Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 21.31

La pandemia taglia i rifiuti urbani, -10% nel 2020. Ma gli impianti continuano a scarseggiare

Brandolini: ''Il sistema ha tenuto anche grazie a provvedimenti straordinari di deroga, ma il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti dovrà affrontare il tema delle esigenze impiantistiche e organizzative per raggiungere i target europei''

| Scritto da Redazione
La pandemia taglia i rifiuti urbani, -10% nel 2020. Ma gli impianti continuano a scarseggiare

Dopo oltre un lustro di sostanziale stabilità, i rifiuti urbani prodotti in Italia anche nel 2019 – come testimonia l’ultimo report pubblicato in materia dall’Ispra – galleggiano attorno alle 30 milioni di ton/anno, ma per il 2020 si stima una brusca caduta a causa della pandemia: secondo i dati raccolti da Utilitalia presso 46 aziende associate che servono circa 15 milioni di abitanti, la produzione di rifiuti urbani è diminuita di circa il 10%: si è stimato un aumento dei rifiuti organici domestici e dei rifiuti di imballaggio in plastica, e una diminuzione dei rifiuti organici provenienti dai settori turistici e dei Raee.

Come tutte le altre novità portate dalla pandemia e in apparenza “positive” per l’ambiente, si tratta di un calo contingente che poco a che vedere con la sostenibilità. Non una buona notizia dunque, anzi.

Le criticità emerse con la pandemia hanno (ri)portato alla luce le difficoltà strutturali che gravano sulla gestione rifiuti nel Paese, messe in evidenza anche dalla Direzione investigativa antimafia, con l’emergenza che «ha fornito indicazioni importanti sulla necessità di migliorare la dotazione impiantistica del Paese. Il sistema – argomenta il vicepresidente di Utilitalia Filippo Bradolini, intervenendo oggi alla presentazione del report Ispra – ha tenuto anche grazie a provvedimenti straordinari di deroga, ma il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti dovrà affrontare il tema delle esigenze impiantistiche e organizzative per raggiungere i target europei».

A proposito degli obiettivi Ue, per la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche ad esempio «occorrerà arrivare almeno all’80% di raccolta differenziata per centrare il target europeo del 65% di effettivo riciclo entro il 2035». Oggi siamo al 61,3%, con circa un quinto del raccolto che poi viene ri-buttato di nuovo a causa della sua scarsa qualità (senza dimenticare gli inevitabili scarti da riciclo, come per ogni altro processo industriale).

«Nei territori in cui la gestione dei rifiuti è impostata su logiche industriali – osserva Brandolini – i risultati sono migliori e in linea con gli standard europei, dove invece insistono piccole gestioni frammentate le performance sono peggiori e l’allineamento agli obiettivi Ue è ancora lontano. Non a caso nel Nord, dove grazie ad un’organizzazione industriale e ad un’adeguata dotazione impiantistica si registrano elevati tassi di raccolta differenziata e di riciclo e un bassissimo smaltimento in discarica, la qualità del servizio offerto ai cittadini è migliore, a fronte di tariffe significativamente più basse rispetto alle regioni centromeridionali in cui ancora troppo rilevante è il ricorso allo smaltimento in discarica».

In quest’ottica giungere ad una «adeguata dotazione impiantistica» in tutto il Paese rappresenta un passaggio cruciale per conseguire progressi in termini d’economia circolare.

Lo stesso Ispra testimonia che «vi sono regioni in cui il quadro impiantistico è molto carente o del tutto inadeguato», e non a caso Utilitalia stima che il turismo dei rifiuti urbani – ovvero quella spazzatura che vaga fuori dai confini regionali in cui è stata prodotta dai cittadini, in cerca di impianti dove poter essere gestita – costi 31mila ton/anno di CO2 e 75 mln di euro in più di Tari, oltre a numerose altre inefficienze. Per chiudere questo gap e rispettare i target europei, per Utilitalia occorrono in primis oltre 30 tra biodigestori e inceneritori.

Per Brandolini «serve un’attenzione particolare al tema dell’impiantistica per i rifiuti organici, perché da qui passa un pezzo importante dell’economia circolare. Secondo le nostre stime, per centrare gli obiettivi Ue al 2035 occorre una dotazione impiantistica aggiuntiva pari ad oltre 3 milioni di tonnellate. Auspichiamo che vengano assunte scelte tecnologiche all’avanguardia, ovvero che si realizzino impianti in grado di contribuire anche alla transizione energetica del Paese, producendo dai rifiuti organici energia – in particolare biometano – oltre al compost».

Per arrivare a realizzarli davvero, questi impianti, occorre però una chiara regia pubblica che indichi dove, come e perché realizzarli: l’occasione si presenta con il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti, il cui iter è stato recentemente avviato dal ministero dell’Ambiente.

In quest’ottica, ha concluso il vicepresidente di Utilitalia, «contiamo che il Recovery fund possa fornire un contribuito importante per favorire la realizzazione di impianti industriali in grado di consentire economie di scala, riducendo i costi a carico dei cittadini» e offrendo concrete chance di sviluppo sostenibile sotto il profilo sociale ed economico, oltre che ambientale.

Già nel corso dell’estate solo Utilitalia ha messo in programma un piano di investimenti da circa 50 miliardi di euro in 5 anni – 30 nel settore idrico, 12 in quello energetico e 8 in quello ambientale – per contribuire alla ripartenza economica del Paese in ottica green. Anche restringendo il focus su quei progetti che potrebbero trarre risorse dal Recovery fund, ovvero il piano di rilancio europeo dal quale l’Italia si attende oltre 200 miliardi di euro, si arriva a una quota più che rilevante: 17,4 miliardi di euro, di cui 2,3 nell’economia circolare.

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