Sabato, 27 aprile 2024 - ore 11.19

L’Italia può perdere dal 40% al 90% della risorsa idrica

Barbabella: ''È un Paese più a rischio di altri, con aumento di temperatura di quasi 3 °C rispetto al periodo pre-industriale, a fronte di una media mondiale di +1,1 °C''

| Scritto da Redazione
L’Italia può perdere dal 40% al 90% della risorsa idrica

di

Luca Aterini

 
 

In Italia il riscaldamento globale sta correndo a velocità quasi tripla rispetto alla media internazionale, e a farne le spese è in primis una risorsa indispensabile alla vita come l’acqua, che oscilla sempre più tra siccità e alluvioni.

Nel corso della 4° Conferenza nazionale sul clima, promossa oggi a Roma da Italy for climate (Ifc), sono stati presentati i risultati del nuovo rapporto Troppa o troppo poca? L’acqua in Italia, in un clima che cambia, che documenta puntualmente una crisi ormai in atto. Non si parla più di prospettiva, ma di cronaca.

«Siamo oramai entrati in una fase di anormalità climatica permanente – spiega Andrea Barbabella, responsabile scientifico di Italy for climate – che ha già modificato il ciclo dell’acqua, aumentando frequenza e intensità di eventi meteoclimatici estremi. L’Italia, al centro dell’hot spot climatico del bacino Mediterraneo, è un Paese più a rischio di altri, con aumento di temperatura di quasi 3 °C rispetto al periodo pre-industriale, a fronte di una media mondiale di +1,1 °C».

Questo fa sì che nell’ultimo trentennio climatologico 1991-2020 – come documenta l’Ispra – la disponibilità di acqua sia già diminuita del 20%, rispetto al periodo 1921-1950. E senza ridurre in modo drastico quanto rapido le emissioni di gas serra dovute ai combustibili fossili, il quadro continuerà a peggiorare.

L’Italia gode storicamente di una buona disponibilità di acqua – è ancora terza in Europa per disponibilità della risorsa idrica, dietro Francia e Svezia – con circa 130 miliardi di mc disponibili ogni anno. Tuttavia, dopo aver già perso il 20%, la disponibilità potrebbe arrivare a ridursi entro il 2100 del 40% come dato medio nazionale, con punte del 90% in alcune aree del Meridione.

Al momento non stiamo facendo quasi niente per contrastare questa previsione. Siamo il Paese europeo con i più alti livelli di stress idrico, ma manteniamo i livelli record di prelievo di acqua in Europa. Secondo le stime Ifc si parla di 39 mld di mc all’anno l’Italia (Legambiente e Utilitalia stimano 33 mld mc/anno, ndr), il che significa prelevare più del 30% della disponibilità idrica annua: stiamo quindi intaccando il nostro patrimonio idrico e mettendo in pericolo gli ecosistemi.

Ifc stima che l’acqua prelevata in Italia venga destinata per il 41% all’agricoltura, il 24% ad usi civili, il 20% all’industria e il 15% alla produzione di energia elettrica. Siamo il secondo paese europeo per prelievi destinati all’agricoltura (dopo la Spagna) e il primo per utilizzo di acqua in industria (4 volte più della Germania e 8 volte più della Francia); anche il cittadino italiano consuma in media 220 litri di acqua il giorno, il doppio dell’acqua consumata da un cittadino medio europeo, e gli acquedotti colabrodo perdono circa il 40% della risorsa che trasportano.

Non solo: oltre alla siccità, c’è l’altra faccia della medaglia. Ovvero le bombe d’acqua. In Italia i fenomeni a carattere eccezionale sono aumentati esponenzialmente negli ultimi anni, fino a superare nel 2022 per la prima volta il valore record di 2.000 episodi all’anno: un italiano su cinque risiede in aree potenzialmente allagabili, mentre sono minacciate da pericolosità idraulica medio-alta 6,9 milioni di persone, 1,1 milioni di imprese e 4,9 milioni di edifici.

Secondo l’analisi di Coldiretti e alcune stime recenti di Ismea, il cambiamento climatico ha portato nel 2022 un danno economico al comparto agricolo di circa 6 miliardi di euro, con circa il 10% valore della produzione dell’intera filiera e si stima che l’alluvione in Emilia Romagna abbia portato a danni per circa 8 miliardi di Euro. Secondo Confagricoltura nelle aree colpite dall’alluvione sono a rischio almeno 50.000 posti di lavoro tra agricoltori e lavoratori dipendenti nelle campagne, nelle industrie e nelle cooperative di lavorazione e trasformazione.

«Viviamo in un territorio particolarmente fragile – conclude Barbabella – in cui 12 milioni di persone vivono in aree che potrebbero essere soggette ad alluvioni e vediamo aumentare ogni anno gli eventi di precipitazioni a carattere eccezionale. Come collettività dobbiamo comprendere con urgenza il nesso tra la crisi climatica e i rischi di un ciclo idrico sempre più sotto stress, mettendo in campo interventi straordinari di mitigazione e adattamento».

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