Amnesty Rilasciare ed evacuare i rifugiati e i migranti detenuti in Libia
AMNESTY INTERNATIONAL, HUMAN RIGHTS WATCH E CONSIGLIO EUROPEO PER I RIFUGIATI E GLI ESULI CHIEDONO ALL’UNIONE EUROPEA DI AGIRE PER SALVARE VITE UMANE
Amnesty International, Human Rights Watch e il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli hanno chiesto ai ministri degli Esteri dell’Unione europea, che si riuniranno a Bruxelles il 15 luglio, di rivolgere alla Libia la ferma richiesta di chiudere i centri di detenzione per migranti e rifugiati e di assumere l’impegno, a nome dei loro governi, di facilitare l’evacuazione di queste persone verso luoghi sicuri, anche all’esterno della Libia e negli stati membri dell’Unione europea.
“Le parole d’indignazione sulle drammatiche condizioni di prigionia e sui pericoli per i detenuti nel corso dei combattimenti di Tripoli suoneranno vuote in assenza di urgenti e vitali misure per tirarli fuori da questa situazione”, ha dichiarato Judith Sunderland, direttrice associata di Human Rights Watch per l’Europa e l’Asia centrale.
“I governi dell’Unione europea devono offrire immediato sostegno alle autorità libiche per la chiusura dei centri di detenzione e misure immediate per evacuare le persone più vulnerabili e a rischio”, ha aggiunto Sunderland.
Dopo l’attacco mortale contro il centro di detenzione di Tajoura, le autorità libiche hanno dichiarato la disponibilità a rilasciare migranti e rifugiati dai centri ufficiali. Il 10 luglio l’alta rappresentante uscente per gli affari esteri dell’Unione europea, Federica Mogherini, ha affermato che “l’attuale sistema di detenzione dei migranti in Libia deve finire”. Il 7 giugno, citando le “orribili condizioni” dei centri, l’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani ha chiesto alle autorità libiche e alla comunità internazionale di assicurare che tutti i migranti e i richiedenti asilo nei centri di detenzione di Tripoli siano “immediatamente rilasciati”.
I governi dell’Unione europea, purtroppo, non hanno mai condizionato il loro sostegno alle autorità libiche alla chiusura dei centri di detenzione e al rilascio delle migliaia di persone ivi illegalmente detenute. Nonostante le prove del contrario, hanno insistito sul fatto che l’assistenza umanitaria finanziata dall’Unione europea avrebbe migliorato le condizioni di detenzione e hanno continuato ad aiutare la Guardia costiera libica a riportare sulla terra ferma libica persone destinate a periodi infiniti di detenzione. L’11 luglio l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) hanno chiesto che tutti i finanziamenti siano subordinati alla chiusura dei centri e hanno presentato una serie di proposte per l’immediato rilascio dei detenuti.
Le già drammatiche condizioni dei migranti nei centri di detenzione sotto il controllo nominale del Governo di accordo nazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite sono ulteriormente peggiorate da quando, all’inizio di aprile, le forze del generale Khalifa Haftar hanno iniziato l’assalto alla capitale Tripoli.
L’attacco della notte del 2 luglio contro il centro di detenzione di Tajoura, situato all’interno di un complesso militare a sudest di Tripoli, ha causato 53 morti e almeno 130 feriti, due dei quali erano rimasti già feriti il 7 maggio, quando alcuni missili caddero a soli 100 metri dal centro. Il 9 luglio l’Unhcr ha annunciato che le autorità libiche avevano consentito ai sopravvissuti di lasciare il centro. Tuttavia, a quanto pare, queste persone non hanno avuto assistenza adeguata né la possibilità di lasciare la Libia per cercare riparo altrove, se così avessero voluto. Alla fine di aprile, uomini armati avevano assaltato il centro di detenzione di Qasr Ben Geshir, a circa 24 chilometri a sud di Tripoli. Le responsabilità per entrambi gli attacchi non sono ancora chiare e potrebbero emergere solo a seguito di indagini credibili e indipendenti.
In altri centri situati a Tripoli o nei suoi dintorni, l’intensità dei combattimenti ha causato l’interruzione delle forniture di acqua e cibo, peggiorato le condizioni sanitarie e limitato l’accesso delle organizzazioni umanitarie e delle agenzie delle Nazioni Unite nei centri.
All’inizio di luglio l’Unhcr aveva trasferito 1630 detenuti dai centri situati sulla linea del fronte al suo centro di raccolta e partenza di Tripoli e ad altri centri situati in zone ritenute più sicure.
L’Unhcr ritiene che 3800 persone siano ancora detenute nei centri prossimi alle zone di conflitto, su un totale di migranti e rifugiati detenuti che al 21 giugno era stimato in 5800 persone. Sulla base della legge libica sui migranti, richiedenti asilo e rifugiati privi di documenti possono essere posti in detenzione senza poter contestare la legittimità del provvedimento. In questo senso, si tratta di detenzione arbitraria.
