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Le 127 candeline de ‘L’Eco’

Il primo numero risale ai giorni di venerdì/sabato 4/5 gennaio 1889

| Scritto da Redazione
Le 127 candeline de ‘L’Eco’

A voler essere precisi non sarebbero proprio 127. Perché, per l’esattezza, dal computo, che parte dal primo numero esordito nei giorni di venerdì/sabato 4/5 gennaio 1889 e giunto ai giorni nostri, andrebbero scorporate le annate in cui l’organo di stampa bissolatiano non uscì per ragioni di forza maggiore (il ventennio).

Leonida Bissolati, con una dichiarata correlazione alla ricorrenza, in quell’anno, del centenario della Rivoluzione per eccellenza e del trentesimo della seconda guerra risorgimentale, lo fondò ancor prima che uscissero le quasi coeve testate, destinate ad una platea ben più vasta (Critica Sociale e l’Avanti!).

Un rimando celebrativo utile a fissare, almeno in quel momento, il perimetro entro cui collocare la sistemazione ideale e teorica di un movimento, di cui si intravvedeva il profilo e si avvertiva l’esigenza. Una esigenza, fortemente sollecitata dai passaggi propedeutici che, partendo appunto dall’enucleazione di una dottrina suscettibile di disegnare nuovi destini individuali e collettivi per le masse proletarie, avevano connotato, con un crescendo di conquiste dagli approdi difficilmente stimabili, il primo trentennio di unità nazionale.

Cremona, come abbiamo osservato nel corso della recente rievocazione della figura e dell’opera di Giuseppe Garibotti, si era posta all’avanguardia di questa prospettiva attraverso tappe fondamentali, tra cui, appunto, la fondazione di un organo di stampa capace di veicolare tra le masse quegli ideali egualitari. Che, una volta archiviata la suggestione anarchica e superata la fase intermedia del partito operaista, avrebbero condotto, nell’agosto del 1892, alla fondazione del partito socialista italiano. Ma, prima di questo traguardo, destinato ad incidere fortemente nello sforzo di immissione delle masse proletarie e delle avanguardie intellettuali nella vita politica ed istituzionale e nel contrasto sociale, i profeti del socialismo cremonese avevano creato i prototipi strumentali di quella testimonianza: le Società di Mutuo Soccorso, le Cooperative e Mutue, le Casse di Solidarietà, le Società Operaie, le Banche Popolari, le Camere del Lavoro.

L’Eco del Popolo avrebbe dovuto, negli intendimenti dei padri fondatori che si riunivano nell’osteria della Marcella e che si avvalevano dei tipi della Sociale di Via Caprara 10, riprendere apertamente, come scriverà nel 1960 Emilio Zanoni in “L’Eco del Popolo ha settant’anni”, i motivi del marxismo scientifico da innestare sull’albero grande delle rivendicazioni popolari.

Che le intuizioni di Bissolati, il quale, per inciso, conosceva, come i genitori, i testi fondamentali della dottrina marxista nella lingua in cui erano stati scritti (ne è dimostrazione che una delle prime edizioni autorizzate del Capitale fu prodotta da L’Eco del Popolo), fossero destinate a convergere su prospettive sempre crescenti lo si deduce dai riconoscimenti a tappe forzate del valore antesignano degli albori del socialismo cremonese. Bissolati, Garibotti, Romeo Soldi (quest’ultimo delegato italiano presso l’Internazionale Socialista) sarebbero stati i delegati al congresso fondativo del PSI. Bissolati avrebbe con il sodale Filippo Turati dato vita anche alla prestigiosissima rivista Critica Sociale ed all’organo ufficiale nazionale, l’Avanti! di cui sarebbe stato per molti anni il direttore.

Le tre riviste “bissolatiane” avrebbero, ovviamente nei rispettivi ambiti, contribuito a fare la storia e a scriverla. Esse, curiosamente (mentre tutte le altre “concorrenti” di interesse nazionale e locale sono letteralmente sparite), vivono anche nel terzo millennio; per quanto con discontinuità e fatica e, soprattutto, nella poco congruente modalità digitale, imposta sia dall’esigenza di restare aderenti ai tempi sia, prevalentemente, dalle ristrettezze materiali.

Non sappiamo quanto la loro testimonianza influenzi la formazione delle opinioni e le coscienze; ma la loro continuità, a distanza di oltre un secolo e, segnatamente, in assenza di un partito di massa di riferimento (che fornirebbe ovvio retroterra dialettico e sostegno), costituisce per ciò stesso elemento apprezzabile di dedizione ideale e di impegno civile. Quante delle testate, che compongono la cartolina postale da noi intercettata sulla bancarella, sono, volendo esercitarci in una domanda retorica, sopravvissute? Di quante di esse, inattive, si è preservata almeno la fisicità della memoria?

Quesiti retorici da cui deriverebbero risposte agghiaccianti. Agghiaccianti (in quanto sicuramente accomunate dall’analogo destino riservato alla testimonianza delle altre sensibilità) per la storia della politica, ma, soprattutto, per la storia civile. Nel tenere acceso questo barlume di colleganza alle nostre radici ed alla memoria del passato per leggere il presente ed interpretare le prospettive future, quasi due anni fa, quando cominciammo ad accarezzare il progetto di far vivere L’Eco del Popolo non potevamo, però, fare astrazione dalla consapevolezza dei contesti proibitivi, per un tale proposito. E, con ciò, non ci riferiamo solo, si sarà perfettamente compreso, alla scomparsa delle categorie antropologiche di riferimento. Quelle del nostro passato leggevano molto ed amavano anche la fisicità della lettura. Quelle attuali, come si sa, si informano prevalentemente sulla rete e sulla stregua dei format passati da quel convento.

