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Euro.Il vertice lo salva ma non basta

| Scritto da Redazione
Euro.Il vertice lo salva ma non basta

Segretariato Europa. Nota a cura di Danilo Barbi e Roberto Treu
VERTICE STRAORDINARIO DI BRUXELLES: UN PRIMO PASSO MA NON RISOLUTIVO.
Era in gioco il destino dell'euro e, con esso, il destino dell'economia europea. Infatti dalla salvezza del debito della Grecia e degli altri paesi (Irlanda, Portogallo, Spagna) dipende la sopravvivenza o meno dell'attuale struttura economica europea, ma anche quella della stessa Unione Europea così come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi.
Sono, perciò indispensabili, urgenti e non più rinviabili,, misure strutturali di riforma e adeguamento della governance economica e finanziaria dei paesi euro.
Questa è una condizione imprescindibile per poter disegnare un nuovo quadro del processo di costruzione dell'Europa unita, messa a rischio dalla discrasia esistente tra la moneta unica, particolarismi dei governi nazionali, inadeguatezza del governo europeo, esistenza di debiti sovrani totalmente nazionali.
Il quadro economico finanziario dei paesi dell'eurozona può essere così riassunto: debole crescita economica senza ricadute sull'occupazione, rapporto debito/Pil di molti paesi fuori dei parametri previsti, debito pubblico in crescita negli ultimi tre anni (Eurozona: dal 68,5 del 2006 all'87,3 del 2011), alcuni paesi a rischio default.
Questo quadro è aggravato dall'azione di fondi speculativi internazionali conseguenti alle valutazioni, spesso interessate e non oggettive, delle Agenzie di rating.

Alcuni dati del rapporto debito/Pil:
GRECIA 152%
BELGIO 98%
FRANCIA 87%
GERMANIA 80%
IRLANDA 114%
ITALIA 120%
PORTOGALLO 90%
SPAGNA 76%

E’ però vero che le percentuali dei paesi più esposti sul debito complessivo europeo non sono affatto rilevanti. Infatti le percentuali dei singoli paesi sull’intero debito pubblico europeo sono le seguenti: Germania 26,5%, Italia, 23,5%, Francia 20,3%, Spagna 8,2%, Grecia 4,2%, Portogallo 2%, Irlanda 1,9%.
Per il salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo, sono già stati destinati dalla Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale oltre 273 miliardi di euro, ma la Grecia ha bisogno ancora di 105 miliardi.
L'eurozona ha creato, nel 2009, un fondo-salva stati, l'EFSF (European Financial Stability Facility), con una dotazione di 225 miliardi di euro, aumentati successivamente a 440 miliardi.

Per regolamento, questo fondo poteva acquistare titoli di uno stato solo sul mercato primario.
Il fondo è alimentato dai singoli paesi dell'area dell'euro e l'Italia vi partecipa con una quota pari al 18 per cento.
L'erogazione dei prestiti è strettamente subordinata a manovre economiche dei singoli paesi beneficiari, volte a ridurre drasticamente la spesa pubblica e a programmare larghe misure di privatizzazioni, con l'obiettivo di una riduzione del deficit di bilancio.

E' evidente che queste misure comportano un drammatico rallentamento dell'economia, un peggioramento delle condizioni sociali ed una profonda modifica del modello sociale europeo. Queste misure non prevedono alcun provvedimento per favorire la crescita economica e la ripresa dell'occupazione, nel breve-medio periodo, comportano un brusco rallentamento della domanda interna con conseguente riduzione dei consumi, che a sua volta costituisce un freno alla produzione.

Tutto ciò è l'esatto contrario di quanto dichiarato dal G 8 e dal G 20 alla fine del 2008, allorché veniva indicata come necessaria per superare la crisi, una strategia con forti investimenti pubblici per rilanciare l'economia, investimenti nella ricerca e nell'energia sostenibile, misure per incentivare l'occupazione stabile, accanto a nuove regole dei mercati finanziari. Invece, sono prevalse, fino ad ora, le tradizionali politiche di intervento (modello FMI), che tanti danni hanno provocato nel mondo favorendo un'iniqua distribuzione delle risorse, la concentrazione delle ricchezze nei paesi ricchi e l'aumento la povertà dei paesi poveri alle prese con elevati tassi di interesse per pagare il debito.

Sin dall'inizio della crisi, la Confederazione internazionale dei Sindacati e la Confederazione Europea dei Sindacati hanno rivendicato nuove regole per i mercati finanziari, a partire dalla tassa sulle transazioni finanziarie, dalla creazione di una Agenzia di rating indipendente, dalla istituzione degli Eurobond: sono misure essenziali per limitare l'azione della speculazione finanziaria e per dotare gli Stati di risorse aggiuntive da destinare allo sviluppo sostenibile e alla buona occupazione.

