Venerdì, 17 maggio 2024 - ore 07.17

Renzi vuole il conflitto tra lavoro e imprese

Il governo sta provando a sfidarci, non per fare un passo in avanti, non per chiedere una maggiore partecipazione dentro le imprese, ma per riportarci al conflitto.

| Scritto da Redazione
Renzi vuole il conflitto tra lavoro e imprese

Il Jobs Act ci porta fuori dal sistema della partecipazione.  “Una sentenza di prescrizione, quella sulla Eternit, iniqua che ha leso la dignità dei lavoratori e dell'Italia. La Cassazione è tornata ad essere il porto delle nebbie: chi ha avvelenato è un criminale e va assicurato alla giustizia”: a dirlo è Emilio Miceli, segretario generale della Filctem-Cgil, parlando oggi a Bologna (qui il podcast) ad una iniziativa nazionale della sua organizzazione, conclusa da Susanna Camusso, in preparazione dello sciopero generale Cgil e Uil del prossimo12 dicembre.“Però – prosegue Miceli - non abbiamo bisogno di aspettare le motivazioni per sapere che quella è una sentenza ingiusta, iniqua, che è un'offesa per il paese. Noi combatteremo perché il processo si possa riaprire, saremo al fianco dei parenti delle vittime”.

Proseguendo nel suo intervento, Miceli ha affrontato alcune delle crisi e vertenze più drammatiche di questi giorni, nel settore. Come ad esempio la vicenda Saipem. “L'Eni – spiega Miceli - vuole fare cassa con la Saipem, ha deciso di vendere uno dei suoi gioielli dell'ingegneria che da lustro al paese? la Saipem è un'azienda che lavora tra 90 paesi nel mondo, cioè è uno di quei gioielli di cui non bisognerebbe mai immaginare la dismissione e se il governo di questo paese, che è l'azionista dell'Eni, lascia che si possa occuparsi delle politiche di bilancio facendo un danno così grande al nostro paese è un governo irresponsabile, perché dovrebbero fermare l'Eni e dire all'Eni che la Saipem è un patrimonio di questo nostro paese. Se il Governo consentisse ciò - va giù pesante Miceli – sarebbe un Governo di irresponsabili”. “E lo sarebbe altrettanto se si scivolasse sotto la soglia di contendibilità nel caso di Enel, visto che si riparla con insistenza di accelerare il processo di cessione del 5%, al solo scopo di tamponare una legge di stabilità che fa acqua da tutte le parti”.

Prosegue Miceli: “Se l'Italia arriva a intaccare la sua presenza nell'energia così pesantemente, significa che si ha l'idea di poter uscire da questa crisi cambiando il paese, questo lo leggiamo tutti i giorni, ma cambiandolo nel modo peggiore, cioè abbandonando questo paese a sé stesso e indebolendo le difese che questo paese deve costruirsi e avere nel contesto globale”. “Come si fa a stare in Europa e nel mondo – si chiede - se non hai un presidio fortissimo sull'energia? La politica dell'energia, è quella che consente a questo paese di essere sovrano e libero e in questo momento e in questo tempo l'Italia è talmente debole da non poter essere né sovrana né libera”.

Passando poi ad affrontare le ragioni per le quali la Filctem sarà in prima fila nello sciopero generale del 12 dicembre, Miceli ha definito il Jobs Act una “legge delega composta con tutti i volantini della parte più oltranzista di Confindustria”. “Il governo in qualche modo sta provando a sfidarci, non per fare un passo in avanti, non per chiedere una maggiore partecipazione dentro le imprese, ma per riportarci al conflitto, perché se decidi di intervenire per legge su alcune materie contrattuali decisive e importanti per la vita delle persone e lo fai violando i patti contrattuali, gli accordi, porti su un terreno di scontro il sindacato e l'impresa e io credo che questo paese di tutto abbia bisogno tranne che di ritornare a una fase in cui si creava e c'era una battaglia, una lotta bassa, media e ad alta intensità che in qualche modo danneggiava anche la possibilità di una ripresa del paese”.

“Il Jobs Act – sintetizza Miceli - porta la dinamica del rapporto tra noi e le imprese fuori dal sistema della partecipazione, la mette dentro a un sistema di conflitti”

“Noi non abbiamo mobilitato tutte quelle persone che abbiamo visto il 25 ottobre, che abbiamo incontrato negli scioperi, nelle manifestazioni, raccogliendo solo i nostri iscritti, che sono e rimangono una risorsa straordinaria. Lo abbiamo fatto perché abbiamo colto nell'umore della nostra gente una disponibilità che andava oltre le rappresentanze sindacali”. E “il presidente del consiglio, volente o nolente, dovrà fare i conti con noi e, speriamo, anche con le altre organizzazioni sindacali”.

“Dieci milioni di iscritti a Cgil, Cisl e Uil che sono pizzaioli, commesse che fanno le vendite, lavoratrici dei call center, persone normalissime che devono pagare un mutuo, un affitto, tutta questa gente – prosegue Miceli - è gente che in questi anni è stata ‘privilegiata’, ci scopriamo a un certo punto i privilegiati di questo paese: guardate che è dura per chi deve tirare la carretta ogni giorno pensare di essere il privilegiato di turno di questo paese. Una volta pensavamo che i privilegiati fossero gli evasori fiscali, quelli che portavano i soldi all'estero, quelli con gli assegni a tante cifre; adesso il vero problema è se un lavoratore che guadagna 1200 euro al mese è il vero nemico del giovane che ne guadagna 600.

“Ma se Renzi sostiene – aggiunge polemico Miceli – che il sindacato deve rientrare esclusivamente in azienda solo per confliggere e non per partecipare, allora il Presidente del Consiglio non si occupi per legge della libertà di licenziamento attraverso l'art. 18, di demansionamento e del controllo a distanza”.

Quanto alle modifiche all’articolo 18, “l'onere della prova adesso sta ricadendo sul lavoro, sono io che ti devo spiegare perché tu mi stai licenziando. Anche sul versante dei licenziamenti collettivi – prosegue Miceli – l'idea è chiara, ed è che bisogna rendere rapido il licenziamento, ‘poi ci prenderemo carico di te, ma intanto sei fuori’, e voi sapete che questo è problema delicato, perché riguarda il rischio della distruzione del tessuto di impresa. Se si pensa che questo sia l'elemento attraverso il quale un grande paese industriale, non un paese occasionalmente industriale, ma un grande paese industriale debba e possa procedere questo è sbagliato.

Un motivo in più – se ancora ce ne fosse bisogno – per andare allo sciopero generale del 12 dicembre, perché non ci rassegniamo al lavoro come ultima ruota del carro”.

Fonte: rassegna sindacale

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