Giovedì, 25 aprile 2024 - ore 03.05

Referendum Trivelle del 17 aprile Una nota della Presidenza Acli Cremona

La Presidenza Acli provinciali di Cremona sul referendum popolare del 17 aprile p. v. sulle trivellazioni in mare. Intendiamo offrire alcuni spunti di riflessione, illustrando la posizione delle ACLI Nazionali, ricordando alcuni passaggi della Laudato Sì, i pronunciamenti della Conferenza episcopale di Abruzzo Molise, e gli impegni presi dall’Italia alla recente Conferenza di Parigi sul clima.

| Scritto da Redazione
Referendum Trivelle del 17 aprile Una nota della Presidenza  Acli Cremona

Aggiungiamo anche un nota informativa sulle proposte di trivellazione per stoccaggio sotterraneo ad alta pressione di gas metano, che interessano attualmente la pianura Padana e in particolare la nostra Provincia. Sono temi che hanno a che fare con lo sviluppo del nostro paese e del nostro territorio e che incidono sulla vita delle nostre comunità. La posta in gioco non è “solo” la politica energetica del nostro paese, ma tutto ciò che riguarda la possibilità di dare un futuro al pianeta, attraverso gesti concreti che portino ad un sistema sociale ed economico più equo e sostenibile.Diamo la nostra disponibilità a tutti coloro che volessero organizzare incontri di informazione o divulgazione presso i loro circoli o comunità locali.

La presidenza provinciale Acli. Cremona

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SCHEDA: SU COSA SI VOTA IL 17 APRILE:  I cittadini sono chiamati ad esprimersi sull'attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi entro 12 miglia marine (circa 22,2 km) dalla costa: decideranno in sostanza se consentire agli impianti già esistenti di continuare la coltivazione di petrolio e metano sino all'esaurimento del giacimento, anche oltre la scadenza naturale delle concessioni. Come per tutti i referendum popolari il quorum è il 50% più uno degli aventi diritto. Le concessioni sono 35. A oggi nel nostro mare entro le 12 miglia sono presenti 35 concessioni di coltivazione di idrocarburi, di cui 3 inattive, una è in sospeso fino alla fine del 2016 (al largo delle coste abruzzesi), 5 non produttive nel 2015. Le restanti 26 concessioni, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi, sono distribuite tra mar Adriatico, mar Ionio e canale di Sicilia. Fine delle estrazioni se vince il sì. Con il sì le società petrolifere dovranno mettere fine alle loro attività di ricerca ed estrazione secondo la scadenza fissata dalle loro concessioni, e quindi secondo la data stabilita al momento del rilascio dell’autorizzazione alle compagnie, al di là delle condizioni del giacimento. Lo stop, quindi, non sarebbe immediato, ma arriverebbe solo alla scadenza dei contratti già attivi. Il referendum avrebbe conseguenze già entro il 2018 per 21 concessioni in totale sulle 31 attive: 7 sono in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia-Romagna, una in Veneto e nelle Marche. Il quesito referendario riguarda anche 9 permessi di ricerca, 4 nell’alto Adriatico, 2 nell’Adriatico centrale, uno nel mare di Sicilia e uno al largo di Pantelleria. Cosa succede se vince il no o l'astensionismo. Le concessioni attualmente in essere avevano una durata di trent’anni con la possibilità di due successive proroghe, di dieci e di cinque anni che, in caso di vittoria del no, potrebbero essere concesse, prolungando così il periodo di attività delle trivellazioni. Con una modifica apportata al testo in materia dall’ultima legge di stabilità potrebbero però rimanere «per la durata di vita del giacimento».

La valenza politica del referendum. Il referendum è stato promosso da nove regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria e Molise) con il supporto del mondo dell’associazionismo e della società civile. La vittoria dei promotori del referendum, oltre ad annullare la legge, avrà una importante ricaduta politica. Con questo strumento infatti i cittadini possono dire in modo chiaro al governo che non vogliono più una politica di grandi corporations e di petrolio, ma che vogliono invece una politica nuova, che promuova l’economia sostenibile, le energie rinnovabili, l’interesse diffuso. È quindi importante andare a votare SI e promuovere la partecipazione della cittadinanza al referendum.