L'Italia, con un debito di oltre 1800 miliardi di euro e un rapporto debito/Pil del 120 per cento, è considerato un paese a rischio insolvenza. Inoltre, l'instabilità del Governo alimenta la criticità della situazione italiana.
Il debito pubblico italiano è garantito per oltre l'83 per cento da titoli di stato, in mano per il 48 per cento a investitori nazionali (Banche e Assicurazioni in primis) e per il 52 per cento a investitori internazionali (la Cina detiene il 13 per cento).

Il 77 per cento dei titoli è a scadenza medio-lunga, ma annualmente l'Italia mette in vendita titoli per circa 300/400 miliardi di euro. Una variazione dell'1 per cento sul
tasso di interesse, significa così un aggravio di 3 - 4 miliardi di euro di maggiori rimborsi.
E' poi vero che la ricchezza dei privati è pari a 6 volte il Pil, dato tra i più alti al mondo e che testimonia una certa solidità del sistema paese, la cui economia è caratterizzata dall'essere il secondo paese europeo per esportazione. Infine, il nostro sistema bancario ha superato positivamente gli stress-test, è sostanzialmente in linea con le regole di Basilea e l'esposizione dell'Italia verso i paesi PIGS ammonta a 41 miliardi di euro in totale, pari al 5,8 per cento del totale degli investitori in questi paesi (9,5 Francia, 13,2 Germania).

E’ necessario inserire il debito privato (delle famiglie e delle imprese) come criterio per un nuovo patto di stabilità europeo. E’ infatti ovvio che la solvibilità di un Paese, in senso generale, non possa riguardare solo i debiti pubblici ma debba riguardare anche i debiti privati. Se si facesse questo la situazione europea apparirebbe per come in realtà è e cioè molto diversa da come viene rappresentata.
Debito complessivo privato e pubblico in rapporto al Pil dei diversi paesi europei
Germania 208%, Austria 217%, Italia 241%, Francia 242%, Grecia 245%, Zona euro 245%, Spagna 278%, Olanda 283%, Inghilterra 295%, Portogallo 343%, Irlanda 398%.

In questo scenario le decisioni prese dal vertice straordinario di Bruxelles rappresentano un passo significativo verso una maggiore integrazione europea ma non sono risolutive delle questioni di fondo. C’è stata una evidente correzione alla precedente politica europea che si era dimostrata un vero fallimento: difatti la Grecia era stata portata ad una situazione di oggettivo default tranne poi accorgersi che se questo fosse stato formalizzato nei mercati avrebbe coinvolto importanti banche francesi e tedesche e avrebbe travolto l’intera area dell’euro. Le misure assunte sono
state le seguenti:
1) Ristrutturazione del debito greco attraverso prestiti straordinari (106 miliardi) di lungo periodo, da quindici a trent’anni, con rendimenti intorno al 3,5% e con 10 anni di esenzione dei rimborsi dello Stato greco verso i creditori;
2) Coinvolgimento dei privati che riacquisteranno propri titoli greci in scadenza allungandone il periodo e riducendone gli interessi;
3) Lo Stato greco, anche con i prestiti europei, potrà riacquistare propri titoli pubblici a rendimenti ribassati;
4) Sblocco immediato di fondi strutturali europei pluriennali destinati alla Grecia per un piano straordinario di investimenti infrastrutturali;
5) Il fondo europeo evolverà in una sorta di agenzia del debito europeo e potrà acquistare titoli dei paesi in difficoltà (Irlanda, Portogallo e Grecia ma anche Belgio, Spagna e Italia) nel mercato secondario arginando sia interventi speculativi che ondate di vendite al ribasso.

Queste scelte rappresentano una sconfitta per la linea della BCE e la sua intransigenza monetarista che ha rischiato di fare fallire la Grecia opponendosi finora ad ogni ristrutturazione del debito. Si tratta quindi di un primo passo verso una maggiore integrazione europea ma occorre ben altro. La politica definita infatti è una specie di politica strutturale ma di interventi straordinari, che può funzionare per i rischi attuali di contagio, però non si è ancora definita una politica di sostegno generale della crescita e di conglobamento di una parte dei debiti sovrani in un debito direttamente europeo, unica scelta per liberare risorse nazionali per lo sviluppo, che è ancor più necessaria oggi che di nuovo tutti gli indicatori di crescita dei paesi europei sono in calo. Va quindi per noi definito un nuovo Patto di stabilità e crescita che modifichi anche il patto Europlus: spostando al 2015 o al 2016 il tempo del rientro dal debito pubblico, inserendo nei parametri anche il debito privato, usando gli anni precedenti per
una politica strutturale di conglobamento di parte dei debiti nazionali in debito europeo e definendo un Piano europeo straordinario per la crescita e l’innovazione. Conglobamento e Piano per la crescita devono essere finanziati dall’emissione di Eurobond di lungo periodo e dall’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziare.

fonte: cgil nazionale
22 luglio 2011

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