Se la gente smette di leggere, di informarsi, di sforzarsi a capire, di confrontarsi, la politica smette di esistere. La lettura era uno strumento di elevazione culturale e sociale ed, applicata alla vita civile, costituiva il diritto di tribuna nei movimenti politici e sindacali e nella vita istituzionale. I surrogati di oggi: chattare, la rete, il social…. Un gioco di specchi dispensato dallo scatolone mediatico della contemporaneità; che sta destrutturando le menti e producendo conseguenze catastrofiche sulla capacità di pensare e di capire il senso.

E pazienza se, per rendere meglio il nostro punto di vista, siamo costretti a citare un intellettuale che non amiamo molto. Eugenio Scalfari ha recentemente osservato: “Il tema di fondo tra la parola scritta e quella on line riguarda il pensiero. In che modo l’informazione on line differisce dall’informazione scritta? Il pensiero è soprattutto cultura, racconto, meditazione, approfondimento dei fatti, analisi del carattere dei personaggi, strategia di lunga durata o tattica d’immediata applicazione e differenza tra l’una e l’altra. Queste diverse manifestazioni del pensiero che interpreta i fatti e ne storicizza la portata ha bisogno di spazio, di uso di molteplici parole e quindi di scrittura. La differenza tra le parole comunicate per scritto e quelle comunicate on line può essere la stessa che passa tra una lettera e un telegramma, tra un romanzo e un racconto, tra l’immagine dipinta su un quadro o in un affresco e uno schizzo disegnato con pochi tratti di matita”.

Ed ancora. “Il nostro modo di leggere sempre più rapido e superficiale nell’epoca della comunicazione digitale sta compromettendo la capacità dell’uomo di analizzare un testo andando un po’ più in profondità.” Così esprimeva recentemente, nell’ambito dell’analisi di mutamento delle abitudini in atto, la neuroscienziata cognitiva della Tuft University Maryanne Wolf. Che completava le proprie osservazioni con la preoccupazione che la conseguenza dei messaggi brevi e semplificati, con cui si comunica (in entrata ed in uscita), finiranno per modificare irreversibilmente insieme al modo di leggere e, quindi, di apprendere, anche i circuiti mentali. Leggendo le osservazioni di una così illustre scienziata, che corroboravano avvisaglie da tempo presenti nelle nostre riflessioni, ci è corso lungo la schiena un brivido, tale da dissuadere qualsiasi pur motivato proposito di continuare le pubblicazioni de L’Eco del Popolo on line.

Per non dire di un’altra coriacea controindicazione: l’egemonia del presente che fa premio solo sulla cronaca, avulsa dal confronto col passato e del tutto impermeabile all’impulso ad esplorare l’orizzonte del futuro. Il presentismo, dice Antonio Scurati, è la malattia dello spirito che si traduce in una spinta regressiva della crescita civile. Negli attuali scenari, quasi sempre ci si trova di fronte ad espressioni che mancano di profondità storica. Sono insostenibilmente “leggere“ e restano schiacciate sul presente. Viviamo in un clima e in una società dell’istante. Il passato non esiste, si consuma il presente, perché il futuro inquieta.

Ma, ancorché intimoriti, fino ai limiti della dissuasione, da tali consapevolezze ma sollecitati dallo stesso impulso che fece dire (in Come eravamo) al protagonista maschile (Hubbell Gardiner, giovane e bellissimo esponente della upper class), rivolto alla protagonista femminile (Katy Morosky, ragazza ebrea, appartenente alla Lega dei Giovani Comunisti) Ma tu non molli mai, abbiamo deciso di continuare una testimonianza durata oltre un secolo. E di rivolgerci, nella situazione data, alla nicchia di portatori di smarrimenti e disorientamenti, indotti dalla liquidità del pensiero.

Insomma, quasi due anni fa, beneficiando dell’ asilo offerto da Giancarlo Sorti e da Welfare, abbiamo ripreso le pubblicazioni; ben consapevoli di aver dato vita, per i presupposti ossimorici appena analizzati, ad una sorta di ircocervo: ci avvaliamo della rete per continuare una testimonianza giornalistica di approfondimento e di confronto di tipo assolutamente tradizionale. Che ci consente un format informativo fatto di pensieri lunghi, non di pensieri brevi, insomma un’informazione di carta. Dice il nostro “editore” che, stando almeno alla rilevazione degli accessi, la cosa funziona.

Il che, almeno per il momento, ci distoglie dall’ossessione di individuare le modalità attraverso cui dispensare ai posteri, come i pezzi licenziosi di pellicola di Nuovo Cinema Paradiso, le riflessioni e gli approfondimenti della storia e della cultura politica di cui continuiamo ad essere portatori. Offriamo passato per interpretare il presente e prefigurare il possibile futuro. Qualcuno, benevolmente, ha scritto di noi: “Mi piace segnalare l’iniziativa degli amici socialisti, Enrico Vidali tra i primi, che dall’isola sperduta in cui li ha confinati la cattiveria umana mandano un messaggio in bottiglia a chi un tempo gli ha voluto bene”.

Non ci sarebbe recensione migliore. Con una precisazione, però. Speriamo che non sia come la mamma, che la si rimpiange quando è venuta a mancare. Per di più il nostro messaggio, radicato nel pensiero critico e contenuto nella bottiglia del web, è diretto universalmente a chi non si accontenta delle cose scontate.

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