IL PRONUNCIAMENTO DELLE ACLI NAZIONALI SUL REFERENDUM DEL 17 APRILE «Il primo appello che rivolgiamo al corpo elettorale – spiega Alfredo Cucciniello, responsabile Cittadinanza attiva della Presidenza nazionale Acli – è quello per il voto. É importante recarsi a votare, per non sciupare questa occasione di partecipazione democratica su un tema di primaria importanza come quello energetico e ambientale. Infatti, il quesito sulle trivelle chiama in causa temi di primaria importanza: l’ambiente, il lavoro, la salute, la vocazione turistica del Paese, lo sviluppo sostenibile. In secondo luogo – prosegue Cucciniello - le Acli invitano a votare Sì per contribuire a riavviare un dibattito sull'esigenza di pensare ad un modello energetico pulito, basato sulle energie rinnovabili; il tempo delle fossili è finito. Le quantità di gas e petrolio che estraiamo nei nostri mari sono esigue rispetto al fabbisogno nazionale. Le attività estrattive sono inquinanti, con impatti sull'ambiente e sull'ecosistema marino con danni al turismo, alla fauna e all'attività di pesca. Eventuali incidenti avrebbero effetti disastrosi, dato che il Mediterraneo è chiuso; dal 1977 al 2010 si sono verificati nel Mediterraneo 132 incidenti con 52 volte in cui c'è stata dispersione del carico (312.000 tonnellate di petrolio in mare). Alla COP 212 di Parigi l'Italia si è impegnata a contenere il riscaldamento e ad abbandonare le fonti fossili. In ogni caso – conclude Cucciniello - non vi sarebbero effetti sull'occupazione in quanto in caso di vittoria del SI, verrebbe meno solo la possibilità di proroga delle concessioni e non determinerebbe la cessazione immediata delle estrazioni; alcune concessioni scadono infatti tra 20 anni».

LA CONFERENZA DI PARIGI E IL RISCALDAMENTO GLOBALE Alla Conferenza di Parigi COP 21 di Novembre 2015 l’Italia, insieme agli altri 195 Stati partecipanti, si era impegnata a fare ogni sforzo per contenere l’aumento di temperatura globale “ben al di sotto di 2°C” che è già considerato un valore che porterà grandi problemi. Oggi tutti gli studi confermano che tale limite sarà superato, e d’altro canto l’Italia non sta facendo nulla per rispettare gli impegni. Al contrario, sembra che prevalga sempre l’interesse delle grandi corporations, che manovrano la politica e che devastano il pianeta, mentre la cittadinanza rimane inascoltata. Tra le voci più autorevoli che hanno denunciato la grande difficoltà di questo momento c’è Papa Francesco, che con la Laudato Si ha fornito un chiaro orientamento sui problemi prioritari e urgenti che l’umanità si trova ad affrontare, e sulle possibili soluzioni da mettere in atto. Dobbiamo ascoltarlo.

LA LAUDATO SI E I PRONUNCIAMENTI DEI VESCOVI Dalla Laudato Sì: «Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili deve essere sostituita progressivamente e senza indugio …». Non siamo di fronte a un manifesto politico, bensì ad un magistero in evoluzione, come dimostra l’assonanza tra il messaggio di papa Francesco e le esperienze maturate in diverse diocesi del Centro-Sud. L’arcivescovo di Catanzaro - Squillace Vincenzo Bertolone ha espresso al presidente della Commissione regionale antimafia «timori e ansie per la possibilità che la costa marina, sin qui gelosamente preservata a fini turistici e per la crescita del settore ittico, possa divenire un orizzonte di piattaforme». Questa sensibilità è particolarmente forte nelle diocesi adriatiche, interessate da diversi progetti di ricerca degli idrocarburi. La crisi ha assestato colpi durissimi e ciò malgrado quelle diocesi affermano la volontà di «proteggere la nostra casa comune» anche a costo di sacrifici occupazionali. (Avvenire 18 marzo 2016). Recentemente monsignor Vito Angiuli, vescovo di Ugento - Santa Maria di Leuca, ha dichiarato a Radio Vaticana «a livello ecclesiale e civile c’è un risveglio della coscienza» e tale giudizio esprime la fiducia, su cui si regge la Laudato si’, che «le cose possono cambiare». La stessa con cui le diocesi dell’Abruzzo e del Molise si sono mobilitate in questi anni contro i progetti Ombrina e hanno scritto pagine di magistero ambientale che ci proiettano oltre il voto con cui gli italiani dovranno decidere se vietare o meno il rinnovo delle concessioni per l’estrazione di petrolio o gas entro le 12 miglia dai litorali costieri. (Avvenire 18 marzo 2106). Già nel 2008, i vescovi della Conferenza episcopale Abruzzo Molise (CEAM) denunciavano con il documento «Una nuova sobrietà per abitare la terra» www.webdiocesi.chiesacattolica.it le «pericolose emergenze ambientali che mettevano a grave rischio ecologico le loro regioni», schierandosi contro la nuova raffineria di Ortona. Posizione ribadita nel 2012 con il documento”Per una Chiesa e una società custodi della terra d’Abruzzo e Molise” www.ilcentro.gelocal.it Prendendo posizione contro il decreto Sblocca Italia, l’allora presidente della Conferenza episcopale Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara - Penne, non si limitò a chiedere «un cambio di prospettiva radicale», ma invocò «una democrazia 'ad alta intensità', ossia sostanziale, partecipativa e sociale». Nel 2014 la Conferenza episcopale Abruzzo e Molise aveva espresso preoccupazione per i progetti di sfruttamento petrolifero di vaste aree dell’Adriatico e delle coste denominati “Ombrina 2” e si pronunciava sul decreto Sblocca Italia e il caso Ombrina con un documento “Per una biociviltà che preferisca la vita al lucro” www.agensir.it I vescovi caldeggiavano una vera 'conversione' a progetti di crescita sostenibile sulle coste dell’Adriatico, in ascolto della voce dei territori e delle popolazioni». Il 19 giugno 2015, l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte scriveva sul Sole 24 Ore: «La responsabilità verso l’ambiente e le generazioni presenti e future richiede coraggio e lungimiranza da parte di tutti, unitamente alla disponibilità necessaria a fare talvolta anche dei passi indietro per raggiungere la misura della sobrietà, valore inseparabile dalla solidarietà.” Oggi, sotto la guida dell’arcivescovo Bruno Forte, i pastori abruzzesi e molisani si trovano a tirare le fila di quel discorso. Passaggio stretto, per le ricadute economiche della scelta referendaria e perché quello ecologico è un terreno poco battuto dalla stessa pastorale sociale.

