Sabato, 27 aprile 2024 - ore 14.37

Quis custodiet ipsos custodes?

di Enrico Vidali

| Scritto da Redazione
Quis custodiet ipsos custodes?

Del fantasioso titolo, dedotto dalla locuzione tratta dalla VI Satira di Giovenale (e tradotto, a beneficio di chi non ha avuto la fortuna o la pena accessoria dello studio della lingua latina in un più abbordabile «Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?»), diremo nel prosieguo. Quando, passando dalla premessa dedicata all’analisi dei contesti correnti e sulla segnalazione di un défualt nella comunicazione, ci addentreremo in riflessioni meno scontate di quanto l’inestirpabile tendenza al chiacchiericcio (fisico e digitale) potrebbe indurre.

L’aforisma (forse abusato nell’uso, ma inaggirabile evergreen) di Flaiano (“la situazione è grave ma non seria”) sembrerebbe giustificare il ricorso, a corredo iconografico del pezzo, all’immagine ironica ed autoironica inviataci da un carissimo amico di Napoli. Dove, attraverso un gesto di compassionevole dell’ironia, non si perde, a dispetto delle evidenze (tremendamente serie), l’occasione per sdrammatizzare.

Mentre i cugini francesi sono assimilati ad italiani che però ridono poco, i napoletani sono italiani che, invece e fortunatamente, sanno non minimizzare, bensì cogliere nel burlesque una via di fuga dalla drammatizzazione.

Fermo restando, che, ad un factcheking composto, si dovrà parzialmente rettificare Flaiano: la situazione, a dispetto dall’immagine dell’esito della conversione in delicatesse del pasticciere partenopeo, in un più realistico: la situazione è grave e tremendamente seria.

Catalogazione di un accidente, di cui si sa tutto, tranne il modo con cui contrastarlo efficacemente e bloccarne le conseguenze.

La scienza farà il suo corso. Adesso sarebbe già apprezzabile come attrezzare un approccio empirico a questo guaio, che, unitamente alle consistenti complicazioni, viene assimilato, nelle percezioni prive di ancoraggi scientifici, ad un castigo biblico.

Nella notte dei tempi si sarebbe vocata alla clemenza divina e ci si sarebbe rivolti alla vetrina delle superstizioni.

Nei contesti correnti, invece, nelle more dell’esito (benevolo per gli umani, s’intende!) del contrasto tra morbilità e scienza, significativa parte delle energie viene bruciata sull’altare di relazionalità fuorvianti quando non allucinanti.

Siamo ben consapevoli della serietà di un impiccio che, pur essendo poco dissimile dalle precedenti epidemie-pandemie, vede, i propri pericoli immediati ed i relativi portati, potenziati dall’estensione e dalla velocità delle relazioni umane. Negli scenari mondiali come e più in quelli domestici. It’s globalization, stupid!.

Che, a ben vedere, costituisce il gancio cui si appende l’esito di qualsiasi eterogenesi dei fini!

Categoria nella quale non dovrebbe essere integrata la fattispecie umana rappresentata da una serie di impulsi combinati: la banalizzazione della percezione/spiegazione di fenomeni desueti, l’assolutoria/esimente “tana liberi tutti”, l’attribuzione delle responsabilità al nemico (che nella corretta accezione sarebbe un competitor).

Sia quel che si voglia, vero è che, dopo dieci giorni di goliardiche inconsapevolezze e di progressioni a tastoni, appare all’orizzonte, dopo averle azzardate tutte, in termini sia di spiegazioni che di contromisure, un tentativo di rialzare la testa.

Tentativo per il quale sarebbe necessaria, forse obbligata, una precondizione. Vale a dire la dismissione (almeno fino alla prossima catastrofe) del tratto comportamentale, attribuito dal manifestamente antipatizzante Wiston Churchill: («Mi piacciono gli italiani, vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra”).

Non è per compiacere inclinazioni snobistiche; ma, anche in questa difficile temperie, ci stiamo comportando così.

Il pressapochismo come tratto antropico comportamentale si integra quasi sempre nella fattispecie diffusa in un ceto dirigente; che, particolarmente nelle ultime decadi, è apparso lontano da quel profilo di risorsa comunitaria che in altri paesi (per indicarne l’alto profilo di dedizione al sistema-paese) chiamano civil servant. E, soprattutto, da quella preparazione di alto livello, indispensabile, come nel caso dei vertici burocratici, a supportare, con professionalità ineccepibili e feconde, l’attuazione degli indirizzi politico-gestionali in capo ai superiori livelli decisionali.

Essendo, poi, un sistema, appunto paese, storicamente ben lontano da quegli elevati indici di coesione ben conosciuti come peculiarità di altre realtà nazionali, e, proprio per questo, autodefinendosi “repubblica delle autonomie” (locuzione che vorrebbe richiamare una virtù autogestionario/territoriale, ma che sfocia nell’irresponsabilità anarcoide), va da sé che ci si avvita nella pratica inestirpabile dell’ “ognuno per sé e dio per tutti”.

In cui stanno dentro non solo l’idiosincrasia al fare sistema (nella buona e nella cattiva sorte!), ma addirittura la teorizzazione del diritto-arbitrio di praticare, in congiunture difficili come quella in corso, misure contrarie a quelle stabilite dai superiori livelli di responsabilità.

Stiamo ben lontani dall’indulgenza verso locuzioni tipo “Soffia sullo scontento contribuendo ad alimentare paure e forse panico” e “Immersi nella psicosi” (anche se, a parte il convenzionalismo, qualcosa di vero c’è in questa scalcagnata realtà).

