tipo terrorista per fermarne l’espansione. L’obiettivo principale resta garantire la difesa e la sicurezza in un’area segnata da grandi emergenze e rischi. E’ lo stesso obiettivo che Romano Prodi, inviato speciale dell’Onu in Sahel nel 2011, intendeva perseguire, attraverso una road map per lo sviluppo e la sicurezza dell’area, che andava sostenuta da un apposito fondo globale per il Sahel mirato a creare infrastrutture, sanità, scuola, economia sostenibile. Resta da chiedersi se c’è stata la volontà politica internazionale di finanziarlo o se ha predominato la logica di investire sul controllo militare come evidenziano i fatti.