GLI STOCCAGGI SOTTERRANEI DI METANO AD ALTA PRESSIONE IN LOMBARDIA E PIANURA PADANA Lo stoccaggio sotterraneo di gas in Lombardia svolge una funzione di utilità pubblica, ossia quella di garantire una riserva di combustibile per l’inverno, ma ha soprattutto una valenza speculativa per gli investitori, i quali hanno in progetto il creare nell’area un “hub” di gas per il mercato europeo. Ossia, creare riserve di gas acquistato a prezzi competitivi durante i mesi estivi, e rivendere detto gas durante l’inverno a prezzi più alti, sfruttando la normale e stagionale fluttuazione dei prezzi. Lo stoccaggio viene fatto nel sottosuolo in depositi esausti di idrocarburi, i quali vengono prima adattati allo scopo mediante l’iniezione di alcune centinaia di sostanze chimiche, in buona parte non rese note (protette da segreto industriale), e poi diventano depositi di alcuni milioni di metri cubi di capacità, in cui il gas è pompato ad altissima pressione, fino a 250 atmosfere. In Lombardia e in Pianura Padana vi sono moltissimi impianti in funzione, in costruzione, autorizzati, e in fase di studio. Una lunga catena di depositi sotterranei di gas metano, ad altissima pressione, dalle Prealpi della Brianza fino al mare Adriatico. Che è una delle zone più densamente popolate d’Europa, dove sono presenti sorgenti sismogeniche naturali.

Questi impianti causano problemi di sicurezza, economici e di natura ambientale:

• sono tra gli impianti industriali più pericolosi (Direttiva Seveso)

• hanno un impatto negativo sulle falde di acque potabili

• devastano il paesaggio rurale ed inquinano l’aria

• confliggono con le attività economiche, quali le agroalimentari e turistiche, che si basano e richiedono un territorio sano e il più possibile naturale

• Cosa più grave di tutte, questi impianti causano terremoti, e questo è ormai incontrovertibile, come riconosce anche il Ministero che rilascia le concessioni.

Infatti, tutti gli studi e le esperienze dimostrano chiaramente che l’iniezione nel sottosuolo di fluidi solidi o gassosi ad alta pressione può scatenare terremoti, soprattutto in una zona in cui sono presenti sorgenti sismogeniche naturali, come quelle in cui si trovano gli stoccaggi padani. Tale conclusione è confermata dal Ministero dell’Ambiente, che rilascia le concessioni ma le subordina a una precauzione: in caso si verifichino terremoti “oltre un dato limite di intensità” lo stoccaggio deve arrestarsi, anche se non si spiega bene come arrestarlo, e chi lo deve fare, e chi deve controllare che questo avvenga.

Da notare, le società concessionarie sono a volte piccole società poco capitalizzate, e per il rilascio delle concessioni non sono neppure richieste fideiussioni a garanzia degli eventuali danni provocati da terremoti indotti.

La Concessione Gussola che è stata recentemente rilasciata, consentirà alla società proponente Pengas di esplorare per la ricerca e la coltivazione (termine tecnico per definire l’estrazione) di idrocarburi tutta la zona orientale della provincia di Cremona, da Cicognolo a Spineda, più alcuni Comuni mantovani limitrofi. La concessione è arrivata senza alcuna verifica ambientale, e senza neppure informare i Sindaci e le popolazioni locali, così come previsto dal Decreto Sblocca Italia. Ma come è noto, nella zona non vi sono più idrocarburi, solo depositi esausti che possono essere riutilizzati per lo stoccaggio. Come già avvenuto per altre concessioni, è forte il rischio che la concessione per ricerca e coltivazione, una volta identificati i siti, si trasformi in concessione per lo stoccaggio. Esponendo a rischi enormi tutti noi, per la speculazione di pochi.

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