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DANTE IN DIALETTO A PIEVE SAN GIACOMO Letto da Agostino Melega

Dante attribuì dunque a Cremona la massima elementarità,come se avesse voluto rimarcare la centralità geografica della città

| Scritto da Redazione
DANTE IN DIALETTO A PIEVE SAN GIACOMO Letto da Agostino Melega

DANTE IN DIALETTO A PIEVE SAN GIACOMO Letto da Agostino Melega 

(“GIARDINO DELLA SPERANZA”, 12 LUGLIO 2022, ORE 21.15)

Sull’antologia “Cento e un anno di poesia Cremonese”, il professor Mario Muner scrive che alla fine del 1° libro del De Vulgari Eloquentia, allorquando Dante Alighieri venne a tracciare una sorta di canone ascendente della realtà linguistica italiana, egli pose alla base di tale interpretazione e misura il dialetto cremonese, dicendo: “Affermiamo dunque che questo volgare, che abbiamo dimostrato essere illustre cardinale, aulico e curiale, è quello stesso che si chiama volgare italiano. Infatti, come è possibile trovare un volgare proprio di Cremona, così è possibile trovarne uno proprio della Lombardia: e come è possibile trovare un volgare proprio della Lombardia, così è possibile trovarne uno proprio di tutto il lato sinistro d’Italia; e come è possibile trovare tutti tali volgari, così è possibile trovarne uno proprio di tutta l’Italia. E come il primo si chiama cremonese e il secondo lombardo e il terzo semi-italiano, così il volgare proprio di tutta l’Italia si chiama italiano”.

Dante attribuì dunque a Cremona la massima elementarità, con una posizione di partenza nel quadro dell’Italia linguistica, come se avesse voluto rimarcare la centralità geografica della città che ospitò in tempi lontani il poeta Virgilio come allievo, e che si è proposta storicamente, fin dalla sua fondazione nel 218 avanti Cristo, come l’ombelico del Nord del Paese, in una delle aree più attive ed animate del mondo, non solo di allora.

  E sentendosi gratificato per il giudizio espresso sin da allora dal grande Dante alla lingua parlata dalle nostre parti, Sergio Marelli, valente interprete locale, nativo di Olmeneta, volle rendere omaggio all’Autore della Divina Commedia, traducendo l’Inferno e parte del Purgatorio nel vernacolo di Cremona.

Con lo stesso afflato, Camillo Roverselli, originario di Casalbuttano, poi trasferitosi in Brianza, ha tradotto l’intera Divina Commedia nel vernacolo parlato nella sua infanzia e adolescenza.

Della versione di Sergio Marelli, Agostino Melega proporrà al pubblico la descrizione del XXI° canto dell’Inferno, vale a dire quello riferito ai seminatori di scandalo. Nel mentre della trascrizione dialettale di Camillo Roverselli il dicitore farà ascoltare ai presenti il 33° canto del Paradiso, vale a dire la prece alla Madonna. 

CANTO 34° - NONO CERCHIO – TRADITORI DEI BENEFATTORI – LA GIUDECCA

Siamo oramai vicini a Lucifero. Dante intravvede, lontano nella foschia, qualche cosa che pare un mulino a vento. Soffia un vento gelido: Dante si ripara dietro Virgilio. Qui, nella Giudecca, sono dannati i traditori dei benefattori, completamente immersi dal ghiaccio.

I Poeti procedono verso il centro del cerchio; al momento giusto, Virgilio si scosta, e Dante può vedere quello che aveva creduto un mulino: è Lucifero. Dante si spaventa a morte. Lucifero, enorme, sporge con mezzo busto dal ghiaccio.

La testa del Demonio ha tre facce: una di fronte e due di lato. Sotto le teste ha sei ali, grandi come vele che, muovendosi, danno origine a tre venti gelidi che ghiacciano Cocito.

Tre dannati sono maciullati nelle tre bocche: Giuda in quella frontale, Bruto e Cassio in quelle laterali.

È quasi sera, ed è giunta l’ora di lasciare l’Inferno. Dante si aggrappa a Virgilio che si attacca al costato peloso del Diavolo e, usando i peli come gradini, scende lungo il corpo del demonio.

Arrivato alla attaccatura delle gambe, Virgilio si rigira e poi risale.

Dante, sempre attaccato a Virgilio crede di tornare all’Inferno; invece finiscono in una grotta dove non c’è più ghiaccio. Dante si meraviglia di non rivedere l’orribile sembiante del Diavolo, ma solo le sue enormi gambe, e rimane confuso e pieno di dubbi.

Virgilio sollecita Dante perché c’è parecchio cammino ed è, lui dice, quasi mattina. Salgono lungo un pertugio stretto, sassoso e buio. Frattanto Virgilio chiarisce i dubbi di Dante e cioè: - Dov’è finito il ghiaccio? – Perché Lucifero è a gambe insu? Come mai si è passati in poco tempo da sera a mattina?

Le spiegazioni sono chiare se si tien conto che i Poeti hanno superato il centro della terra (e centro di gravità) passando dall’emisfero nord a quello sud: quando in un emisfero è sera e nell’altro è mattina; a sud vi sono le gambe di Lucifero e non più le ali che muovendosi generano i venti gelidi e il ghiaccio.

Virgilio spiega anche come la caduta di Lucifero abbia determinato lo sconvolgimento dell’Orbe terraqueo e la formazione della cavità infernale e della montagna del Purgatorio.

Virgilio e Dante continuano a risalire lungo uno stretto budello e alla fine escono fuori all’aperto a rivedere il cielo e le stelle.

 

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