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24 Ottobre 1917 100 ANNI FA LA DISFATTA DI CAPORETTO. MIO NONNO, IL SOLDATO CARLO ALBERTO di Giorgino Carnevali (Cremona)

Esimio amico mio, nella lingua italiana Caporetto è diventato sinonimo di una disastrosa sconfitta di ogni genere. Caporetto implica anche il Piave e Vittorio Veneto. Caporetto significa sconfitta seguita da una riscossa: una situazione in cui gli italiani riuscirono a tirar fuori il meglio del loro carattere.

| Scritto da Redazione
24 Ottobre 1917 100 ANNI FA LA DISFATTA DI CAPORETTO. MIO NONNO, IL SOLDATO CARLO ALBERTO di Giorgino Carnevali (Cremona) 24 Ottobre 1917 100 ANNI FA LA DISFATTA DI CAPORETTO. MIO NONNO, IL SOLDATO CARLO ALBERTO di Giorgino Carnevali (Cremona) 24 Ottobre 1917 100 ANNI FA LA DISFATTA DI CAPORETTO. MIO NONNO, IL SOLDATO CARLO ALBERTO di Giorgino Carnevali (Cremona) 24 Ottobre 1917 100 ANNI FA LA DISFATTA DI CAPORETTO. MIO NONNO, IL SOLDATO CARLO ALBERTO di Giorgino Carnevali (Cremona)

Data storica, 24 ottobre 1917, cent’anni fa. Ora Caporetto si trova in Slovenia, ha cambiato nome, oggi è Kobrid. L’esercito austro-tedesco inflisse una tremenda sconfitta all’esercito italiano. Oltre 12 mila i morti, 31 mila i feriti, 300.000 prigionieri. Dopo la caotica ritirata l’esercito italiano si attestò sulla linea del fiume Piave: “…il Piave mormorò, non passa lo straniero!”. Da lì non bisognava più arretrare, a tutti i costi. In aiuto a quei soldati arrivarono giovani di 17 anni chiamati anticipatamente alle armi. Erano i soldatini (i ragazzi!) del ’99. Controffensiva; rimandarono gli austro-tedeschi fino a Vittorio Veneto. Fu la riscossa. Sapranno mai i nostri giovani di quanti valorosi “ragazzi” salvarono l’Italia dall’invasione austro-tedesco? Mi sia qua concesso ricordare un valoroso reduce di quella Grande Guerra, mio nonno Carlo Alberto, nome importante, nome  regale il suo. E ne andava fiero di quel nome. E di tanto in tanto raccontava a me giovinetto dolorose e tristi vicende con inusitata specificità. Racconti che lo affliggevano. Erano ricordi i più dolorosi di anni trascorsi al fronte, lontano da casa a dagli affetti familiari. Narrava di forchette e di gavette, di insopportabili a volte nauseabonde brodaglie per cibarsi, di uomini lacerati nello spirito (oltre che nel corpo), di sudice marmitte da cucina, di sangue impressionante (ma glorioso!) che scorreva quotidiano come fiume in piena, di strazianti urla di sofferenza, di disperazione, mai di rassegnazione o di resa. Erano uomini tutti d’un pezzo quei “giovanotti”. Una chicca, una colorita battuta che di tanto in tanto gli usciva spontanea: “Piuttosto di rimanere ancora qua al fronte in trincea…cadessi di culo su di un righello verticale da un metro!”. Niente di che, uno sfogo, nemmeno da censura per noi giovincelli. Eppure quel suo semplice modo di dialogare sembrava renderlo meno triste, meno sofferente, meno angosciato per quei tanti, troppi anni trascorsi su quel fronte dove la “signora morte” (così l’aveva battezzata!) quotidianamente si portava via gli amici suoi più cari. Ma le guerre continuano a scoppiare, da noi, in varie parti del mondo, sempre più cruente, sempre più inutili. Siamo troppo stupidi per smetterla. “E’ un vero peccato che impariamo le lezioni della vita solo quando non ci servono più”.

Giorgino  Carnevali (Cremona)

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