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Pianeta Migranti. Ho salvato 47 migranti ed ora ora ho paura del mare

Il racconto del pescatore Vito Fiorino che si trovava in barca la notte del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa

| Scritto da Redazione
Pianeta Migranti. Ho salvato 47 migranti ed ora ora ho paura del mare

Pianeta Migranti. Ho salvato 47 migranti ed ora ora ho paura del mare

Il racconto del pescatore Vito Fiorino che si trovava in barca la notte del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, uno dei più gravi naufragi registrati nel Mediterraneo.

Quella notte, un peschereccio partito dalla Libia con a bordo circa 500 uomini, donne e bambini prese fuoco e si capovolse a pochi chilometri dalle coste di Lampedusa. Furono 366 i corpi senza vita recuperati, una ventina i dispersi e 155 i naufraghi salvati. 47 trovarono rifugio nella barca di Vito Fiorino, chiamata “Nuova Speranza”.

Anche Vito Fiorino e’ stato un migrante. Da Bari, è arrivato a Milano con i genitori.

A un giornalista de La Via Libera ha raccontato: “A quei tempi non si affittava ai terroni: erano loro che rubavano il lavoro e portavano insicurezza. A Milano, abitavo in uno scantinato e con mio padre avevamo aperto una falegnameria. Ma nel 2000, mi tasferii a Lampedusa per dedicarmi alla pesca”.

La sera del 3 ottobre 2013 -racconta Vito- “con sette amici eravamo ormeggiati nella baia della Tabaccara, per fare una battuta di pesca. Alle prime luci dell’alba, vengo svegliato dal rombo del motore e da grida d’aiuto. Arrivati sul luogo del naufragio, ci siamo trovati di fronte a un anfiteatro di persone in mare, almeno duecento”. Vito e gli amici pescatori non ci pensano due volte: gettano il salvagente in acqua e iniziano a tendere le braccia verso quelle che si agitano tra le onde, tirando su quante più persone possibile: “Erano quasi tutti nudi, i corpi scivolosi per il gasolio”.

Ne salvarono  47 su un’imbarcazione che poteva ospitare al massimo nove persone.

Testimonianza di Vito: https://www.youtube.com/watch?v=uWL2rxbRKDY

Vito ricorda di aver allertato la capitaneria di porto alle 6.25 ma che la prima motovedetta è arrivata circa un’ora dopo, rifiutandosi di caricare a bordo i naufraghi già salvati perché il protocollo non consentiva il trasbordo. Racconta di essere stato ricevuto, qualche giorno dopo, dal comandante della Guardia costiera dell’isola, che gli avrebbe chiesto di dichiarare a verbale di aver chiamato la capitaneria alle 7.01. Ma Vito si è rifiutato e ha denunciato pubblicamente il fatto. Dopo di che ha ricevuto un avviso di garanzia per diffamazione. Inoltre, non si è mai indagato sui ritardi e le mancanze delle autorità. Sono stati invece condannati per omissione di soccorso il comandante e l’equipaggio di un peschereccio privato che, giunto vicino al luogo del naufragio, cambiò rotta e rientrò in porto senza allertare le autorità.

Vito, con l’aiuto dei migranti salvati, ha anche contribuito a dare un nome ai 366 corpi senza vita recuperati dal mare quella notte. Oggi sono incisi in un memoriale a pochi passi dal porto di Lampedusa, intitolato proprio “Nuova speranza”.

Dopo quel 3 ottobre Vito ha venduto la barca: “Non riesco più a uscire in acqua. Il mare è bello da guardare e basta”. E nei cinque anni successivi Vito non ha mai avuto la forza di parlare pubblicamente di quella notte.

Nel 2018, l’associazione Gariwo l’ha nominato tra i ‘giusti’ a cui intitola giardini in giro per l’Italia. “Da allora, parlare della mia esperienza è diventata una missione. Solo quest’anno ho incontrato almeno 8mila studenti. Provo buttare tanti piccoli semi”.

Nelle settimane successive al naufragio, i sopravvissuti venivano spesso a trovare Vito. Tutti però volevano uscire dall’Italia. Infatti scapparono dall’hotspot per andare nel Nord Europa. E Vito aggiunge: “ anche oggi stiamo in contatto; mi chiamano ‘papà’ e tornano a Lampedusa ogni anno. Tutti si sono costruiti una nuova vita e una profession fuori dall’Italia.

Le loro storie dimostrano che se diamo prospettive a chi scappa da guerre, carestie, povertà queste persone riescono a ricostruirsi una vita e integrarsi”. Invece, constata Vito, “in Italia si insiste sulla strada delle frontiere chiuse e della criminalizzazione di chi cerca di salvare vite in mare.

Manca il rispetto dell’umanità, da destra a sinistra. Prenderei tutti con me sulla barca e li porterei al largo per vedere cosa continua a succedere a dieci anni da quella strage. Perché le cose bisogna toccarle con mano!”.

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