Lo scienziato, Prof. Burioni, una vera guest star di queste serrate analisi, è approdato ad una conclusione incontrovertibile: “Non dobbiamo riempire i vuoti di conoscenza con le scemenze”.

Probabilmente a causa della percezione di un paese che si sente smarrito e che, conseguentemente, é da guidare come un gregge, si continua caparbiamente a rifiutare un’operazione di verità.

Un’operazione di verità, con cui raccontare con chiarezza e con calma ciò che è assodato a seguito di un incontrovertibile fact checking. I cui esiti sono da esternare con competenza e toni rassicuranti (ma non perché consigliati dalla convenienza demagogica, che è una costante della politica).

Se fosse possibile, questa significativa criticità offrirebbe un importante assist per almeno tentare di invertire quel paradigma di vulnerabilità che emerge da questa congiuntura e che pesa, soprattutto, sulla maturità civile.

Un’operazione improba per scenari in cui l’inclinazione ad un frequentemente controproducente storytelling in libera uscita appare una costante.

Una costante che frequentemente è orientata da impulsi auto-assolutori delle proprie incapacità e denigratori degli altri protagonisti della vita pubblica.

Ben si comprende che siffatti comportamenti, relativizzando tutto, minano la coesione sociale e la struttura etico/civile ed organizzativa.

Da anni si pratica, a livello di massa e soprattutto nell’agone politico, il gioco a smerda. Ma, pur nella consapevolezza della bassa caratura di quasi tutto il ceto politico, non ci si rende pienamente conto del potenziale risultato del taglio del ramo su cui è seduta la sostenibilità comunitaria.

Il meglio, diceva la mia saggia nonna, è nemico del bene! Sicuramente si potrebbero sempre migliorare le prestazioni pubbliche.

Ma ci pare doveroso, in questo difficile momento, riconoscere, con un alto tasso di convinzione, il pieno merito dell’operosa attività dei 115 Sindaci e dei 1301 Consiglieri del territorio provinciale. Che, in aggiunta ad un costante ed ordinario impegno (che pretende dedizioni non da minimo sindacale), sono chiamati a rappresentare un indispensabile punto di riferimento civile.

Indubbiamente una così vasta platea potrebbe incorporare qualche castagna che nasconde la magagna. Del che, se fosse vera, la circostanza andrebbe segnalata. Restando ben lontano dalla pratica poco onorevole di sparare nel mucchio.

Diversamente, ammiccamenti e sottintesi arrischierebbero di delegittimare un’intera comunità di testimoni civili.

Che recentemente, nel nostro provinciale, ha dato prova di un’apprezzabile tendenza all’armonizzazione e convergenze in tema di difesa (come nel caso dei presidi ospedalieri) degli interessi originari di un territorio marginalizzato e penalizzato, anche nella difesa della salute.

Abbiamo accolto favorevolmente una recente, felice esternazione di un campione della c.d. prima Repubblica “Il silenzio propizia l’ascolto”.

Ecco sarebbe preferibile, in assenza di indicazioni ineludibili ed incontrovertibili, astenersi, da parte delle “autorità”, da eccessi di presenzialismo e di comunicazione. “Un bel tacer non fu mai scritto” (altro indimenticabile motto della mia nonna Maria).

Perché, in assenza di ulteriori, doverose spiegazioni, appare inappropriato quell’invito prefettizio (molto simile ad un’intemerata) riservato ai Sindaci della provincia (“affinché facciano particolare attenzione nel mantenere sempre un atteggiamento rigorosamente istituzionale e rispettoso del loro ruolo e dei cittadini che rappresentano”)

Noi crediamo che nessuno dei 1300 Consiglieri Comunali del territorio provinciale meriti di essere richiamato (dal Prefetto) alla consapevolezza “della responsabilità che ricade su di loro e che è altissima”.

Ci siamo abituati al tratto prevalente nella relazionalità del rappresentante del Governo; un tratto che si gioverebbe dell’attenuazione, sia di un francamente imbarazzante presenzialismo e sovraesposizione mediatica, sia di una missione didattica (nei confronti del mondo imprenditoriale, del giornalismo e, cosa più seria, della classe istituzionale).

Come la nostra parte politica da decenni si era fatta consapevole (a partire dalle declaratorie della Costituente)dell’opportunità di espungere dall’ordinamento della nuova Italia repubblicana il mantenimento che evocasse qualsiasi continuità con il ruolo di (genericamente detta) “rappresentanza del governo” sul territorio.

Siamo ben consapevoli dell’esigenza di raccordare l’azione dei corpi dello Stato nella delicata materia dell’ordine pubblico e di esercitare il controllo di legittimità sulle istituzioni locali.

Un controllo che va esercitato con continuità, con riservatezza e, se consentito, con sobrietà. Che non rinveniamo nella fattispecie di quel monito rivolto ai Sindaci (“La responsabilità che ricade su di loro è altissima e i sindaci – anche quelli di piccole realtà territoriali – devono sempre tenere un comportamento appropriato all’istituzione che rappresentano”).

Se Sua Eccellenza il Prefetto fosse a conoscenza di comprovate deroghe a questa consegna sarebbe in dovere di esercitare fino in fondo il suo ruolo di controllore. In assenza di ciò, saremmo in presenza di un inconsiderato esercizio didattico. Della cui motivazione e della cui opportunità (che finisce per sparare nel mucchio) non si avverte francamente né il fondamento né l’utilità.

E qui giunge il momento di un conclusivo interrogativo (Quis custodiet ipsos custodes?)

 

EV

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