Giovedì, 09 maggio 2024 - ore 03.34

UNA NUOVA COSTITUENTE PER L’EUROPA – di Nicoletta Pirozzi

Ogni epoca ha i suoi simboli. Nel 1984, François Mitterrand e Helmut Kohl si tenevano la mano sul campo di battaglia di Verdun; al tempo del Covid-19, il simbolo della nuova Europa avrebbero potuto essere, più prosaicamente, i Coronabond.

| Scritto da Redazione
UNA NUOVA COSTITUENTE PER L’EUROPA – di Nicoletta Pirozzi

“Ogni epoca ha i suoi simboli. Nel 1984, François Mitterrand e Helmut Kohl si tenevano la mano sul campo di battaglia di Verdun; al tempo del Covid-19, il simbolo della nuova Europa avrebbero potuto essere, più prosaicamente, i Coronabond. Come hanno proposto i commissari europei Paolo Gentiloni e Thierry Breton, potremmo invece ottenere un politicamente più digeribile ma simbolicamente flebile Fondo europeo, concepito per emettere obbligazioni a lungo termine. Oppure, come ha proposto l’Eurogruppo, un “Fondo per la rinascita” che sia “temporaneo, mirato e commisurato” con i costi straordinari della crisi in atto e che aiuti a dilazionarli nel tempo. La partita è ora nelle mani dei capi di Stato e di governo, che si riuniranno il prossimo 23 aprile. Ma cosa ci dice il dibattito in corso sullo stato di salute dell’Unione?”. A chiederselo è Nicoletta Pirozzi, responsabile delle relazioni istituzionali dell’Istituto Affari Internazionali e del programma dell’Istituto “Ue, politica e istituzioni”, che affida le sue riflessioni a questo articolo pubblicato nei giorni scorsi dallo IAI.

Ne riportiamo di seguito la versione integrale.

“La sostenibilità a lungo termine del progetto europeo impone una sua riforma, nel segno di una maggiore integrazione. Per questo servono tre elementi fondamentali: il sostegno dei cittadini, la volontà politica dei leader e l’azione delle istituzioni.

L’impatto della crisi del Covid-19 sul sostegno dei cittadini alle istituzioni europee è stato pesante soprattutto nel caso italiano.

Solo il 30% dei cittadini italiani ha oggi molta o moltissima fiducia nell’Unione europea (nel 2000 era il 57%), mentre il 70% ne ha poca o pochissima. La maggior parte degli italiani (67%) pensa che far parte dell’Unione europea sia uno svantaggio.

In un ipotetico referendum, la maggioranza (52%) sarebbe ancora favorevole a rimanere nell’Ue, ma una considerevole minoranza (35%) voterebbe per un’Italexit – numeri incredibilmente simili a quelli registrati nelle fasi iniziali della campagna per il referendum britannico che ha portato alla Brexit.

Quanto ai leader politici nazionali, le azioni e le dichiarazioni delle ultime settimane hanno rivelato una spaccatura profonda all’interno dell’Unione e dell’Eurozona. Ben sette Stati (Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Danimarca, Cipro, Lettonia e Lituania) hanno chiuso unilateralmente i confini allo scoppio dell’emergenza, mentre altri (Francia e Germania) hanno inizialmente bloccato la fornitura di materiale medico di protezione agli altri paesi europei.

Il ministro delle Finanze dei Paesi Bassi Wopke Hoekstra ha proposto, generando reazioni rabbiose, un’indagine della Commissione sui paesi che non hanno margini di bilancio per l’emergenza nonostante l’area euro sia in crescita da sette anni (leggasi Italia e Spagna).

Non sono mancati tuttavia gli appelli all’unità e alla solidarietà europea, come quelli di Emmanuel Macron o di Pedro Sánchez, che hanno sottolineato la necessità di una risposta comune anche dal punto di vista economico, o quello del presidente della Repubblica tedesco Frank-Walter Steinmeier che, in un messaggio alla nazione, ha richiamato l’essenza dell’Europa e delle democrazie europee sottolineando come “la Germania non può uscire da questa crisi forte e sana se i nostri vicini non saranno forti e sani” – un’implicita ma evidente sconfessione dei “falchi” tedeschi.

Le istituzioni hanno messo in campo iniziative importanti per fronteggiare l’emergenza, a partire dal Quantitative easing da 750 miliardi di euro della Bce, fino alla proposta della Commissione per la creazione di una cassa integrazione europea, denominata Sure, che può mobilitare fino a 100 miliardi di euro per sostenere i sistemi nazionali. L’Eurogruppo ha concordato un uso flessibile del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) per il finanziamento dell’assistenza sanitaria “diretta e indiretta così come i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi”.

Infine, la Commissione si sta già mobilitando per attivare uno scudo che impedisca acquisizioni ostili da parte di potenze straniere, prima fra tutte la Cina, di aziende europee.

Tuttavia, per garantire una ripartenza reale del continente servirà anche una maggiore ambizione del bilancio comunitario per il prossimo ciclo 2021-2027, ben oltre il misero 1,07% proposto dalla Presidenza finlandese e più in linea con la proposta della Commissione del 1,11% o meglio del Parlamento europeo del 1,3%. Sarà poi necessario coordinare a livello continentale il graduale allentamento delle misure restrittive e di ripresa delle attività, salvaguardando la salute dei cittadini e allo stesso tempo le supply chains.

Questo quadro ci restituisce una prospettiva incerta per il futuro dell’Unione. La crescente sfiducia dei cittadini verso le istituzioni europee, resa ancora più marcata dalla percezione di insicurezza innescata dall’emergenza sanitaria e dalla massiccia disinformazione che ha inondato i social media europei, rischia di generare una crisi sistemica. Potrebbe crescere l’appoggio alle forze euroscettiche e nazionaliste, e addirittura profilarsi l’uscita dall’Unione di altri Stati membri dopo il Regno Unito.

Questo clima potrebbe essere anche sfruttato da alcuni politici nazionali per manovre inaccettabili, come la legge che conferisce pieni poteri al Primo Ministro ungherese Viktor Orbán per un tempo illimitato, oppure sconsiderate, come l‘uso del Mes in chiave assurdamente polemica da parte delle opposizioni di estrema destra in Italia.

Il risultato complessivo potrebbe seriamente scuotere le fondamenta dell’Unione, mettendo in pericolo la capacità delle istituzioni di fornire ai cittadini i benefici del valore aggiunto dell’Europa e di garantire unità nella diversità, ancorando la differenziazione interna alle regole comuni.

Per invertire questa rotta, non bastano le discussioni tecniche dell’Eurogruppo o i numeri delle nuove misure economiche. Servirebbe un vero rilancio della prospettiva di integrazione, ad esempio trasformando la già sbiadita Conferenza sul futuro dell’Europa in una vera fase costituente, che prenda in considerazione anche l’attribuzione di nuove competenze all’Unione, inclusa quella nel settore della salute, attraverso una riforma dei Trattati. Magari lanciata a Ventotene, mano nella mano, da una leadership finalmente pronta a costruire una nuova Unione”.

 

 (nicoletta pirozzi*\aise)

* responsabile delle relazioni istituzionali IAI

FONTE AISE.IT

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