Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 11.36

LA BOJE Le prime lotte contadine. 130 anni dopo , la boje ancora?

Oggi, vigilia dello sciopero generale, proclamato dalla CGIL e dalla UIL, ci sentiamo di dire che L’Eco del Popolo, nato dalle prime mobilitazioni delle masse lavoratrici, non può essere neutrale né reticente.

| Scritto da Redazione
LA BOJE Le prime lotte contadine. 130 anni dopo , la boje ancora? LA BOJE Le prime lotte contadine. 130 anni dopo , la boje ancora? LA BOJE Le prime lotte contadine. 130 anni dopo , la boje ancora?

Oggi ho visto l’amalgama della merda, lassù, all’undicesimo ponte della Regal Princess, 50 metri sopra il mare: in un labirinto di paratie, cavi, tubi e pannelli, c’era un ragazzo che saldava senza mascherina, senza guanti, senza occhiali. Un rumeno, incastrato e piegato tra le lamiere, un po’ più giovane di me, avrà avuto trent’anni…

Basta farsi un giro alle sei del mattino, in fondo al piazzale d’ingresso del Cantiere, per capire come funziona: a pochi metri dalla portineria, con i guardiani che fan finta di non vedere, si ritrovano ogni giorno gli irregolari, i paria del Cantiere, si offrono, pietiscono un ingaggio: “ lavoro, signo’……. lavoro “.

Poi arrivano quelli che li assoldano, a giornata, magari falsificando i nomi e facendoli entrare col cartellino di qualcun altro. Prendono due soldi e non hanno orari, servono quando bisogna correre più del solito perché la commessa va consegnata, si è in ritardo e tutti vanno come matti……in quei momenti c’è chi lavora 12/14 ore al giorno, qualcuno anche la notte. Dentro uno scafo è come giocare a mosca cieca, ti ci perdi persino di giorno non sai più da che parte sei entrato e da che parte devi uscire “ (testimonianza di un lavoratore del Cantiere di Monfalcone).

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Negli anni ottanta e novanta la Fiat riceve dallo stato italiano ottomila miliardi di lire tra finanziamenti diretti e incentivi al mercato automobilistico, ne spende seicento per far dimettere una parte dei ventiquattromila operai che ha cacciato da Mirafiori. Riconquista il pieno controllo di Mirafiori e procede su tre direzioni: moltiplicazione delle attività del gruppo, robotizzazione degli stabilimenti, esternalizzazione della produzione…

Se il tempo è denaro, il controllo del tempo è potere; su esso si gioca tutta la vita in fabbrica. In fabbrica si vive di paura, ci hanno tolto tutti i diritti, senza portarci il lavoro, su Mirafiori hanno fatto mille promesse di investimenti che non hanno mai mantenuto ma a cui tutti vogliono credere per evitare il disturbo. Con radici profonde e tappe precise: dalle esternalizzazioni che hanno svuotato la grande fabbrica trasferendone pezzi sul territorio circostante alla distribuzione delle produzioni in altre parti d’Europa…

La cassa è alienante. Non sai come impiegare il tempo, ti senti inutile e ciascuno cerca di dare un senso alle proprie giornate: qualcuno fa dei corsi, qualcun altro aiuta i vecchietti a portare in giro i cani o si inventa i servizi sostitutivi di pullman per i bimbi a scuola, altri fanno militanza in Val Susa contro la TAV.

La mia è una generazione che il lavoro non lo può scegliere. Non è che voglio continuare così per tutta la vita, vorrei un lavoro e un reddito per una vita dignitosa. Ma non ho altra prospettiva se non quella di continuare a fare ciò che faccio. Nemmeno riesco ad immaginare altro. In questo momento mi interessa solo battermi contro lo sgretolarsi di Torino e della sua industria. Appartengo a quella parte della popolazione di questa zona che ha legato in maniera indissolubile la propria vita al sistema industriale torinese, che sta morendo senza che a nessuno importi nulla. La mia priorità è che le istituzioni e la politica di questo si occupino. Poi da lì si può ripartire e ripensare le nostre vite, ma se muore in manifatturiero a Torino non avremo niente, solo centomila poveri in più “.

(testimonianza di un cassintegrato di Fiat Mirafiori)

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“In quei due anni l’Innse vivacchia, nonostante sia una delle pochissime fabbriche al mondo in grado di produrre componenti molto complessi per grandi impianti industriali: può contare su un’elevata professionalità operaia e su un parco macchine capace di lavorare in simultanea su più commesse…

Poi, alla fine quando siamo scesi dal carro-ponte, quando abbiamo vinto erano tutti  pronti ad esultare, ad attribuirsi meriti e attaccarsi medaglie al petto. Partiti di centro sinistra e di sinistra, sindacati, professori. Facile farlo, dopo…prima, invece, eravamo soli o quasi: tutti a dirci “ ma dove pensate di andare… in cinquanta contro la storia, le sue leggi, l’inevitabile sorte delle fabbriche che chiudono  magari per riaprire da un’altra parte, dove il lavoro non costa niente…

Tutto o niente: se accetti la logica del padrone che alla fine bisogna smantellare la fabbrica e semmai si possono attutire i costi sociali della chiusura con un po’ di pensione, cassa integrazione o sussidi, allora hai perso prima di iniziare.