Amnesty International, Human Rights Watch e il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli chiedono che tutte le persone detenute arbitrariamente nei centri sotto il controllo nominale del Governo di accordo nazionale siano rilasciate e che quei centri siano chiusi. Considerati i rischi cui i cittadini stranieri vanno incontri in Libia, il Governo di accordo nazionale dovrà collaborare con le agenzie internazionali e l’Unione europea per fornire immediata assistenza umanitaria alle persone rilasciate e istituire corridoi umanitari.
Gli stati membri dell’Unione europea dovranno assicurare che le persone evacuate dai centri di detenzione abbiano a disposizione percorsi legali e sicuri per uscire dalla Libia, anche impegnandosi a mettere a disposizione un maggior numero di posti per i ricollocamenti e favorendo la velocizzazione delle evacuazioni effettuate dall’Unhcr verso il suo centro di transito in Niger o direttamente verso gli stati dell’Unione europea.
Dall’inizio di aprile, l’Unhcr ha potuto evacuare solo 289 persone verso il Niger e 295 in Italia, l’unico stato dell’Unione europea che ha finora accettato di prendere richiedenti asilo direttamente dalla Libia. Anche gli stati esterni all’Unione europea dovranno contribuire alle evacuazioni e ai ricollocamenti.
“Il terribile attacco contro il centro di detenzione di Tajoura della scorsa settimana ha evidenziato ancora una volta i pericoli mortali cui vanno incontro donne, uomini e bambini detenuti nei centri libici”, ha dichiarato Matteo de Bellis, ricercatore di Amnesty International su immigrazione e asilo.
“Invece di chiudere gli occhi di fronte alle condizioni inumane dei centri di detenzione e alle torture, agli stupri e alle altre ulteriori violenze subite dai migranti e rifugiati, i governi dell’Unione europea dovrebbero istituire immediatamente percorsi sicuri di uscita dalla Libia e assicurare che le persone intercettate nel Mediterraneo centrale non siano riportate in Libia”, ha aggiunto de Bellis.
L’affidamento alla Libia del controllo dell’immigrazione da parte delle istituzioni dell’Unione europea e dei suoi stati membri rappresenta un’abdicazione collettiva alla responsabilità di salvare vite umane in mare e ha contribuito all’attuale drammatica situazione.
Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, dall’inizio del 2019 al 6 luglio la Guardia costiera libica sostenuta dall’Unione europea ha intercettato in mare e riportato sulla terra ferma 3750 persone. Nello stesso periodo, 4068 persone sono approdate in Italia e Malta e 426 sono morte in mare.
Di fronte a una stima complessiva di 667 persone morte nel Mediterraneo centrale nei primi sei mesi dell’anno, l’Unhcr ha calcolato che nel tentativo di raggiungere l’Europa sia morta una persona su sei, rispetto all’una su 18 dello stesso periodo del 2018.
Nonostante vi sia un ampio consenso internazionale sul fatto che la Libia non può essere considerata un posto sicuro ove far tornare le persone, molti governi e istituzioni dell’Unione europea sostengono una politica che consente alle autorità libiche di pretendere di controllare una vasta area di ricerca e soccorso, allontana le forze europee dal Mediterraneo centrale e s’impegna o appoggia tacitamente i tentativi di ostacolare o criminalizzare le azioni delle organizzazioni non governative che hanno cercato di assumersi le responsabilità dei soccorsi in assenza di un’efficace risposta degli stati.
Questa politica pone chiunque comandi una nave che fa soccorso nel Mediterraneo centrale in una situazione insostenibile, venendo direttamente o indirettamente incoraggiato dai governi europei a sbarcare le persone soccorse in Libia anche se questa è una evidente violazione del diritto internazionale.
I negoziati tra gli stati europei per affrontare questa situazione attraverso un accordo sulla responsabilità condivisa per gli sbarchi e i ricollocamenti delle persone soccorse in mare sono falliti, producendo solamente accordi ad hoc per risolvere le situazioni di stallo con le navi delle organizzazioni non governative e persino con la guardia costiera e con navi commerciali, in un contesto nel quale viene continuamente proclamata la dura politica dei “porti chiusi”.
A marzo Amnesty International e Human Rights Watch hanno pubblicato un Piano d’azione per un sistema di soccorsi equo e funzionante nel Mediterraneo. Questo piano, che si basa sulle raccomandazioni del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati, propone un sistema provvisorio per assicurare che le persone soccorse in mare possano sbarcare rapidamente nel rispetto del diritto internazionale e individua un sistema equo di condivisione delle responsabilità tramite i ricollocamenti.
“Considerata la volontà delle agenzie internazionali ed europee, delle città e della società civile a fornire sostegno operativo, un accordo tra gli stati dell’Unione europea non solo è urgentemente necessario ma anche fattibile”, ha dichiarato Catherine Woollard, segretaria generale del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati”.
“La Commissione europea e la presidenza finlandese dell’Unione europea dovrebbero facilitare l’accordo e non propendere per false soluzioni coinvolgendo altri stati nordafricani. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’Unhcr, l’Unione africana e il settore della navigazione possono usare la loro influenza per far salire a bordo gli stati dell’Unione europea. Assumere le iniziative che abbiamo proposte contribuirebbe tanto a salvare vite umane quando a migliorare la situazione in Libia”, ha concluso Woollard.
Roma, 12 luglio 2019