Pianeta Migranti. Memorandum Italia-Libia patto di abusi e violazioni
Il 2 novembre 2025 l’accordo sarà rinnovato. Refugees in Libya: manifestazione a Roma il 18 ottobre.
Il 2 novembre 2025 è prevista la proroga del Memorandum d’intesa tra Italia e Libia, firmato nel 2017 per cooperare su sviluppo, contrasto all’immigrazione irregolare, traffico di esseri umani, contrabbando e sicurezza delle frontiere. Un accordo che, dietro la retorica della cooperazione, ha generato una lunga scia di violazioni dei diritti umani.
Un patto che blocca le partenze, non le sofferenze
Sottoscritto dal governo Gentiloni e dal Governo di Accordo Nazionale libico, con il forte sostegno dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, il Memorandum si rinnova ogni tre anni. Se confermato, continuerà a finanziare la strategia italiana di esternalizzazione delle frontiere: Roma fornisce fondi, mezzi e addestramento alla Guardia costiera libica, affinché fermi i migranti prima che raggiungano l’Europa.
In pratica, l’Italia dice: “Fermateli in Libia. Noi vi diamo motovedette, equipaggiamenti, forse armi. Vi aiutiamo a gestire i centri di detenzione e a controllare le frontiere. Ma voi non fateli partire.”
Zone d’ombra e responsabilità dirette
Il Memorandum è opaco: non è chiaro quanti fondi siano stati trasferiti a Tripoli. Secondo un’inchiesta di Repubblica del 2023, si parlava di circa 124 milioni di euro, mai confermati ufficialmente.
Ancora più grave è il ruolo della Guardia costiera libica, accusata di sparare contro migranti e navi delle ONG, di inseguire imbarcazioni anche in acque internazionali e di riportare le persone nei famigerati centri di detenzione. L’Italia, con questo accordo, è corresponsabile di ciò che avviene in quei luoghi.
Campi di concentramento a cielo aperto
I report di Refugees in Libya, Medici Senza Frontiere, Amnesty International descrivono i centri libici come campi di concentramento: persone ammassate, affamate, assetate, sottoposte a torture, violenze sessuali e omicidi. I sopravvissuti li definiscono “mercati di corpi e manodopera”, dove la libertà si trasforma in schiavitù. E l’Italia non ha mai preso le distanze da questo sistema. Al contrario, ha sempre sostenuto la Guardia costiera libica, pur venendo più volte segnalata e condannata a livello internazionale per violazione del principio di non-refoulement.
Legami pericolosi
Roma ha intrattenuto rapporti con figure controverse come Almasri, capo della polizia libica, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Arrestato in Italia, è stato rilasciato e rimpatriato con un volo di Stato.
Personaggio inquietante è anche è Abdel Ghani al-Kikli, leader della Stability Support Apparatus, una milizia attiva in mare e a terra. È stato più volte ospite ufficiale in Italia, persino alle finali del campionato di calcio libico a Roma nel 2024. E in quell’occasione, ha ricevutor dall’Italia cinque imbarcazioni per la Guardia costiera e un accordo da 8 miliardi di dollari per la produzione di gas, destinato al mercato interno e all’export europeo. Il tutto accompagnato da dichiarazioni di amicizia e cooperazione.
Per questo il 2 novembre non deve passare inosservato. La manifestazione del 18 ottobre a Roma, promossa da Refugees in Libya, è un’occasione per alzare la voce contro un patto che trasforma la Libia in una prigione a cielo aperto e l’Italia in complice silenziosa.