Un atto di una lotta lunga per dimostrare che la volontà del padrone non è assoluta, non è una legge della natura, per dire a tutto il mondo che gli operai possono resistergli e anche vincere

(testimonianza di uno dei cinque lavoratori dell’INNSE -ex Innocenti- che hanno resistito su una piattaforma contro lo smantellamento della loro fabbrica).

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Diciamo che ci è venuta così: ospitare e presentare su L’Eco del Popolo gli Atti (raccolti e redatti da Giuseppe Azzoni e da Teréz Marosi) del convegno “I moti contadini di fine ’800 nel cremonese ”, organizzato per rievocarne, a 130 anni di distanza, il significato. Attualizzato con un rimando ad un reportage sulla condizione, in questo inizio di terzo millennio, del lavoro. Lavorare manca- la crisi vista dal basso- di Gabriele Polo-Giovanna Boursier. (Einaudi), fornisce un spaccato di come si è andato evolvendo l’esercizio del diritto principe, che, addirittura, ispira il profilo costituzionale.

Mettiamo le mani avanti: vero gli scenari descritti dai due giovani giornalisti non sono generalizzati, ma neanche troppo estremi o rari; mentre il contesto in cui presero le mosse le prime agitazioni della seconda metà del XIX secolo era uniformemente arretrato e di segno conservatore.

Qualsiasi parallelismo, come abbiamo anticipato, tra contesti distanziati da quasi un secolo e mezzo, sarebbe azzardato e controfattuale.

Siccome, però, pensiamo che il motivo ispiratore dell’apprezzabile (anche sul piano scientifico) rivisitazione quei moti, anticipatori di significativi snodi sociali e politici, non risiedesse solo nella convinzione che la memoria è un dovere nei confronti dei padri, azzardiamo qui che la lettura degli atti del Convegno (per i partecipi e non) verrebbe meglio se non si prescindesse dall’impulso a sviluppare qualche confronto con la temperie attuale.

Ogni generazione, si suol dire, ha le sue guerre (sociali e, purtroppo, anche non sociali) da combattere.

Le lotte di quella seconda metà del XIX secolo si svilupparono a partire da uno scenario che, nonostante fosse trascorso un secolo dalla madre di tutti i sommovimenti dell’era moderna (la rivoluzione francese), assomigliava, almeno qui da noi, più ad un prolungamento del ciclo medievale che non a una sia pure tardiva proiezione verso i valori ed i principi universali dell’uguaglianza.

Nelle intenzioni del cenacolo di intellettuali sognatori, ispirati da un avvocato poco più che trentenne e raccolti, nel gennaio del 1889, nella un po’ originale location dell’osteria della Marcella (angolo dell’attuale Via Ettore Sacchi) per  licenziare la bozza destinata al torchio della tipografia dell’attuale Via Capra, non si celebrava, col numero 1 della prima significativa testata della sinistra cremonese pre-socialista, dichiaratamente solo il centesimo anniversario della rivoluzione francese ed il trentesimo della guerra di indipendenza nazionale. Ma c’era piena consapevolezza del fatto che si stava dando vita  ad uno strumento di crescita civile delle masse e di diffusione, in vista di concreti approdi emancipativi, delle idee che erano state alla base di quelle lotte del 1982-85.

Il richiamo alla Bastiglia, nel proponimenti di Leonida Bissolati, stava e sta a significare che lo scenario, in cui quei moti primitivistici (non del tutto spontanei, anche se privi ancora di un aggancio associativo) erano destinati a sfociare, non doveva essere stimato molto dissimile, almeno nell’afflato egualitario, da quello di un secolo prima in Francia. Che, come è universalmente noto,  avrebbe accelerato, un po’ in tutto il mondo, l’applicazione pratica dei valori e dei principi illuministici.

Ma la dichiarazione programmatica della prima testata socialista, anticipatrice della costituzione del PSI e del suo organo ufficiale l’Avanti!, segnalava che era trascorso un trentennio da un’altra significativa tappa del processo di indipendenza nazionale. Le cui conseguenze non avrebbero appagato solo gli impulsi patriottici, bensì profondamente concorso, come stava accadendo nell’ottava decade del secolo XIX, ad un’accelerazione delle spinte alla modernizzazione. Nell’Italia settentrionale e, come stava da tempo avvenendo, in larga parte del continente europeo, proiettato verso nuovi assetti economici, sociali e civili.

