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Milano: Raffaele Ariano e il finale di ‘Birdman’, lezione tra cinema e filosofia

Successo ieri per la lezione del filosofo cremonese nell’ambito del corso “Filosofie del cinema. Fare filosofia con i film” alla Casa della Cultura di Milano

| Scritto da Redazione
Milano: Raffaele Ariano e il finale di ‘Birdman’, lezione tra cinema e filosofia


«“E hai ottenuto tutto quello che volevi dalla vita, nonostante tutto?”. “Sì”. “E che cosa volevi?”. “Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra”». Con queste parole, tratte dal Raymond Carver di Late Fragment, si apre Birdman o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza), pluripremiato film di Alejandro González Iñárritu, vincitore, tra gli altri, dei premi Oscar 2015 per miglior film, regia e sceneggiatura originale. E con le stesse parole il filosofo cremonese Raffaele Ariano ha introdotto ieri sera, giovedì 10 marzo, la propria lezione Lo scacco del riconoscimento. Riflessioni sulla sequenza finale di Birdman, la quale – assieme alla relazione di Giovanni Covini Dimmi in che drugstore vai e ti dirò chi sei. Elementi di costruzione dell'identità – ha costituito, sotto il titolo Come si diventa ciò che si è, l’ottavo appuntamento dell’edizione 2016 del corso Filosofie del cinema. Fare filosofia con i film, ideato già da alcuni anni dall’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e ospitato per la prima volta, questa stagione, negli spazi della Casa della Cultura di Milano. Proprio ad Ariano – come ha ricordato il direttore del corso, il filosofo Roberto Mordacci – si deve in prima battuta l’intuizione sul tema della rassegna, quest’anno intitolata Io è un altro e dedicata a riflessioni su identità e alterità.

«Attorno al protagonista Riggan Thompson, interpretato da Michael Keaton, circola tutta una serie di personaggi che, come lui, sono in cerca di un riconoscimento umano e artistico che non riescono a ottenere», ha spiegato Ariano. «Riggan, ex-star di film di supereroi a Hollywood, sa di rischiare il ridicolo, di giocarsi il tutto e per tutto con una trasposizione teatrale di Carver davanti al mondo snob del teatro newyorkese di Broadway, che non sarà certo tenero con lui se il suo allestimento si rivelerà puerile. E poi c’è la genuina verità: lui non ha mai fatto nulla di simile. Il suo è un autentico salto nel vuoto». Ed è curioso quanto utile ricordare che la parabola di Riggan Thompson ricorda da vicino quella dello stesso Keaton, protagonista degli storici Batman di Tim Burton tra fine anni Ottanta e i primi Novanta, poi “sparito” dal cinema di primo piano per due decenni, con la felice eccezione del ruolo in Jackie Brown di Quentin Tarantino, e ora tornato alla ribalta con Birdman e Il caso Spotlight, fresco vincitore dell’Oscar 2016 per il miglior film.

«Il film si muove tra tre piani di realtà: piano oggettivo, piano delle allucinazioni del protagonista e piano allegorico», sostiene Ariano, introducendo la sequenza finale, unica testimone del piano allegorico (la lettura, da qui in poi, è consigliata solo a chi già ha visto il film). «Riggan ha deciso che ne ha avuto abbastanza di vivere per il riconoscimento degli altri, ne ha abbastanza di queste pesanti catene che si porta dietro da sempre. Per cui dice addio a Birdman e a tutto questo gioco al massacro, e solo allora, per la prima volta, sa vedere la bellezza degli uccelli, e si sente abbastanza leggero per volare liberamente tra loro. Quando salta dalla finestra il viso di Riggan è radioso, e sua figlia, quando lo guarda volare, è piena di autentica gioia e di stupore. Ne deduciamo insomma che Riggan si è liberato, che finalmente, in quell’ultimo, estremo gesto, si è liberato degli imperativi che per un’intera vita gli hanno impedito di essere sé stesso e finalmente è riuscito a essere, non solo a essere sé stesso ma a Essere, compiutamente essere, almeno per un istante».

«Il finale sembrerebbe quindi ottimista», si avvia a concludere Ariano. «Ma non dobbiamo dimenticare quel che è successo davvero. Nel registro discorsivo dell’allegoria, Riggan si è liberato dalle sue pesanti catene e vola libero per la prima volta. Nel mondo reale, però, si è suicidato, e la figlia, nell’ultima inquadratura, sta in realtà guardando il cadavere di suo padre riverso sul marciapiedi», afferma Ariano, rifiutando dunque qualsiasi intervento di genere fantastico nel film di Iñárritu. Ed è proprio questa lettura realista (e, potremmo dire, razionalista) del filosofo cremonese ad aver suscitato un interessante dibattito a fine serata: alcuni dei moltissimi partecipanti al corso hanno espresso un punto di vista più possibilista, rispetto alla presenza del registro fantastico nel film.

Il corso Filosofie del cinema. Fare filosofia con i film prevede una nona lezione, fissata per giovedì 17 marzo, mentre l’evento finale, in programma martedì 22 marzo, vedrà la prestigiosa presenza, via intervista in videoconferenza, del regista Pupi Avati.

Carmine Caletti

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