Le radici dell’Euro vanno ricercate negli anni ’70, quando vennerointrodotti il serpente monetario e poi il Sistema Monetario Europeo, che si proponevano di limitare le marcate instabilità dei cambi tra le valute dei Paesi dell’allora CEE. Le difficoltà di gestire questi meccanismi portarono, verso la fine degli anni ’80, al Rapporto Delors, predisposto da un’apposita commissione composta dai Governatori delle banche centrali dei Paesi CEE, in cui si ponevano le basi tecniche dell’unione monetaria. Il punto di svolta arrivò nel 1992, quando, con il Trattato di Maastricht, i Paesi firmatari posero le basi politiche per un profondo rafforzamento dell’integrazione europea, uno dei cui pilastri era la nascita dell’Unione Economica Monetaria.
L’Euro nacque 23 anni fa - il primo gennaio 1999 - da questi presupposti, con l’adesione iniziale di 11 Paesi e la fissazione dei cambi di conversione; per i primi tre anni il suo utilizzo venne volutamente limitato a operazioni che richiedevano solo flussi elettronici (tra banche, per titoli, ecc.). Tre anni dopo, il primo gennaio 2002, arrivarono le banconote e monete in Euro e il definitivo “pensionamento” delle divise nazionali. L’importante ricorrenza ventennale è stata celebrata lo scorso febbraio con una seduta plenariadel Parlamento Europeo.
Sono stati anni tutt’altro che facili per l’Europa e per il mondo intero, si pensi solo alla grande crisi finanziaria iniziata nel 2008. Alla conseguente crisi del debito sovrano di alcuni Paesi dell’area Euro(Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), iniziata nel 2010 ed assai pericolosa per la tenuta della moneta unica, che richiese alla Banca Centrale Europea una totale inversione di rotta nella politica monetaria; portando, nel luglio 2012, al memorabile pronunciamento pubblico del suo presidente, Mario Draghi, sulla ferma volontà della BCE di fare tutto quanto necessario (whatever it takes) per salvaguardare l’Euro. Si pensi anche alle tensioni, incertezze e spinte anti Euro causate dall’uscita dall’Unione Europea del Regno Unito,che peraltro non aveva mai voluto rinunciare alla propria valuta nazionale. Alla gravissima crisi pandemica iniziata nei primi mesi del 2020. Da ultimo, alla pesantissima situazione internazionale e umanitaria determinata dalla guerra in Ucraina iniziata lo scorso 24 febbraio.
In questi due travagliati decenni, nonostante le difficoltà, i Paesi che hanno adottato la moneta unica sono diventati 19 (su 27 Paesi aderenti all’UE) e l’area Euro presenta dimensioni di tutto rispetto: conta circa 340 milioni di abitanti ed un Prodotto Interno Lordo che, nel soffertissimo anno 2020, ha raggiunto la ragguardevole cifra i 13.000miliardi di Dollari (pari all’11,50% del PIL mondiale). L’Euro si è anche imposto come la seconda valuta - dopo il Dollaro USA - più utilizzata nel sistema monetario internazionale, con un peso medio attorno al 20% del totale delle operazioni globali. Segno che la nostra moneta unica ha saputo giocare un ruolo importante per il funzionamento dell’economia europea e mondiale.
Non è mai facile fare previsioni in economia e ciò, a maggior ragione, in una fase epocale e assai difficile quale quella attuale. Però, basandomi su alcune idee portanti, vorrei provare a svolgere alcune brevi riflessioni sul futuro dell’Euro.
Anzitutto, come evidenziò il grande economista J. M. Keynes, la moneta svolge un ruolo fondamentale per il funzionamento dei sistemi economici nazionali e internazionali, poiché permette di effettuare gli scambi di beni e servizi, di accumulare risparmio, di erogare finanziamenti a imprese e famiglie, di erogare stipendi, salari e pensioni, di gestire numerosi servizi pubblici e, non ultimo, di misurare i risultati delle aziende. Da qui l’importanza di un “governo attivo della moneta”.
In secondo luogo, bisogna considerare come la rilevanza di una moneta sia una delle espressioni più concrete dell’importanza e della credibilità economica e socio-politica dell’emittente, pilastri su cui non bisogna mai smettere di lavorare. A maggior ragione quando si tratti di una moneta sovranazionale quale l’Euro.
In terzo luogo, non si deve dimenticare la necessità di intervenire dinamicamente nelle complesse interazioni tra corsi delle valute, spinte speculative, politica monetaria, fattori di governo dell’economia e segnali dati ai mercati. Emblematico è il caso del “whatever it takes” di cui si è detto poc’anzi.
La politica economica attuale e futura dell’UE e quella monetaria della BCE dovranno svolgere, quindi, un ruolo ancora più centrale per gli anni a venire. Partendo dalla necessità di trovare un bilanciamento sapiente tra contenimento dell’inflazione e crescita economica (il mai sopito dilemma, quasi amletico, “monetaristi contro keynesiani”), alcune delle principali questioni sul tavolo sono: la necessità di un’uscita progressiva dai massicci interventi straordinari di sostegno alla liquidità di banche e titoli di stato europei; le nuove sfide poste dalla pandemia (l’emissione di titoli UE e il Recovery Plan); la ripresa economica e le spinte inflattive; il dibattito sulla revisione dei parametri di Maastricht. Il tutto tenuto conto delle complessità e delle dinamiche dei mercati finanziari internazionali.
Ma c’è un secondo, più alto e strategico, livello di problematiche all’interno del quale si dovrà inquadrare il futuro della moneta unica europea. Partendo dalla considerazione che l’Euro è un “esperimento”senza precedenti storici di unificazione monetaria di più nazioni, prodotto dalla loro adesione su base volontaria al progetto comune edinquadrato nel più ampio progetto dell’Unione Europea, le questioni da affrontare sono numerose e interconnesse. Senza pretesa di completezza né di priorità, si pensi alle sfide tecnologiche e digitali, ai fattori ambientali e di sostenibilità, alla riconversione di vari settoriproduttivi, agli investimenti in infrastrutture, ai fattori geo-politici e di difesa comune, alle politiche energetiche e delle materie prime, al potenziamento delle produzioni strategiche, ai flussi migratori e ai profughi, alle politiche educative, di ricerca, sanitarie e sociali, alle decisioni sull’allargamento dell’UE e dell’area Euro, alle necessità di ulteriore crescita dell’integrazione europea e di sua sburocratizzazione.
Partendo dall’esperienza e da queste considerazioni, quali indicazioni trarre sul futuro dell’Euro e dell’Unione Europea? E anche, speriamo, quali possono essere i presupposti per l’inizio di una nuova fasevirtuosa? C’è veramente tanto da fare, ma non deve mai mancare la voglia di costruire per il bene comune. A mio parere, si rende necessario impostare un lavoro di ampio respiro, che parta dai principi fondamentali e dalle radici dell’Europa: Cultura, Sostenibilità, Cooperazione, Rispetto per l’Uomo. Di questi tempi ne abbiamo particolarmente bisogno.
Prof. Alberto Marchesi,
Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative
Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano