Venerdì, 19 aprile 2024 - ore 18.07

L'On Pizzetti interviene alla Camera sul discorso di Berlusconi

| Scritto da Redazione
L'On Pizzetti interviene alla Camera sul discorso di Berlusconi

L'On Pizzetti interviene alla Camera sul discorso di Berlusconi
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pizzetti. Ne ha facoltà.
LUCIANO PIZZETTI.
Signor Presidente del Consiglio, noi l'abbiamo ascoltata con rispetto, pensando di misurarci con un trattato di contemporaneità ma, invece, abbiamo assistito ad una ripetizione di storia antica con qualche ausilio di tarocchi. Nel regno del bene che lei ha descritto, verrebbe voglia di chiederle: ma come mai c'è la crisi? E nel breve tempo di Governo che ha di fronte, lei davvero immagina di fare ciò che non ha saputo fare nel lungo tempo che le sta alle spalle? Guardi che di tempo il Paese non ne ha più.
A causa vostra, siamo finiti in un crogiolo di contraddizioni irrisolte, che esasperano i vari segmenti della crisi, economica, istituzionale ed ora anche politica. Questo Paese è da tempo privo di una direzione politica capace di indicare una prospettiva e, oggi, il Governo è anche privo del sostegno degli italiani.
La seconda Repubblica, in realtà, non è mai nata, trattenuta per la coda da un populismo che rifugge dalle responsabilità nazionali e rincorre il «fai da te» sociale. Ma la bolla illusionistica è scoppiata e ora siete alle corde, perché la crisi presenta il conto: un conto in rosso, ben salato negli interessi. Sono messe a nudo le fallaci illusioni di un progetto basato sull'alterazione delle regole, senza generare né inclusione sociale, né meritocrazia, né efficienza, né liberalizzazioni; cioè, nulla di cui il Paese ha realmente bisogno per fronteggiare la crisi e riavviare la crescita.
A Pontida, è nato e rapidamente morto il patto dei produttori, modello pseudopadano di una nuova soggettività sociale, basata sulla somma algebrica: meno tasse, più reddito, meno regole, più uso surrettizio del lavoro immigrato, uguale crescita. È tornato a monte quel patto e ciascuno è rimasto solo davanti alla crisi, consolato dalle preghiere pagane. Non solo perché la crisi e il debito riducono i margini di quel suggestivo patto, ma perché voi non avete corrisposto alla domanda di modernizzazione della società italiana, che era, ed Pag. 50è, la vera sfida, quella più importante, che voi, scesi in campo, non avete mai lanciato, con i proponimenti liberali rimasti sempre a bordo campo.
Avete coagulato il disagio, lo avete alimentato con idee di rottura, ma non vi siete cimentati con la ricostruzione, con le riforme di sistema.
Non lo avete fatto sul funzionamento della pubblica amministrazione, non lo avete fatto sul funzionamento della giustizia, non lo avete fatto sulle liberalizzazioni, che, proprio ieri, il Presidente dell'Antitrust ha denunciato essere rimaste al palo.
Sulla formazione avete ridotto opportunità, sul lavoro avete esasperato divisioni e conflitti, non avete liberato energie, le avete compresse. La vostra crisi di rappresentanza è determinata soprattutto dal vostro fallimento nella modernizzazione dell'Italia.
Lei ha detto che avete corrisposto alla crisi. No, signor Presidente: voi avete sbagliato a cogliere i segni della crisi incombente, altro che comprensione! Eppure, con ben maggiore lungimiranza, proprio in quest'Aula, essi vi erano stati segnalati dalle forze di opposizione.
Detassavate gli straordinari di un lavoro che si perdeva e indebolivate le tutele per chi lo stava perdendo, senza incentivare l'impresa che investe e genera nuovo lavoro.
A Pontida si sono alzate voci per allentare il Patto di stabilità per i cosiddetti comuni virtuosi, almeno. Da quanto tempo ve lo stiamo chiedendo in quest'Aula?
Avete proposto una riforma fiscale che rimodella aliquote e scaglioni, spostando forse - dico forse - il carico sulle rendite. Non ve lo avevamo proposto con una mozione, qui, in quest'Aula?
Sull'energia avete ballato, facendo venire i calli al Paese. Sulla Libia avete cambiato posizione ad ogni sollecitazione esterna o padana che fosse. Avete aumentato considerevolmente il debito sul PIL, senza generare nuovi investimenti e, forse, questa è la colpa più grave.
Propugnate il federalismo e lo negate alla radice, con tagli lineari e nessun riassetto istituzionale. Norme invasive delle autonomie, spostamenti di Ministeri, cioè più spesa pubblica improduttiva, in una sorta di centralismo decentrato, anziché riequilibrio istituzionale. C'è molto più federalismo nelle nostre coerenze, che nelle vostre alchimie.
Continuate a rincorrere gli effetti speciali per coprire le vergogne, ma la magia non c'è più e i maghi hanno esaurito la funzione e la finzione.
Avete scommesso più sulle fortune alimentate dall'egoismo sociale, che sulle virtù civiche della nazione. Avete scommesso su un'idea malata dell'Italia, e adesso siamo punto a capo.
Dobbiamo fare l'ennesima manovra pesante per evitare il fuori gioco. Dobbiamo innovare le regole per evitare il ripudio sociale. Ad un Paese stanco ma disincantato, provato ma reattivo, chi può proporre una credibile via d'uscita? Solo un Governo autorevole che non c'è; solo una classe dirigente responsabile, che dica la verità e indichi un percorso di cambiamento, e lei, mi dispiace, signor Presidente, non lo ha fatto; e ancora, con il ritorno al primato del bene comune, che voi avete declassato ad appendice ininfluente, subordinata ad interessi del tutto particolari.
Ecco perché la vostra permanenza forzata rappresenta un danno: perché non siete autorevoli e credibili propugnatori del cambiamento. I suoi appelli all'azione comune sono tardivi e viziati dalla partigianeria interessata, che avete sempre anteposto a logiche di comunità diffusa. Voi al massimo generate rotture, non innovazione. Perciò, in realtà, tolto il cerone, siete dei conservatori ripetenti.
Per riprendere il cammino, il Paese ha bisogno di riforme liberali, di un riformismo liberale, non di demagogia, non di paure, non di populismo, ma di responsabilità individuale e collettiva, sulla scia dei sentimenti espressi in questi tempi di celebrazione del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia.
L'Italia non ha bisogno di voi al Governo, voi che non siete né riformisti, né liberali. Siete novelli gattopardi, abbarbicati al potere, ormai incapaci di trasmettere visioni e suscitare emozioni. È una maggioranza acquisita con la riconoscenza al mercato dei pegni parlamentari, con le emissioni di tanti «pagherò», ma assolutamente in minoranza nel Paese reale, quel Paese reale che non accetta le vostre manovre di palazzo.
Al Presidente Lupi vorrei dire che può anche darsi che Bersani abbia cambiato idea, tuttavia a fargliela cambiare non è stato il voto amministrativo, ma i referendum, che hanno bocciato tutti gli indirizzi politici del Governo! Questo è il sintomo principale: la maggioranza assoluta degli italiani vi ha negato il consenso sui vostri indirizzi politici e programmatici.
Questo è il punto della situazione! Voi qui siete più larghi, dite; sì, siete più larghi ma non siete più forti, perché larghezza e forza non sono concetti naturalmente sovrapponibili e nel vostro caso sono addirittura agli antipodi. Neppure la «legge porcata», neppure il mercimonio parlamentare riusciranno a curare la vostra anoressia sociale e democratica. Mi rivolgo alla Lega Nord Padania, che da soggetto motore del cambiamento sta diventando un freno, svanito il patto dei produttori resta il patto di potere, «Aspettando Godot», la luna nel pozzo non c'è mai entrata. Le ali tarpate si liberano non tornando al dio Po ma, ad esempio, comprendendo che la Lombardia potrà continuare ad essere tra i quattro motori d'Europa solo se avrà un sistema Paese a corredo in un contesto nazionale rinnovato e non rinsecchito.
Infine, lei, signor Presidente, ha avuto anche dei meriti: ha aiutato Alleanza Nazionale nella sua inclusione democratica, ha aiutato la Lega Nord Padania a non prendere la via della secessione, ma ha collocato tutto ciò in una alterazione continua di regole, in una logica di democrazia proprietaria che ha ingessato l'Italia e l'ha resa più fragile. Purtroppo lei non ha incluso, ha escluso e diviso, ha cercato di comandare e non di governare, lei ha detto che sarebbe una sciagura andare ora a votare, follia sarebbe un Governo anomalo e di minoranza democratica nel punto alto della crisi. Per questo, quando chiediamo una nuova espressione di voto, lo facciamo per consentire l'avvio di una nuova stagione politica, più fresca, più serena, più utile all'Italia e agli italiani. Credo, signor Presidente, che se lei acconsentirà, anche lei avrà dato un buon contributo alla rinascita, conquistando un posto migliore nella storia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

fote: Ufficio Stampa PD
Resoconto stenografico dell'intervento che a nome del Gruppo ha  svolto oggi (22 giugno 2011) in Aula sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio.

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