D’altro lato, che quei moti non fossero di privi di un adeguato, anche se non del tutto completato, back ground teorico e che quell’iniziativa editoriale non fosse avulsa da qualche riferimento sinergico è dimostrato da un evento denso di significati simbolici e di presagi.

A solo dieci anni dagli scioperi della Boje e a quattro anni dalla propria fondazione, L’Eco del Popolo avrebbe, nel 1893, dato alle stampe, dopo la prima pubblicazione in Francia, l’unica traduzione autorizzata de “Il Capitale” di Carlo Marx, curata da uno dei fondatori del partito operaio francese, Gabriel Deville.

I contributi della Prof.ssa Betri, del Dott. Superti e dell’Avv. Carletti (in particolare, quest’ultimo si è richiamato alle parti della propria tesi di laurea, dedicate ai preesistenti assetti della produzione agro-alimentare del cremonese ed alla diffusa anche se non generalizzata propensione alla modernizzazione testimoniata da  alcuni illuminati pionieri) hanno efficacemente segnalato la progressione, parallela bisognerebbe aggiungere, tanto dello sforzo per l’espansione economica quanto dell’aspettativa delle masse. Fortemente interessate non solo a condizioni materiali di vita meno disumane, ma anche all’affermazione di standards civili coerenti con le dottrine filosofiche e sociologiche, ormai in diffusione nel continente europeo e nelle Americhe.

Il perno di tali diritti/prerogative, in quella temperie ancora a livello della medievale servitù della gleba (Carletti, tanto per esemplificare velocemente, ha ricordato che le donne lavoravano come e più degli uomini, ma non venivano pagate) era radicato nel lavoro. Il cui riconoscimento, nelle relazioni umane e sociali come negli ordinamenti legislativi, avrebbe costituito precondizione per la più vasta emancipazione propugnata dal trinomio scaturente dai Lumi (liberté, fraternité, égalité). Quell’aggregato teorico basico, che professava la libertà per la scienza, per l’economia, per l’individuo, ed il progresso e la felicità del genere umano, avrebbe ben presto ispirato la progressione degli assetti civili attraverso l’elaborazione di nuove dottrine politiche e di nuovi movimenti di massa.

Inquadrato il retroterra dei moti popolari, tema della conferenza, siamo i primi ad essere convinti della controfattualità di eventuali parallelismi.  Indubitabilmente, i contesti attuali delineano tendenze involutive sia nelle cosiddette relazioni industriali sia, più in generale, negli assetti civili e sociali.

Le conquiste sociali non sono per sempre. L’abbiamo affermato nelle riflessioni dedicate al revisionismo nei confronti della Legge 300; che suggellò, nell’azione di governo e nel Paese, il picco dell’azione riformista.

Sicuramente, le condizioni di vita del “proletariato” di oggi (una locuzione, vista la marcata tendenza alla denatalità, da archiviare nel lessico sociologico) non sono simili agli scenari di allora.

Ma, pur aborrendo qualsiasi presagio apocalittico, mai come nella presente congiuntura si sono scorti, non solo evidenti segnali di regressione delle condizioni esistenziali dei ceti (che arrischiano di tornare)  subalterni, quanto inoppugnabili sentiments e markers, tutti convergenti ad avvalorare una percezione non promettente per il lavoro. Per l’etica su cui si fonda, per il suo rating comunitario, per le sue prerogative di rappresentanza politica, per le ricadute sul terreno esistenziale.

Gli inserti, che pubblichiamo in questo articolo e che sono tratti dal lavoro di Gabriele Polo-Giovanna Boursier, non ci devono indurre ad una acritica metabolizzazione. Ma, presentando gli atti del Convegno sulla rivisitazione dei moti della Boje, neanche ad una sottovalutazione dei segnali di una forte regressione delle prerogative del lavoro.

Compiremo, nei prossimi numeri, un’analisi accurata sulle tendenze in atto.

Oggi, vigilia dello sciopero generale, proclamato dalla CGIL e dalla UIL, ci sentiamo di dire che L’Eco del Popolo, nato dalle prime mobilitazioni delle masse lavoratrici, non può essere neutrale né reticente.

La nostra, tecnicamente, non è un’adesione allo sciopero; ma costituisce condivisione delle consapevolezze sui pericoli di involuzione degli assetti sociali.

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In allegato 

-Atti del convegno “ I moti contadini di fine ’800 nel cremonese ” Camera del lavoro di Cremona, 18 settembre 2014

-Articolo presentazione " La Boje"

 

 

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